RE NUDO - Anno XI - n. 86 - aprile 1980
RE NUD0/16 Recensioni a cura di: Giorgio Adamo, Adriano Bosone, Paolo Bertrando, Giacomo Mazzone, Tommaso Raimondi, Marco Rossi. THE FLYING LIZARDS The Aylng Llzards Virgin Gruppo misterioso per un al– bum sconvolgente. Concepito totalmente da Dave Connin– gham e "fatto eseguire" da musicisti delle più svariate ten– denze, rimixato con determinati apporti elettronici, questo di– sco, o meglio, "oggetto miste– rioso" colpisce come un pugno nello stomaco per la violenta novità del suono. Una voce femminile delicatissima, un basso ipnotico, sintetizzatori, organetti e centinaia di altri strumenti, voci, segnali elettro– nici sono gli elementi necessari per una trasfigurazione fanta– stica del rock, della disco, del reggae, di Kurt Weill (!): siamo vicini ad un rock "strutturale", dove predomina il significato a base di segni, e dove è sensibile l'assenza dello sviluppo totale delle forme musicali tradiziona– li. L'insegnamento di Brian Eno e del "dub" giamaicano è ac– cettato e superato in un incre– dibile prova di sincronismo espressivo. A questi livelli è su– perflua ogni etichetta, non sa– premo dire che tipo di musica è, ma godiamocela, è imperdibile. G.A. SNAKEFINGER Chewlng Hldes the Sound Virgin Forse il segreto di Snakefon– ger (e di tutto il sound Resi– dents) è la discrezione nell'a– nomalia. Snakefinger e il suo gruppo insistono da sempre sulla forma-canzone, e la stru– mentazione è in fondo prevedi– bile, a parte certi amiccamenti elettronici. Ma il modo d'adoperarla, le combinazioni, gli accordi, i filtri, sono senz'altro fuori dell'orec– chio comune. Ci vorrebbe un certo sforzo da parte dell'a– scoltatore pigro, perché questa diventasse musica d'uso cor– rente. Non mancano comunque gli echi, i referenti: un lontano Frank Zappa, negli stacchi e nei repechages ironici (come il fal– so reggae di Ki/1 the Great Ra– ven o l'autentico Morricone di Magie And Ecstasy); e l'osses– sivo controllo sui suoni è in– dubbiamente di marca Eno. A dispetto dell'alone di isolamen– to totale di cui i Residents ama– no ammantarsi. La delicatezza di Snakefinger nel presentare i suoi materiali rivoluzionari (o involuzionari?) rende l'insieme altamente go– dibile. Per chi ama l'intelligenza condita di humour e di un pizzi– co appena di paranoia. P.B. THROBBING GRISTLE 20 Jazz Funk Greats Industriai Records "Venti classici di funk-jazz". Eppure il titolo è ingannatore: gli autori non sono epigoni bri– tannici di Chick Corea. I Gristle sono e rimangon:> un gruppo di ricerca sonora, nella più pura ottica post-new wave. Creano uno spazio popolato da strumenti svariati: i sequen– cer e synth della tradizione elettronica, trombe, bassi e chitarre misteriosamente filtra– te. Abbandonata l'allucinazione metallica degli inizi, il gruppo di Genesis P-Orridge e Cosey Fanny Tutti è ormai del tutto inettichettabile; passa da un uso ritmico e in apparenza futile del sintetizzatore ad ardue me– scolanze di suoni, quasi in sa– pore di scuola tedesca. Sicuramente, è un gruppo che ha trovato equilibrio. So– prattutto, ha imparato ad usare i testi (più letti che cantati, se– condo un modulo comune all'ultimo John Lydon), ed a sfruttare tutte le sfumature di voce. Risultati di rispetto. Specie nei momenti di autentica es– senzialità: ascoltate prima di tutto l'ottima Persuasion. LYDIALUNCH Queen of Slam ZeRecords P.B. Prima d'opera d'ampio respi– ro, con una band nuova di zec– ca, di Lydia Lunch, primadonna della no wave newyorchese. Per chi conosca le asperità di Teenage Jesus & The Jerks (vedi No New York) non man– cheranno le sorprese: il suono innanzitutto, che si è fatto più gra~1ronomico, più gustabile. L'"ascoltabilità" è assicurata. Rimane, anche qui, la cifra tipi– ca di Lydia Lunch, la monotonia scandita, la meccanica lentez– za della musica. Sul tappeto soffice degli strumenti (lei si è riservata appena due soli di chitarra) Lydia lavora di voce, con taglio e sapienza di prima categoria. E' tutto in quella voce il fa– scino ambiguo di Queen of Siam, in quella femminilità af– fermata e subito sottratta, tra l'aggressivo e il bomboleggian– te: Marylin e lggy Pop, a dosi alterne. Sofficità e durezza, in inscindibile miscela; se pezzi come Spooky raggiungono ed oltrepassano la barriera dell'easy listening, ci sono le dissonanze appena velate di Tied and Twist o Mechanical Flattery a soddisfare gli estima– tori dell'alienazione consape– vole. C'è già chi parla di conver– sione alla faciloneria, per que– sta Lydia Lunch che si presenta sulla copertina in perfetto co– stume alla Sacher-Masoch I disco-giri. Ma l'album è opera doppia, percorsa da fremiti dif– ficili da catalogare: può essere nello stesso tempo sottofondo gradevole e massaggio inquie– tante: le unghie graffiano anco– ra, anche sotto lo smallo. THE RAINCOATS "The Ralncoats" Rough Trade) P.B. Cinque donne a esplorare strade non ancora battute ab– bastanza, dove la dimensione giocosa del suono e il sorriso da clown appena un po' im– bronciato tessono trame dalle tinte pastello. Un rock naive che non vive di ritmi da rullo com– pressore, ma fa della diversità dei tempi, della voce "partico– lare" degli strumenti un uso gioioso e quasi infantile. A Palm Olive, ex batterista delle Slits, Gina Birch, bassista dei Red Crayola, Ana Da Silva, chitarra, Vicky Aspinal, viola, non di– spiace di suonare una versione sgangherata della "Lola" dei Kinks. A loro importa esprimersi o tutt'al più musicare una poesia di Prevert ("No Looking"). Quando al gioco si unisc~ Lora Logie, compagna d'avventure di X Ray Spex, Red Crayola, Stranglers, Essential L:>gic, che giunge a proposito per estrarre dalla sua valigetta di musicista nomade i suoni di "Black & White", allora inizia a fluire an– che energia allo stato puro. Tutto sommato una musica che, seppure precaria e trabal– lante, dà l'impressione di spa– ziare, di potersi muovere. An– che a piccoli passi. F.P. PEARL HARBOUR & THE EX– PLOSION "Pearl Harbour & The Explo– slon" Warner Bros. L'"aflaire" Knack ha scate– nato l'olfatto dei talent-scouts: la caccia alle dance-bands ca– liforniane è in pieno svolgimen– to e ci riserverà ulteriori colpi di scena. Intanto Pearl Harbour & The Explosions entra nel mer– cato con tutti gli onori possibili per un gruppo di debuttanti; coccolati e pagati molli molli dollari d'ingaggio, dovrebbero ripagare la fiducia concessa vendendo molli molli dischi. La loro musica mescola graziosa– mente chitarrine e coretti alla Shangry-Las (vedi B-52) con la muzak-wave degli Knack. Po– trebbero diventare in breve i santi protettori delle FM califor– niane, e del resto a questo aspirano ripetendo fino allo sgolamento "Drivin"', dovero– so tributo all'edonismo made in L.A. Laddove il supporto ritmico si fa più duttile e saltellante sembra emergere il lato miglio– re della band lasciato voluta– mente in ombra per precise esigenze di mercato: l'assimila– zione di "segnali urbani" rima– ne solo uno spettro cromatico in profondità sacrificato al va– lore d'uso del prodotto. JOY DIVISION Unknown Pleasures (Factory Records) F.P. Piaceri sconosciuti, lamenti elettrici nella caliginosa notte di Manchester, la parte oscura e notturna del nuovo Rock ingle– se: Joy Division. La notte, il buiò, l'angosciosa attesa del cadere della goccia di umidità nella stanza, molti livelli sotto terra, dove i cantori dell'ango– scia di vivere tra il grigio sporco di una squallida metropoli in– glese, levano i loro sospiri alie– nati. Questi i piaceri che il gruppo anglosassone ci pre– senta nel suo primo album. Piaceri, d'accordo, sconosciuti no, perlomeno non completa– mente, a chi conosce ed ama gruppi come gli Ullravox, Siouxsiee adn the Banshees, i Fall che certamente sono stati ascoltati molto da questi nuovi portatori della maledizione ur– bana. Ma non è certo cieca adesione ad un genere quella dei J.D. ma personale rilettura di insegnamenti dei suddetti gruppi rivisti e filtrati attraverso un uso degli strumenti estre– mamente personale. Ad una batteria (Stephen Morris) sem– pre in primo piano con la sua poderosa ritmica, si aggiungo– no un basso (Peter Hook) assil– lante e ben suonato, e una chi– tarra (Bernard Albrecht) la– mentosa e tagliente, che è il vero scheletro dei brani, e che fa varco ad una voce (lan Cur– tis) che probabilmente i molli filtri riescono a rendere di un'angoscia viscerale. Il tutto è completato da una miriade di effetti che danno unità e com– pattezza all'opera. Bello tutto questo disco che si divide in una facciata Outside (l'esterno) e in una lnside (l'in– terno), ma più angosciosamen– te raffinata forse la prima che contiene lnsight vero gioiello dell'affermazione tormentata di uno sfacelo finale. Attenzione però, Unknown Pleasures non è disco che si possa amare al primo ascolto ma, probabil– mente anche pèr l'eccessiva compressione del suono nell'incisione che rendono lo stesso forse eccessivamente cupo, va scoperto ascolto dopo ascolto. M.R. DUNCAN BROWN Streets of flre (Logo Recoids - Distribuz. Ri– cordi) Terzo album solo per Duncan Brown, ex leader dei Metro, musicista introverso, raffinatis– simo e dotato di un'ottima tec– nica chitarristica. Streets of lire più del precedente "The wild places" è vibrante espressione del suo mondo musicale fatto di atmosfere sognanti, di ricami vellutati e sensuali, di violenti squarci di luce e di rabbia. Il disco esprime una straordi– naria ricchezza timbrica, anche 'in virtù dei lucidi contributi of– .!erti da Tony Hymas alle tastie– re, da John Giblin al basso (ri– ,cordiamolo nell'ultimo album ·dei Brand X) e da quello straor– dinario batterista che è Simon Philips, oramai session man di lusso (con gli 801 di Manzane– ra, con Eno, con Giltrap ecc.) Da parte sua Ducan Brown snocciola i testi con la sua cal– da e bellissima voce e spazia con la sua chitarra da liquidi assoli alla Mark Knopfler a per– sonalissimi arpeggi di cristal– lina creatività. Fra gli 8 brani che compongono l'album de– vono essere citati "Fauvette" con la stessa vena decadente di Criminal World dei Metro; "American Heartheat" roman– tica ed emozionale, la stupenda "Street of Fire" che a momenti di intimismo alterna incredibili esplosioni strumentali, a caval– lo fra rock e jazz-rock, "Nina Morena" sensuale e latina, dol– ce e nervosa; e infine la Can– ciòn de Cuna che, a dispetto del titolo e un creativo cesello di chitarra, tutta echi e vibrazioni sospese nel tempo, finchè delle risa femminili ci riconducono alla realtà. Credetemi: percorrere que– ste "Strade di fuoco" vuol dire scoprire. un'artista che avrà molte cose da dire negli anni '80, a tutti. Tommaso Ralmondl
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