RE NUDO - Anno XI - n. 89 - agosto 1980

RE NUD0/12 La conoscenza alternativa del corpo e della mente Intervistaad Andalo Carrega musicista della mente Andalo Carrega è un giovane musicista che sta lavorando, sul terreno musicale, a quel progetto di incontro-confronto tra Occidente contem– poraneo e Oriente religioso che tanto interesse sta suscitando in questi anni. Re Nudo lo è andato a intervistare per vedere di conoscere meglio il suo lavoro, per molti versi estremamente originale. D. - Andalo, i tuoi concerti hanno tutti un titolo: "Incontro tra Oriente e Occidente". Ci vuoi spiegare il motivo di questa formula, piut– tosto strana per un concerto di musica? R. - L'incontro tra Oriente e Occidente è quello che sta avvenendo oggi nel mondo. La mia esperienza, in particolare, è quella di un occidentale che si è avvicinato alla musica in– diana restando in Occidente, guidato da un maestro occidentale. Io suono uno strumento occidentale, la chitarra, ma lo trasformo in uno strumento orientale: ottengo una via di mezzo, dal punto di vista sonoro, e anche più stretta– mente musicale usando il sistema indiano, la scala modale. Pratico anche la meditazione yoga, e la "uso" per scoprire me stesso, ma senza perdere la mia identità culturale. Voglio dire, non mi travesto da indiano, ma cerco di prendere qualcosa da entrambe le cuhure, nella musica come nella vita. D. - E' per questo che preferisci lavorare con la chitarra, uno strumento musicale della tua tradizione, piuttosto che diventare, per esempio, un suonat!lre di sitar? R. - Mi interessa esprimere la mia creatività nel modopiù stimolante.E, naturalmente,mi interessa sviluppare il discorso intorno al siste– ma musicale asiatico. Ma senza dimenticare che io asiatico non sono. D. - Tu eri già musicista quando hai sco– perto l'Oriente, oppure è stato il contrario, eri un "meditatore" che ha scoperto la musica? R. - No, ho cominciato a suonare a quindici anni, da autodidatta: ho seguito anche dei cor– si, ma li ho abbandonati subito. Mi piaceva la musica, ma non mi piaceva rifare cose create da 4\ r 110 I j ' ~ •' iÌ !' ,, altri, né in musica classica, né in altra musica. Quando mi sono avvicinato ai suoni orientali, per me è stato come scoprire un mondo nuovo. D. - E come è avvenuta questa scoperta? R. - Gradualmente. Il primo incontro è stato il disco del concerto di Monterey, dove suonava anche Ravi Shankar. Mi colpì il suo– non del sitar, che non avevo mia sentito prima, e subito cercai di ricrearlo alla chitarra. Fu, almeno per il momento, un incontro esclusiva– mente estetico. Con gli anni, poi, mi venne la voglia di approfondire. Comprai un sitar, e cercai un maestro che me lo insegnasse: trovai un maestro tedesco, Athania Manfred Julius, e seguii un suo primo seminario a Torino. Poi ce ne fu uno a Biella, organizzato dall'Istituto Italo-Indiano, e altri due a Palermo ... D. - uano soltanto seminari di sitar? R. - No, erano molto vasti: storia della musica indiana, significato dell'arte indiana in generale, tecnica strumentale e così via. Poi c'erano ascolti comparati di musica indiana e occidentale; e infine c'era anche la pratica strumentale. Era una cosa molto completa. D. - Torniamo ai tuoi concerti: il pubblico come reagisce a questa tua proposta? R. - Io ho cominciato a suonare proprio per questo, per la corrispondenza che ho col pub– blico. Si può dire che sono quasi stato costretto a suonare. Agli inizi era fatto così, senza chie– dere soldi o altro; poi è diventato il mio me– stiere. Mestiere nel senso antico, intendo ... D. - Ote genere di musica suonavi prima di passare alla musica indiana? R. - All'inizio, come tutti, ho imparato gli accordi. Pochi accordi. Era l'epoca dei Beaties e di Dylan, qu11101 nu sono messo anch'io a suo– nare queste ballate, però mettendoci sempre qualcosa di mio: magari le suonavo senza il cantato, o le cantavo senza parole. Mi interes– sava molto la musica per sola chitarra, il fla– menco per dire, o anche la clas ica. Poi è ve– nuta quella pecie di rivoluzione musicale, portata da gente come i Pink Floyd, la spinta a sperimentare sonorità differenti. Così pian piano ono arrivato a definire una mia ricerca specifica. Che poi si è orientata decisamente verso oriente. · D. - Ma tu pensi che il sistema orientale abbia delle possibilità superiori a quello occi– dentale? R. - Non posso fare dei paragoni in questo senso. La musica è un fatto universale, che va al di là dei vari sistemi o delle scale. A me perso– nalmente si confà di più una struttura modale, però è una questione strettamente individuale. Non nego l'importanza del sistema tonale. D. - Parlaci del tuo lavoro sulla voce. R. - Uso un tipo di canto chiamato kirtan, che è una forma di concentrazione. E' un canto spontaneo, che mi viene in momenti particola– ti... D. - Però il kirtan non è tanto una forma di · concentrazione nel senso tradizionale. E' il canto collettivo dei mantra, che può essere ab– binato anche alla danza. R. - Intendevo concentrazione in senso la– to. Comunque, ci sono diversi stadi nel kirtan: c'è innanzitutto lo stadio della parola cantata, in cui naturalmente l'atteggiamento è sempre diverso da quello di chi canta una canzone. E' c'è un altro stadio in cui il canto si abbassa progressivamente fino a diventare del tutto in– terno. E sempre, sia che tu ripeta il mantra o che tu danzi, tutti i tuoi atti hanno un signifi– cato interiore. Quanto ai miei canti, sorio lo a cura di Piero Verni sviluppo di cose che mi vengono in mente du– rante la meditazione. La reazione della gente a que ti canti è sempre molto particolare: a volte le persone si sciolgono letteralmente nella mu– sica, alla pura curiosità segue l'abbandono to– tale. Non è facile per tutti accostarsi alla musica esoterica, per cui io prima di suonare spiego sempre quello che farò e il suo significato. D. - Come sei passato dal semplice interesse perla musica orientale alla meditazione? R. - E' stato un processo contemporaneo. Allora, mentre io prendevo lezioni di sitar, si stava diffondendo in Italia la meditazione yo– ga, e anche il mio maestro mi consigliava libri come l'A utobiograjìa di uno yogi di Yogananda. Non sono riuscito a comprendere quei libri su– bito, alla prima lettura, ma con il passare degli anni, per un processo spontaneo, la meditazio– ne è diventata una parte es enziale della mia vita. La musica nasce dall'intuizione interiore, che solo la meditazione può darti. La musica è come un fiume che ti scorre dentro. lo non penso mai mentre suono: qualche volta ho provato a mettermi a tavolino a scrivere dei pezzi, ma mi sono scontrato con una incredibile aridità. Allora ho capito che la mu ica ti arriva, che non è una cosa che puoi costruire. D. - Quindi la pratica della meditazione e quella della musica lavorano una sull'altra. . R. - La meditazione, oggi, è il centro della mia esperienza umana. E la musica è qualcosa di essenziale, io non posso fare a meno di suo– nare. Così, quando suono, pratico anche la concentrazione. on so se hai presente quel libretto bellissimo, Lo Zen e il 1iro con l'arco: ecco, quello è il mio modo di fare musica. Uno svuotamento completo, un'eliminazione dell'ego, se vuoi. In questo senso, la musica è il mio arco e la voce è la mia freccia. Piero Yerni

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