RE NUDO - Anno XI - n. 90 - settembre 1980

RE NUD0/14 STONES'60 STONES'70 Chi ha paura di Mr. Jagger? Note su vent'anni di Rolling Sto– nes Molte sono le immagini ormai automaticamente associate al lo– go "Rolling Stones": sono le no– stalgie di gioventù, è la figura di Mick Jagger che salta sul palco, è il rock elementare tutto giocato sui buoni vecchi quattro accordi. Oggi, diciott'anni dopo l'esordio al Crawdaddy Club, è difficile orientare lo sguardo in prospettiva ed intravvedere quello che i Rol– ling Stones sono stati nel corso degli anni. Eppure, quant'era di– verso quel gruppo per i kids della Londra di quindici anni fa ... Stones '60· Tralasceremo il fin troppo furbo gioco d'immagini voluto dal previ– dente Andrew O!dham, che pilotò con fantasia sensibile il rozzo gruppo di rythm & blues fino a farne gli anti-beatles. Basterà ri– cordare che la figura teppistica degli Stones fu presa pesante– mente a prestito da C/ockwork Orange di Anthony Burgess (bell'intuizione: dieci anni prima di Kubrick!), e che per alimentarla si ritenne necessario estromettere l'ottimo pianista lan Stewart, col– pevole solo di un aspetto troppo bonario e regolare. Già verso il '65, comunque, la strategia di Oldham mostra la cor– da. All'esplosione della swinging London, sembra a molti che i soli Beatles abbiano la versatilità ne– cessaria all'indispensabile evolu– zione, e che gli Stones siano de– stinati alla malinconica replica del loro rock'n blues. Ma le due con– trapposte star del gruppo, Jagger e Jones, si dimostrano in grado di salvarlo dal naufragio, anche se per vie divergenti. Innanzitutto, Jones, versatile e captativo, comprende per primo l'inadeguatezza della rigida for– ma-rock al mutare dei tempi. E agisce di conseguenza, cercando strumenti sempre nuovi, dal dul– cimer al clavicembalo al sitar, in· un sottile lavoro di rifinitura che restituisce agli Stones una posi– zione di predominio. Ma c'è dell'altro: Jones, istintivamente, prepara la nuova immagine dei Rolling Stones, immergendosi nel flusso della cultura che sarà poi chiamata psichedelica, assimi– landone lo spirito, il vestiario, gli stupefacenti. "Brian è sempre stato il primo, quello che apriva la strada per tutti gli altri", dirà Jag– ger molti anni dopo, non senza ipocrisia: perché "gli altri" sfrut– teranno le capacità esplorative di Jones fino in fondo, ma al mo– mento buono gli daranno una buona mano ad autodistruggersi. (A proposito dell'amore di Jones per la psichedelia, è il caso di sfatare una leggenda: il tonfo di Satanic Majesties non è affatto opera sua. Anzi, Brian si scaglierà fino all'ultimo contro l'opera, che giudicava "musicalmente pessi– ma". E non gli si può dare torto). La funzione di Mick Jagger, in quegli anni, fu anche più fine e sotterranea, anche se l'assunto sembra paradossale. Andy War– hol lo definisce "real pop" (s'in– tende, nel senso di pop-art); Tru– man Capote parlerà di "pura estroversione". Il segreto di Mick, giunto ormai a completa matura– zione, è proprio questo: di recita– re la sua parte con piena convin– zione, piena partecipazione, fin nella vita privata, eppure mante– nendo sempre un qualche distac– co. Jagger, senza dubbio, è dav– vero la parte che recita. Ma la parte resta una parte: l'identifica– ·zione è possibile soltanto perché l'io intimo, reale di Jagger, in realtà, non esiste. Di qui la pro– fonda affinità con la pop-art, e il ruolo simbolico nella cultura lon– dinese dei '60, tutta vivente, sull'esempio dei Beatles, nella superficie. Ed è da qui, senza per questo dimenticare il ruolo compattante di un Keith Richards, che deriva gran parte della longevità degli Stones. Mentre gli eroi del rock, dallo stesso Jones a Hendrix, da Morrison a Barre!, crollano cia– scuno a suo modo, travolti dal proprio stesso coinvolgimento, il gruppo del distaccato Jagger potrà sopravvivere per un altro decennio, grazie alla refrattarietà verso il coinvolgimento. (Allo stesso modo, si salveranno tutti gli artisti capaci di non riversare sul pubblico le profondità del proprio sè, dai Dylan agli Zappa). Peccato che, come spesso succede, ai sopravvissuti Stones venga a mancare qualche cosa: passato JÒnes, quella dialettica interna tanto essenziale al loro fascino sarà perduta per sempre. Stones '70 IL giro di boa definitivo arriva per gli Stones nel '71, quando i cinque abbandonano come un sol uomo i fasti londinesi per passare in Francia. Ma le avvisaglie si era– no avute già molto tempo prima. Lentamente, inesorabilmente, il gruppo che era stato portavoce reale dei kids, prima d'Inghilterra,· poi del mondo occidentale, si era scollato dal suo ambiente, era di– ventato un gruppo di pure star. Parallela la vicenda musicale: l'ego di Jagger, cresciuto a dismi– sura, dominava ormai la dimen– sione scenica, mentre Keith Ri– chards aveva orientato il tessuto sonoro verso un univoco, stretto rock. Let it bleed (gennaio '70), primo album con Mick Taylor, pri– mo album dei nuovi Stones stabi– lizzati dalla dipartita di Brian Jo– nes, mostra già le direttive che saranno mantenute nel futuro: rock elettrico purissimo. Ma dopo il '69, dopo Altamont, si spezza il cordone ombelicale che legava gli Stones alla loro au– dience. C'era stato, in anni più verdi, un vero e proprio circuito a feedback (1) nella comunicazione Stones/kids, con i cinque pronti ad assumere la sostanza dei com– portamenti giovanili, e a ripla– smarla a loro volta. Da Sticky Fin– gers in poi, è chiaro a tutti che il feedback è scomparso, che gli Stones restano buoni musicisti ma non gli interpreti di un'epoca. La teoria delle comunicazioni può fornire, a questo punto, esauriente spiegazione di quel che succede ai Rolling Stones anni '70: quando in un !Sistema viene a mancare la verifica conti– nua del feedback, è inevitabile la ripetizione continua dello stesso, immutabile messaggio. Ed è pro– prio a questo che arrivano gli Stones, a ripetere invariato il loro "it's only rock and roll". A fasi al– terne, tra dischi scarsi come Goat's Head Soup o Black and Blue, e dischi centrati come Some Girls o, in fondo, anche l'ultimo Emotional Rescue. Ma la ripeti– zione regna sovrana, l'immagine è definitivamente cristallizzata, e Mick Jagger da dieci anni conti– nua a recitare la parte di Mick Jagger. Sarà un caso: tutte le innume– revoli biografie degli Stones han– no un dato in comune. Quando arrivano agli anni '70, la descri– zione dei vari Jagger e Richards si fanno sfuocate, ovattate, come se le stesse persone, più che la loro musica, fosseré diventate meno reali. • E la musica? Di fattura, è ottima, da un punto di vista strettamente tecnico senz'altro migliore di quella mitica dei '60. Peccato che manchi qualcosa, qualcosa di in– definibile. Che con tutta probabi– lità è proprio la realtà (sociale o generazionale che dir si voglia) da cui erano nate le Satisfaction o le Mother's Little Helper. Se vo– gliamo attestarci sulla pura este– tica rock, comune, ci sono pezzi di ortodossia rock (potenza delle convinzioni di Keith Richards) addirittura più stretta degli anti– chi: da Brown Sugar fino a When the Whip Comes Down e via di– cendo. L'anima ritmica è rimasta incontaminata. Eppure i momenti convinti di questi Stones prigionieri della coazione a ripetere non sono, alla fine, tanti: sono quelli in cui (come nella recentissima Down in the Ho/e o nell'esecuzione di Man– nish Boy) si riavvicinano per qualche minuto alle remote origi– ni blues. Paolo Bertrando Nota (1) Un circuito a feedback (a re– troazione) è un. circuito in cui il messé!ggio in uscita è continua– mente modificato dai suoi stessi effetti sul ricevente.

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