RE NUDO - Anno XI - n. 83 - gennaio 1980

coglieva e stracciava foglie, si espone':'a al vento, gli orecchi pieni di filtri di siga– rette, leggermente vellicanti, oppure metteva un cespuglio in testa, e cose si– mili. Si guardò la pancia: chissà se un buco esisteva oltre ai suoi contorni e dintorni e una volta che tutto intorno fosse sparito si poteva dire che fosse esisiito? Ripen– .sandoci l'ultima fase eccitante della sua vita era stata quella trascorsa a Roma. Abitava al terzo piano accanto a un mu– raglione enorme che permetteva la vista solamente del tetto di un ampio palazzo e l'enigma che si celava gli dava continua eccitazione. che cosa si nascondeva, che cosa si svolgeva? Aveva visto entrare grandi macchine nere dai vetri oscurati e un'autoblindo con una mitragliatrice e un carro armato e mai un essere umano, nè mai aveva visto uscirne. Aveva messo un'alta scala sul cassettone, era salito su quella instabile piattaforma, rischiosa, traballante, ma non era bastato. Coi tubi dell~ stufa aveva costruito un lungo, lunghissimo periscopio, che superava il parapetto e permetteva di scorgere, pure confusamente, delle figure che si aggira– vano nel giardino, o sui balconi o spor– gersi alle finestre. Sembravano donne dai grandi seni, qualche volta gli sembra– va di scorgere un uomo, vedeva abba– stanza bene i calzoni, le scarpe, la giac– chetta a quadri, ma dentro non riusciva a scorgere se vi era veramente un uomo. Era tornato a Milanp, tutto si era fatto normale, regolare, senza sorprese, gri- gio, monotono; non c'era più nulla dari– cordare. Quale interesse e scopo aveva avuto la sua vita oltre al fatto di esserci? Toccò il chiodo prendendolo piano, af– ferrò la capocchia, cominciò a sfilarlo. Non aveva paura. Non sapeva che sareb– be avvenuto. Ma la morte era meglio che quella terribile paralisi, inerte, inutile, senza respiro. Si accorse allora che il chiodo non c'.era, il gambo mancava, soltanto la capocchia appiccicata. Il si– gnor Paflinger gli disse incontrandolo - Come sta? Io credo che bisogna avere un Dio. Uno qualsiasi, non importa, purchè ci sia. Se non ci fosse bisognerebbe crear– lo. - Il signor Paolo Teto meditò sulle parole. Uscì in cortile dove sapeva che c'era della terra grassa come argilla. Sca– vò con la paletta, lavorò con le mani. Fe– ce una piatta testa rotonda, con un ra– metto i baffi, due cupolette per gli occhi, il corpo con un piccolo tubo, due strette braccia e pue mani. Dio, DiQ mio - mormorò - non hai creato il mondo ma sei più grande di me. Lo portò in came– ra, sopra il cuscino, e mentre chiudeva gli occhi si pose la mano Sua sppra la fronte e sorridendo di consolazione ap– poggiò meglio la guancia e si addom1en– tò. POETI DELLA FE ICE DYLA TIIOMAS · POESIE A ~urndi Roberto Sane:,i pagine 180. L. 6.500 BIBLIOTECA DELLA FENICE SYL IA PLATII · LETTERE ALLA MADRE A L·ura di Martc1 Fabiani pagine 328. L. 9.500 QUADERNI DELLA FENICE n.. 111,(iunn 1~:••· TIIOM GU · TATTO Traci. di Ludano Erba. intr. di cmi D'Ago"tino pagine 104. L. J.500 GUANDA RE NUD0/37

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