RE NUDO - Anno XI - n. 90 - settembre 1980
RE NUD0/22 THROBBING GRISTLE Heather Earth Industriai Records Quarto disco in poco più di due anni, e questa volta quasi dal vivo, per il gruppo di Gene– sis P-Orridge. Quasi dal vivo, perché è stato registrato in un'unica session, ma in studio, davanti ad un pubblico scelto, "per evitare le influenze spes– so imprevedibili di condizioni avverse sulla qualità della mu– sica e del suono". Ed eccoci quindi di fronte alla performance dei Gristle. Nel recente 20 Jazz Funk Greats sembrava aver ammor– bidito l'intransigente presa sul suono, alla ricerca di modalità più accattivanti; qui sono tor– nati invece al loro stile tradi– zionale, senza concessioni al commercio (o al rock). Non c'è divisione dei pezzi, una lunga ed ininterrotta suite si snoda lungo le due facciate, e l'impa– sto dei suoni è più denso che mai. Sarebbe fatica inutile spendere parole sulle capacità dei singoli, visto che lo scopo perseguito è proprio quello di miscelare le sonorità, fino ad ottenere uno spazio più che un tempo occupato dalle macchi– ne ritmiche, dalle trombe, chi– tarre, voci filtrate. Eppure Greats, a prima vista più compromesso, finiva per suonare più convincente. Hea– ter Earth è a volte estenuato, con una purezza elettronica che diventa quasi fine a se stessa. Non un disco scadente, questo è certo; ma personal– mente sono convinto che i Gri– stle non abbiano ancora dato una forma definitiva alle loro molte possibilità. Paolo Bertrando HAILH.I.M. Burnlng Spear etichetta Burning distr.EMI Spear Primo disco di Lancia Bru– ciante alias Winsten Rodney dopo l'abbandono del tetto lsland, per la nuova etichetta propria. Dovrebbe anche esser il disco del rilancio internazio– nale stando alle aspettative del leader ed ai numerosi progetti che intorno alla sua figura si sono messi in moto. Il primo di questi progetti, quello di una tournée mondiale, si è già av– verato mentre altri, fra cui la partecipazione al film sul reg- gae jamaicano dal titolo "Roc– kers" insieme a Peter Tosh, so– no in movimento. Chi l'ha visto in Italia live forse non sarà ri– masto molto soddisfatto dato l'affiatamento non eccellente e la scarsa varietà di suono mo– strata dal gruppo, ma il feno– meno si spiega agevolmente se si tiene conto del fatto che Bur– ning Spear è in realtà un solo uomo, e cioè Winston Rodney e che tutti gli altri sono solo degli accompagnatori che variano da tournée, da disco a disco, e quindi è ogni volta necessario passare un certo periodo di af– fiatamento prima di stabilire la giusta comunicazione. A diffe– renza dei concerti italiani que– sto disco presenta invece un buon livello di attiatamento raggiunto però, caso strano, con due dei bracci destri di Bob Marley, cioè Afton Barre! (che è anche il cc-produttore) e Junior Marvin, rispettivamente al bas– so ed alla chitarra. Come il titolo dice, l'album è dedicato a HIM, cioè His Imperia! Majesty - Sua Maestà Imperiale Hailè Se– lassiè, ritenuta dai Rasta l'in– carnazione terrestre di Jah. E' da lui che Winston trae la forza ed è a lui ed a Marcus Garvey che dedica tutte le sue canzoni. Canzoni che si riconoscono come differenti da quelle di Marley soltanto per la voce particolare di Winston, che il resto poi invece è pressocché lo stesso. Entrambi rastafari, entrambi ispirati, entrambi cantano di Jah: in più qui ci sono solo i fiati che a volte danno delle inflessioni più centroamericane di quanto non si riscontri in Marley. Un ottimo disco che suona quindi conferma di una verità che si presenta ormai come inconte– stabile: il reggae è un'ottima musica per ballare, forse la mi– gliore attualmente in giro, i ra– stafari sono una interessantis– simo fenomeno di costume, però entrambi sono buoni se assorbiti a piccole dosi. Se in– vece la somministrazione è massiccia, state attenti, che il livello di sopportazione è spa– ventosamente basso. Giacomo Mazzone THE MONOCHROME SET "Strange boutique" (Dindiscl Virgin) C'è una strana atmosfera che aleggia su .questo album: un deja-vu ammiccante che oc– chieggia ad ogni angolo quasi che volesse proclamarsi "soap-opera" di ciò che veniva chiamato rock decadente. "Strange boutique" può sem– brare un patchwork di arguta follia o indifferentemente un gioco dell'oca alla ricerca in– tuitiva dei tanti remake occultati tra i solchi. Maestro di cerimo– nie è il cantante-pitone Bid che appare e scompare tra fragili e preziose melodie, assumendo sembianze a volte di un Lou Reed trasformato in uno char– mante dandy europeo, a volte di Bowie o di lggy o di Ferry pur senza risultare troppo uguale a qualcuno dei tre. L'iniziale "Monochrome set" è una sorta di Metro goldwin ouverture dove un suono di tamburi ossessivo e "junglo– so" sembra far uscire dai sol– chi immagini di elefanti, ser– penti e portatori affaticati: un classico del rock coloniale. In "The lighter sid ef dating" e "The Puertorican fence clim- ber" è la chitarra di Lester Square, con i suoi riff da bole– ro, a portare l'ascoltatore in una situazione da tragicomico melodramma spagnolo. Nella seconda facciata "Goodbye Joe" rieccheggia lo splendido marciume dei V &et mentre il resto è uno strano e languido intrattenimento: ma la spiega– zione di tutto arriva con la conclusiva "Strange bouti– que" dove Bid canta "voglio essere il diavolo" rivestendo di maliarda ironia tutti i quadretti visitati. Chi voglia saperne di più di questi Monochrome Set attenda una loro apparizione in concerto dove films, strani co– stumi e altre facezie danno un'immagine più salda di que– sti effimeri e impalpabili pezzi. Chissà che una sera Bid im– merso nella catarsi non faccia l'imitazione dell'Angelo azzur– ro. Francesco Pacella URBANVERBS "Urban Verbs" (Warner Bros) Da New York City. Urban Verbs, nati nel medesimo mi– crocosmo che ha prodotto i Talkin' Heads, inseriti appiemo nell'ambito delle "teste parlan– ti" della metropoli. Urban Verbs, magnificamente origina– li già alla prima uscita: snoc– ciolano un linguaggio nitido, autonomo, incredibilmente ma– turo, lasciato in gestazione chissà per quanti mesi nelle at– mosfere della propria città; di questa esprimono con fotogra– fie analitiche e fedeli ritratti, la velocità, il tessuto connettivo, i suoi luoghi fisici, le nevrosi dei rapporti: Roddy Franz, fratello del Chris del Talkin' Heads, cantante e compositore di tutti i testi, ha il raro dono di saper intingere la penna nell'inchio– stro del cuore e di poter guidare la mano con la saldezza dell'in– telletto. La loro musica, sensibile a raccogliere l'oro e la polvere della realtà, sottolinea sbigotti– mento, ansia, ricordi, pulsare frenetico delle situazioni viven– do di colpi di maglio o di riff lenti, a nervatura scoperta. Tra i brani, tutti ad altissimo livello, spiccano il torturato elettro-ra– ga di "Only one ·01 you" e la carezza elettrica per "Tina Grey" dove il basso sotterraneo di Linda France detta la scan– sione del racconto. Urban Verbs, alla ricerca delle residue emozioni tra i dati del presen– te... Francesco Pacella Ourlng Wartlme Talking Heads meets B 52's ZeetRecord La promessa contenuta sulla busta di questo "In tempo di 111,Jj- "' ••ti • .,.. 'f,UKING HEA ,,,..,. guerra" di un incontro fra B 52's e Talking Heads, cioè di due fra le formazioni più lucide ed estremiste del panorama new wave americano, mi ha ec– citato a tal punto da far cadere il mio fermo principio di non ac– quistare mai dei bootleg se non dopo accurate verifiche per evitare le consuetudinarie fre– gature. Purtroppo la mia ingor– digia è stata in parte punita: i bombardieri (anche se in realtà sembra che il nome derivi da una acconciatura usata dalle due sorelle Wilson) della guerra di Corea suonano separata– mente dalle teste parlanti, co– stretti in soli 4 pezzi tutti per lo– ro, mentre il resto è interamente di Byrne e compagni. L'incon– tro tanto atteso dunque non si limita ad una pura contiguità di solchi ed a null'altro, perdippiù con una registrazione di quelle del tipo io in fondo alla sala con un geloso monofonico in mano. Superato però il primo sbigotti– mento dovuto a queste due de– faillance dell'album, resta co– munque il piacere di avere fra le mani la prima registrazione live di questo gruppo esponente della linea felci in plastica e bicchieri in plexiglass che te– mevo incapace di riprodurre in concerto quelle meravigliose sonorità di moplen che erano apparse sul loro primo album e che invece qui, sia pur fra mille distorsioni, vengono ripetute senza perdere nulla o quasi in versioni leggermente più lun– ghe. Peccato che non ci sia nesscm-pezzonuovo, ma d'altra parte era impensabile preten– dere in una situazione come questa dove i B 52's erano solo il gruppo di spalla dei ben più noti Talking Heads. Eccoli infatti in agguato già alla fine del primo solco con il loro immancabile "Psyco kil– ler", divenuto ormai inno delle nuove (psicopatiche) genera– zioni. Anche qui nessuna can– zone nuova si aggiunge alle nostre coscienze, però abbia– mo una di fianco all'altra can– zoni dal primo '"77" (oltre a "Psyco killer" anche "The book I read" e "New feeling"), dal secondo "Moro songs ..." ("Warning sign", "Take me lo the river'') - e dal terzo "Fear of music" ("Electric guitar"): uno sguardo d'insieme non privo di un suo fascino. SLAPP HAPPY Slapp Happy or Slapp Happy Recommended Records Non posso fare a meno del discorso personalistico, se de– vo parlare della riedizione di questo album (datato in origine 1973) ormai da tempo introva– bile. Perché il discorso obiettivo sul "valore musicale" dell'ope– ra scompare, di fronte alla ric– chezza delle sensazioni che gli Slapp Happy riescono ancora a dare. E' un suono niorbido, ac– cattivante, in cui riaffiora una tradizione di easy listening in– telligente, combinato a sugge– stioni di cabaret centroeuro– peo. Piano e chitarre sostengo– no dolcemente la voce della cantante Dagmar, giustamente asprigna, e i pezzi si susseguo– no su di un registro medio, quieto sostegno per la medita– zione malinconica (sarà ecces– sivo: ma tutti abbiamo avuto il nostro 1973, non necessaria– mente scandito solo a parole d'ordine). E' musica esile, sen– za dubbio, ma con abbandono, e un tocco di humour che non guasta. Sembra incredibile che questa sia la stessa Dagmar che, appena un anno dopo, sa– rebbe passata alle intransigen– ze degli Henry Cow. E quasi quasi rimpiango che questi Slapp Happy non siano durati un po' di più... (Note doverose: Peter Bleg– vad, Antony Marre e Dagmar sono qui accompagnati dalla sezione ritmica dei Faust; il di– sco è stato registrato in Ger– mania; gli Slapp Happy sono confluiti negli Henry Cow di Fred Frith nel '74, incidendo In Praise of Learning; Dagmar e, saltuariamente, Blegvad, col– laborano ancora oggi con il nuovo gruppo di Frith, gli Art Bears). Paolo Bertrando li l . <-~ BRANO X Do they hurt? Charisma I Brand X iniziarono nel 1975 come hobby di Phil Collins, batterista dei Genesis; ma fu subito chiaro che il gruppo brillava di luce propria. Il se– condo LP Moroccan Roll con– fermò le premesse dell'esor– dio: un jazz-rock ricco di sor– prese e di sonorità personalis– sime. In particolare, il bassista Percy Jones venne · ricono– sciuto dai colleghi americani come il più interessante nuovo talento delle quattro corde, e pure Brian Eno lo convoca nella sua corte dei miracoli. Poi nel biennio '77-'78 il gi– rotondo di batteristi, stabiliz– zatosi infine sull'americano Mike Clark. Nel frattempo an– che il tastierista Robin Lumley si è perso per strada, affidando il compito al più esperto Peter Robinson. L'anno scorso il de– ludente album Produci diviso in due formazioni e due stili: da una parte Collins (anche in ve– ste di cantante) e il recuperato Lumley più il bassista John Gi– blin e dall'altra i più dinamici Robinson, Jones e Clark; con il piede in due scarpe il chitarri– sta John Goodsall. Ora le premesse sembrano analoghe, ma l'impostazione è più equilibrata: Collins è pre– sente solo in due brani e non c'è sbalzo tropp brusco fra le due situazioni. Diciamo pure che le atmosfere misteriose e profonde di Masques e Moroc– can Roll sono purtroppo spari– te, dando spazio a ginnastiche strumentali più terrene. Percy Jones spadroneggia dovunque col suo suono inimitabile ed è autore della maggior parte dei brani, ma alcuni tratti sembra– no proprio superflui. Siamo in– dubbiamente al di sotto del fa– scino dei primi quattro LP (manca la fantasia cromatica di Morris Pert) ma c'è qualche sintomo di ripresa rispetto allo scorso disco. Se non fosse un'espressione così inflazio– nata, potremmo dire che è una fase di "transizione". Massimo Bracco DELTAFIVE Anliclpatlon/You Rough Trade Parlare di due 45 giri su Re Nudo potrebbe sembrare forse una stranezza, od al massimo notizia appena degna di men– zione ed invece no, tutto il con– trario. Se parlo di questi due singoli è perché sono certo che Delta Five, se mantengono le attuali promesse e premesse, quando avranno inciso il loro primo 33 giri, faranno un botto grosso così. Perché? Ve lo spiego im– mantinentemente. Provate a chiudere gli occhi e pensare a tre donne che suonano il basso, più batteria e chiatarra per quanto basta. Cosa pensate che possa venirne fuori se non una schifezza od un prodotto eccezionale? Ecco, siamo ap– punto in presenza del prodotto giusto. Se "New thai you had gene" (adesso che te ne sei andato) I "Mind your own bu– sinness" (Fatti i cazzi tuoi) è andato vicino ai top t 00 pur es– sendo prodotto e distribuito da un'etichetta indipendente co– me Rough Trade, immagina che il prossimo andrà ben più in alto. Tre bassi Tre+ Tre voci fem– minili Tre+ Chitarra·+ Batteria costruiscono all'unisono una musica circolare come le scale al pianoforte di Cardini, su schemi in origine rock, portati all'essenzialità sotto il segno imperioso del ritmo. Ottima ro– ba per le discoteche per gente dalle orecchie fini. Metteteci in più che il gruppo viene da
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