RE NUDO - Anno XI - n. 83 - gennaio 1980

Siori e siorine Vorrei parlarvi questa volta di un argomento scabroso, che non si sa ancora bene da che lato affrontare. L'oggetto misterioso in questione è l'apporto decisivo delle donne, sì dico donne, alla rinascenza del rock attualmente in corso. Orbene, vi chiederete voi, che c'entrano le donne col rock? Domanda più che lecita in effetti. Forse che sia mai stato dato di vedere una donna nell'organico dei Beatles o dei Rolling Sto– nes? O, passando a rcickstar a noi più vicine nel tempo, nello · spazio, qualcuno ha visto do!me in posizione preminenti suo– nare con l'Eno delle stratégie oblique o con gli Area del buon Demetrio (che Dio l'abbia sempre in gloria)? Tutt'al più buone a cantare in coretti di sotto fondo o anche in primo piano (vedi la fortunata stirpe delle folksinger) finora non s'era visto invece una donna in gamba (eccetto Janis Jo– plin) che sapesse veramente suonare del buon rock. Semplice anche spiegarsene i motivi. Non a caso Elvis era soprannomi– nato the pelvis (il pelvico, per duri di comprendonio), prova inequivocabile dell'assiona di base secondo cui il rock è ma– schio e «cihalepalle». Anche se forse contraddetta dalla esisten– za di numerosi personaggi fortemente femminili o quantomeno ambigui nella loro preseriza scenica, però pur sempre formal– mente maschi, e dal1a presenza di alcune, poche a dir la verità, mogli o fidanzate di membri di gruppi rock come Ruth Under– wood o Linda Mc Cartney, questa tesi che vuole maschio il rock è stata sempre largamente vincente sulle altre. Ne sono da sempre prove inequivocabili, oltre agli ancheg– giamenti penetranti e fecondatori di Elvis the pelvis, anche le condanne per violenza carnale a Chuck Berry, l'esistenza delle «groupies» e non dei «groupies», gli shows violentissimi degli Who di vent'anni fa o dei Kiss di oggi. Donna in questa area semantica (mi sia concesso lo sconfina– mento a sproposito in campi non leciti per un semplice critico musicale) ha sempre e soltanto voluto dire oggetto sessuale o d'amore cui intitolare le canzoni (da «Gloria» di Umberto Toz– zi ad «Angie» di Mick Jagger, o viceversa), oppure karnazza da sbattere in copertina (illuminanti in proposito tutte le buste dei Roxy Music) o, tuttalpiù, cantanti o folksinger originali e di lusso, capaci anche di ottime cose, ma sostanzialmente margi– nali (per quanto tempo si è liquidata Joan Baez come «la donna di Bob reuccio Dylan?) e rinchiuse in un ghetto dorato. A parte la presto liquidata dalla storia eccezione Janis Joplin il problema non si è mai posto e al rock sono rimasti saldamen– te appiccicati un pene e, naturalmente, qualche coglione. RE NUD0/48 Ma dato che la nostra è un'era in cui tutte le certezze, anche le più certe, sono destinate ad essere messe in discussione, ecco allora che, da qualche tempo, mani di donna strattonano il ses– so del buon vecchio rock per cavarne da un vero maschio quale è stato un eunuco o, peggio, un perverso polimorfo. Nonostante dei sintomi fossero già nell'aria da qualche tem– po, la «situazione» che ha permesso la (de)generalizzazione di questo attacco, è stata l'avvento sulle scene musicali mondiali di quella nuova orda d'oro che si è tentato di ingabbiare sotto il termine di punk prima, di new wave poi e di novorock o after– punk adesso. Volendo fissare date da tramandare ai posteri, si può datare l'inizio di questa piccola rivoluzione copernicana nel '75, quando cioè quel vecchio lupo di John Cale, ex Velvet (Maledetti) Underground, scopre nei locali più malfamati di New York una matta che, colpita dalla poliomelite in tenera età, si crede Arthur Rimbaud nei giorni pari e Dio o la Madon– na in quelli dispari. Il suo nome è Patti Smith ed inciderà di li a poco, sotto l'attenta Caleguida uno splendido Lp dal titolo «Horses», destinato a lasciare un segno indelebile nelle orec– chie di molta gente, specie in quelle dei critici, quasi tutti ma– schi, specializzati in rock. Pressappoco nello stesso periodo, a parecchie migliaia di miglia da New York, in un piccolo villaggio della Francia Pari– gi, viene da alcuni etnomusicologi registrata sul campo la voce e la chitarra di un'altra folle che ha una voce alla Edith Piaf versione rock. Si fa chiamare Marna Bea Tekielski, è di origine slava, forse polacca, ed anche di lei sono in molti ad accorger– sene subito, per la sua voce eccezionale e per la carica travol– gente che possiede. Aperta così la strada, attraverso questi due casi eclatanti, de– cine di altre donne si scatenano e suonano dappertutto tutti gli strumenti. Nel rock europeo d'avanguardia, le donne del gruppo Henry Cow, Lindsay Cooper e George Born, lasciano i loro colleghi e fondano ilFeminist lmprovising Group. Nelle cantine della ri– volta «punk» inglese ed americana invece nascono The Slits ( = Le fiche), formazione: Arri Up, Tessa, Palmolive, e Viv Alber– tine; Siouxsie and the Banshees; Jordan e gli Ants, Poly Styre– ne e gli X-Ray Spex; Cherry Vanilla; Debbie Harry coi suoi Blondie; le Runaways; le Chi Pig e tante altre ancora. Loro so– no le musiche (violente), loro i testi (rozzi e zozzi), loro le chi– tarre fracassate: il primato maschile è ormai infranto,, .1aloga– mente a quanto da anni è già avvenuto altrove, nel. jazz per esempio. E così, fra cocci e nuovi fermenti dell'alternativa delle donne, si giunge alla soglia degli anni '80. I tempi sono ormai maturi e, anche in una colonia musicale quale I"' Italia è, le don-

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