RE NUDO - Anno XI - n. 88 - giugno-luglio 1980

RE NUD0/18 NEW YOIU{ GONG ABOU1''l'IME NEW YORK GONG: Abouttlme (Charly Records) Ed ecco il nuovo di Daevid Allen. E nuovo in tutti i sensi. Dal newlook alleniano (tolti i vecchi abiti freak rimangono un giubbotto di pelle nera ed i ca– pelli notevolmente accorciati) alla gente che lo accompagna; infatti, non c'è più traccia dei vecchi amici, sostituiti da una robusta band specializzata nel rock potente. Il nome stesso del gruppo a cui è accreditato il di– sco non lascia dubbi sulla nuo– va strada intrapresa dal polie– drico australiano: NEW YORK GONG vale a dire la fantasia di un tempo trapiantata a forza nella grossa città. Non poteva che uscirne un album solido e frenetico, in sintonia coi ritmi delle grosse metropoli. Non per niente il vecchio Daevid ha venduto il bana Moon Observa– toru di Deya de Mallorca nelle Baleari e mollato Gilly Smith per andarsene in America a vedere un po' cosa sta succedendo di nuovo. D'altro canto, pur avendo più o meno quarant'anni, il nostro non vuole proprio stare nelle retrovie e ancora una volta propone la sua musica, al pas– so coi tempi (che è poi più o meno il titolo del disco stesso), ed i suoi testi, al solito bislacchi e geniali. Unico legame col precedente "N'existe pas!" (ancora tutto baleare) rimane il sax di Gary Windo che compare in qualche pezzo; per il resto, si viaggia a tutto gas in un'area che si po– trebbe definire cosmic-punk (ne parlava lo stesso Daevid in un'intervista di qualche tempo fa al Melody Maker). Musica molto più ritmata, an- 1 che se, checché si teni di scrollarsi di dosso il "passato", certe costanti rimangono im– mutate. Eh si, caro Daevid, po– trai cambiare vestiti e capelli ma la tua voce sarà sempre quella e cosi la magica "glissendo gui– tar" ... Insomma, un Allen che vuole "mollare tutto" quello che ha fatto fino ad ora (droghe, freaks, teiere volanti, etc.) sen– za esserne troppo convinto. Ci dice che la grossa città è piena di energia ma non può fare a meno di sottolineare come in questi posti non si respiri o co– me i ricchi continuino a fare il bello ed il cattivo tempo. Ma, tutto sommato, anche per i vecchi seguaci di questo illu– stre personaggio (ed io tra questi) ma c'è poi da lamentarsi troppo. Anzi, fa piacere vedere certi tipi ancora sulla strada e, biso– gnerà pur convincersene, ri– manere in pista al giorno d'oggi vuol dire tenere conto di certe "mode" (o-onde, a seconda dei gusti). Teniamo anche conto del fatto che molti non sapranno neanche di storie tipo Gong, BananaMoon, etc. Costoro lo potrebbero tranquillamente scambiare per un nuovo arriva– to sulla scia delle ultime esplo– sioni musicali che hanno scon– quassato tutto l'assetto prece– dente. A questi piaceranno senz'altro i primi due brani della prima parte (piuttosto new-wa– ve) mentre a noi piaceranno di più canzoni come "l'm a Freud", "My photograph" o "Hours Gone", inclementi ana– lisi su tutto quello che è suc– cesso ad una generazione che ha creduto nel potere della fan– tasia (altro che accettare la vita di città!). Daevld è deluso, disil– luso, come dargli torto? Cosa rimane aldilà delle droghe (sempre più assassine)? E tutti i' mistici, i flippati, gli amanti, i ri-1 voluzionari etc. etc ... probabil– mente tutti sposati e tranquilli (o morti...). Senibra ormai lam– pante che per i più era una mo– da come tante altre. Per questi anni '80 lo style è già s.tato lan– ciato. Musica dura ed altrettan– to dura realtà. Daevid Allen è qui per esser– ci, non vuole posti nei musei dei tempi andati né tantomeno passare le giornate tra spini e palle d'oppio. Non è cosi che si fa? Evidentemente per lui l'es– sere comunque "fuori e avanti" non è mai stata una moda e ce lo conferlfla un'altra volta. Vai Daevid! Gigi Marinoni KEVINAYERS That's whatyou get babel EmiHarvest L'ultimo era stato "Sweet Deceiver", e già non era più il Kevin Ayers di una volta, ma qui mi sembra che le cose vadano ancora peggio. Mi spiego subi– to, è una storia vecchia, Kevin è oramai un consumato profes– sionista oltre che dandy freak– keggiante, la sua musica risulta comunque godibile ma, accan– to all'indiscutibile bravura dei musicisti, mancano le idee che dovrebbero essere la parte più importante per uno che suona e soprattutto per questo Kevin Ayers che, a suo tempo, ne ha combinate veramente delle belle. Ma è forse perché ne ha combinate troppe che ormai non sa più che pesci pigliare. D'altro canto, anche la coperti– na dell'album è eloquente in questo senso: una sfavillante pupattola tra sete e divanoni a forma di labbra (si direbbe di– strutta dal piacere o dal vizio) e, nella busta interna, un Kevin Ayers, bello come sempre, sbracatissimo e con la faccia di uno che si sveglia a fatica dopo un lunghissimo sonno. Che vi devo dire, sono il pri– mo ad essere dispiaciuto che un musicista di tale levatura ar– rivi a scodellare certe insulsità. Al suo fianco rimane il fido Ollie Halsall, gli altri suonatori non li conosco. Sta di fatto che ne esce un suono tremendamente hollywoodiano, appesantito e pomposo, tutto il contrario dei fuochi dada di Joy of a toy o Shootin' at the Moon. Bisognerà anche dire che la voce (almeno quella!) è rimasta la stessa e che un pezzo (il fi– nale "Where do the star's end") riporta lontanamente alle cose passate. Ma d'altro rimane ben poco: il vecchio marchio "Ba– nana Production" nascosto in fondo al disco e l'affermazione (più consona a La Palisse) che i soldi tornano sempre ai ricchi (in "Money, Money, Money"). Si dice che sia meglio ritirarsi in silenzio piuttosto che finire cosi ma, siate buoni, anche i musicisti devono campare, se consideriamo poi che a lavora– re non sono proprio abituati,! cosa c'è di meglio che un disco ogni tanto? E poi abbiamo fi– nalmente trovato quello che ci mancava: è bello, biondo, Iran- quillo e con un passato glorio– so. E' il Frank Sinatra dell'un-, dergroundl THISHEAT Thls Heat Piano Records Gigi Marlnonl Primo album del trio omoni– mo, arriva con un anno di ritar– do sull'uscita in Inghilterra dove il pubblico conosce il gruppo da qualche anno attraverso i con– certi, gestiti, sembra, con piglio da primedonne. Per qualificare questo risul– tato, "musica progressiva" è troppo generico: Thls Heat co– nosce di tutto, dalla scuola di Canterbury a Cage, ai Raga ai Crimsom... • Musica sperimentale, raffina– tissima; condensata in citazioni beffarde, ruvida, povera, molti– plicata da tape nature: sembra fatto per l'intelligenza e invece pian piano ci si convince che la sua materia sonora è una in– tensa psicologia oppositiva. Chiamiamolo "lo spirito medie– vale", questa identità tra sim– bolo e cosa detta in un gioiello com'è "The fai/ of Saigon", ben degno dell'ultimo Fripp. Assorbono intensità da un'a– spettativa destinata ad essere contrastata, portando ad un'i– dea di ubiquità dei suoni, ma questa era anche l'idea della pop art. Cosi stanno sospesi come un grande ragno tra il negativismo degli anni '60 e il regime della tecnica che oggi ci Inchioda a progetti troppo niti– di. Questa lunga serie di contra– sti, pare l'unica stabilità del di– sco, è forse il recupero più pro– fondo ed il ripensamento di una tendenza generale a mezzi spogli ed esclusivi. Ed è, anco– ra una volta, un tenue sogno americano. GRACESLICK Dreams RCA Luisa Cunterl Diciamo la verità: eravamo tutti con i fucili puntati sulla sua tana aspettando che uscisse. Le ultime voci (un po' tenden– ziose) ce la schizzavano come ubriacona, stonata e rimbambi– ta a caccia di fantasmi. Poi il divorzio dalla congrega decen– nale Jefferson-Star-Airplane, ma fu lei a deciderlo e fece be– ne. Ora la ritroviamo con qualche etto di cellulite nello spirito (ma non nella voce) decisa a rinver– dire I fasti di possente affresca- trice dall'incedere epico. L'epi– demia Americana di conformità alle ·mode non ha intaccato Grace, abbarbicata sulle pro– prie estetiche lontane dagli espedienti di classifica. Se poi confrontiamo questo "Dreams:· con lo scialbo "Freedom at point Zero" dei Jeffersort, la cantautrice esce ampiamente vittoriosa. Ballate lente, dagli accenti maestosi, con qualche ricamo spagnoleggiante; arrangia– menti curatissimi, talvolta so– vraccaricati da una orchestra adiposa. I testi aleggiano su vi– sioni sognanti e astrattismi un po' superati. Unico riferimento alla realtà, la dedica implicita ai Jefferson in "Let it go". "Qualcuno mi dice: 'Non an– dartene'. E altri: 'Se resti a ca– sa, rimarrai sola'. Non possia~ mo credere a tutte queste chiacchiere, finchè diamo ascolto agli altri non sapremo mai decidere. Mi dicono che canto con troppa grinta e con acuti troppo lunghi. Ebbene, canto come mi piace: in me c'è uno spirito bambino e voglio la– sciarlo crescere". O.K. Grace, per stavolta non premeremo il grilletto. Massimo Bracco PREMIATA FORNERIA MAR– CONI Suonare,suonare Numero Uno P.F.M. ovvero "Premiata For– neria Marconi" ma stavolta P.F.M. ossia "Purtroppo Frega– tura Micidiale". La malefica cantautorìte (malattia Italica portatrice delle febbri parolatiche) ha insipidito i cinque Fornaretti, tramutan– doli in un Eugenio Finardone tentacolato: il che, credetemi, non è certo un complimento. Loro almeno sanno suonare bene (e dopo dieci anni on the road è il minimo) ma gli spartiti banali restano sciapi anche se verniciati da arrangiamenti strategici. Forse Di Cioccio & Co., invo– gliati dal successo dei Super– tramp, volevano produrre un album di ballate semplicine ed elegantine ma il "Breakfast in Via Canonica" non è riuscito. Se proprio insistono nel canta– re cosf tanto, perlomeno si concentrino sulla vena rock-in– pillole di "Si può fare"! Visto che i testi occupano 39 minuti e mezzo su 40 di durata del disco, diciamo pure che Mogol in confronto scrive trat– tati di sociologia. A proposito, pare che il gruppo accompa– gnerà Lucio Battisti nella sua rentrèe dal vivo: forse tra can– zonettari. .. ci si Intende. Massimo Bracco URSULADUDZIAK Futuretalk lnnerCity E' Polacca di nascita e ame– ricanizzata da otto anni la gola vincente in campo Jazz-Rock. Al suo attivo quattro album co– me titolare e una dozzina come collaboratrice del marito, il vio– linista Michal Urbaniak. La sua voce è uno strumento nel più completo senso della• parola: genera timbri precisi e acuti che sembrano virtuosismi di un trombettista; scandisce riff velocissimi guidando gli altri musicisti; costruisce le basi rit– miche unendosi alla batteria: il tutto in vocalizzi senza parole, il cosiddetto "scat" che già rese famosa Ella Fitzgerald. E Ur– szula è proprio la Fitzgerald degli anni '80, aggressiva come l'inquinamento ed efficiente come un computer. Se proprio non credete che le sue doti sono illimitate, ascol– tate i brani in cui resta sola aiu– tata esclusivamente da qualche eco ("Double bounce", "Cho– rale tor one") oppure ripescate il suo strepitoso album del '74 "Newborn light" in coppia col tastierista Adam Macowicz. Su "Future talk" le composi– zioni fresche ed eccitanti di Ur– szuia e Michal riciclano anche temi folkloristici Polacchi, resti– tuendoceli in ingegnose mistu– re. Oltre ai due magnifici co– niugi, una squadra di eccellenti accompagnatori (fra cui John Abercrombie) completa il cast in modo ineccepibile. Da segnalare anche l'operato dell'etichetta INNER CITY: con le sue incisioni limpidissime e il vasto catalogo di Jazz progres– sivo, si è meritata l'appellativo di ECM Americana. Massimo Bracco STIFF LITTLE FINGER Nobody'sHeroes Chryalis Un rock'n roll travolgente, musica che non è semplice– mente da ascoltare, che non attiva processi mentali ma cor– porei. La rivolta, la rabbia so– nora dell'Irlanda del Nord: Stiff Little Fingers, un gruppo che da due anni sta avendo grande successo in Gran Bretagna. Nel 1978 G. Ogilvie, manager dei Fingers, inviava·dei nastri In visione alla Chrysalis di Londra, che glieli ritornò accompa– gnandoli con una lettera di ri– fiuto. Quella stessa lettera ora campeggia sul retro di coperti– na dell'ultimo disco del com– plesso, prodotto proprio dalla Chrysalis. Nel mezzo ci sono: un disco prodotto dalla Rough Trade dal titolo assai esplicati– vo lnlammable Materiai, e so– prattutto un grande successo di

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