RE NUDO - Anno XI - n. 84 - febbraio 1980

unblues dalla JAMAI La Jamaica è un'isola di circa tre milioni di abitanti si– tuata a sud-est di Cuba, nel Mar dei Caraibi, da poco in– dipendente dopo 4 secoli di colonizzazione. Fino al secolo scorso, essa fu teatro di massicci arrivi di schiavi, prelevati nella loro terra d'origine, l'Africa e trasportati sull'isola con navi della regia marina inglese. La popolazione di coloro che da questi schiavi discen– de, rappresenta tuttora la fetta di gran lunga più grossa della popolazione della Jamaica, governata da una ri– stretta èlite di borghesi bianchi. È fondamentale precisare che, fin dall'inizio, in mate– ria di schiavismo la Jamaica ebbe una storia a sè. L'isola, ricca di inaccessibili montagne e di foreste lus– sureggianti, offrì subito agli schiavi la possibilità di sfug– gire ai propri carcerieri e di darsi alla macchia. E infatti, una parte degli schiavi africani scelse di dare un taglio netto alla propria spiacevole condizione e optò per la latitanza, trovando rifugio sulle montagne e nella foresta. Questa comunità di ribelli sopravvisse cibandosi di frutta e verdura, creandosi un proprio «Modus vivendi» e una propria filosofia, un proprio originale credo etico– religioso. È in questo contesto che s'inserisce la figura di Marcus Mosiah Garvey, un messianico evangelistajamaicano che iniziò, intorno agli anni '30, un'instancabile opera di dif– fusione di questo cr~do politico e religioso. Secondo Gar– vey e secondo i suoi primi seguaci, l'unico autentico sco– po della vita di ogni jamaicano nero deveva essere quello del ritorno a casa, del ritorno all'Africa alle proprie radi– ci. Non certo un ritorno individuale, privato, determinato probabilmente da privilegi economici acquisiti col tem– po, ma un abbandono generalizzato della cosiddetta «ci– viltà bianca», chiamata con dispresso Babylon, un ritor– no di massa, un vero e proprio esodo (Exodus) verso il Pianeta Africa. Garvey disse di guardare con occhi speranzosi al primo re che venisse incoronato in Africa, poichè quel re sareb– be stato la guida carismatica di tutto il popolo jamaica– no. Così quando un etiope di nome Ras Tafari (Primo Creatore) venne incoronato Imperatore Haile Selassie I, Re dei Re, Signore dei Signori, Leone Conquistatore del– le Tribù di Giuda, i seguaci di Garvey riconobbero in lui il sovrano indicato nella profezia, l'incarnazione di Dio (Jah) sulla terra, il Grande Alpha. Dal suo nome, Ras Tafari appunto, essi presero l' ap– pellativo di Rastafarian, abbreviato poi in Rastamen (lett. uomini rasta) o comunemente in Rasta. Attualmente si calcola che nella sola Kingston, capitale della J amai ca, il numero dei Rasta si aggiri intorno alle ventimila unità e praticamente tutti i musicisti che suona– no reggae, Bob Marley compreso, appartengono a tale minoranza. I Rasta meditano passi della Bibbia, si lasciano cresce- RE NUD0/54 re i capelli in lunghe trecce (dreadlocks), si nutrono esclu– sivamente di cibi naturali, ascoltano e suonano reggae (la musica da loro stessi creata), passano una buona parte del loro tempo fumando notevoli quantità di marijuana, che essi chiamano ganja o hern e che non considerano af– fatto una droga, ma al contrario un vero e proprio sacra– mento, un «medium» per accostarsi e comunicare con il divino, con Jah, con Dio, non inteso come persona, ma come modo di pensare e di essere. Oggi i Rasta vivono nei piccoli villaggi dell'isola, nelle foresta tropicale e soprattutto ammassati nelle shanty– towns, (]) di Trenchtown, la grande bidonville alla peri– feria di Kingston. La Jamaica dei Rasta - e in genere quella di tutti i sot– toproletari negri dell'isola - non è la Jamai ca da cartoli– na, quella favoleggiata nei depliants colorati delle agen– zie turistiche nordamericane ed europee, quella delle lunghe spiagge immacolate, dei grandi alberghi con pisci– na, TV color e aria condizionata. La J amaica dei Rasta è quella della miseria, dell' abbruttimento, dello sfrutta– mento, del sottosviluppo, quella senza luce, senza pro– spettive. Il tasso di mortalità infantile a Trenchtown è alto, co– me pure drammatici sono i dati sulla delinquenza, so– prattutto quella minorile e giovanile. Gli adolescenti del ghetto imparano ben presto ad usa– re il coltello, a difendersi dal più forte, dalla brutalità della polizia, vivendo sulla propria pelle tutte le conse– guenze dell'assenza di istruzione e di educazione, di una vita passata nella strada. A Trenchtown non esiste orizzonte, non esiste futuro (il «no future» della generazione punk inglese è figlio del– lo stesso malessere); disoccupazione e povertà segnano fin dall'inizio l'esistenza del giovane nero jamaicano e anche qui l'arte d'arrangiarsi, espressa nei termini più degradati, è l'unico, estremo espediente per sopravvive– re. In questa situazione disperata prende piede il mito del– l'Africa, il mito del ritorno alla terra d'origine, alla vita ed è per questo che oggi più che mai, il movimento Rasta attira ~ sè, soprattutto le giovani generazioni e come non mai è avvertita l'esigenza di respingere una realtà oppri– mente, non voluta, umiliante e prorompente il desiderio di riscattare se stessi da tale situazione. Dunque il Rasta si sente straniero in terra straniera ed è in posizione antagonista rispetto ai parametri della socie– tà bianca, della realtà di Babilonia, vivendo già ideal– mente a Zion, la terra promessa. Per questo egli si rifiuta di partecipare in qualsiasi modo alla vita pubblica jamai– cana, non pagando nè tasse nè qualsiasi altro tipo di contributo, nella maggioranza dei casi non votando nep– pure e applicando in sintesi una sorta di resistenza passi– va, globale allo shitstem un gioco di parole che i Rasta usano e formato da shit, cioè merda e sistem, sistema. Come dicevo, nella ribellione Rasta, pur con delle pe– culiarità proprie solo al movimento jamaicano, è possibi-

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