RE NUDO - Anno IX - n. 69 - ottobre 1978

RE NUD0/24 Diario di viaggio di C. G. Jung tra i Pueblos La testimonianzapacata di uno studioso che comepochi seppe guardarenelleradicitradizionali e primitive dellapsiche collettiva.In questepagine proponiamo un itinerarioideale fuori dalladogmaticaautoesaltazionedell,occidentemoderno e dell'etnocentrismo Quanto contemplai per la prima volta lo spettacolo europeo del Sa– hara, circondato da una civiltà che ha con la nostra più o meno la stessa relazione dell'antichità roma.– na con i tempi moderni, mi resi conto di quanto completamente, persino in America, fossi ancora impacciato e legato dalla coscienza culturale dell'uomo bianco. Fu al– lora che maturò in me il desiderio di portare più a fondo i paragoni storici, scendendo a livelli ancora inferiori di civiltà. Il viaggio seguente mi condusse in compagnia di alcuni amici america– ni, a visitare gli indiani del Nuovo Messico, i Pueblos, costruttori di città. "Città", tuttavia, è una paro– la troppo grossa; ciò che essi costi– tuiscono in realtà sono solo villaggi ma le loro case assiepate, costruite l'una sull'altra, sugeriscono la paro– la "città", come pure il loro lin– guaggio e tutte le loro maniere. Fu quella la prima volta che ebbi l'oc– casione di parlare con un non-euro– peo, cioè con un non-bianco. Era un capo dei Pueblos Taos, un uomo intelligente, dell'età di quaranta o cinquant'anni. Il suo nome era O– èhwia Biano (Lago di. Montagna). Potei parlare con lui come raramen- te ho potuto con un europeo. Cer– tamente era prigioniero del suo mondo, così come un europeo 10 e del proprio; ma che mondo era! Parlando con un europeo ci si in– caglia sempre nei banchi di sabbia delle ·cose conosciute da tempo ma mai comprese; con questo indiano invece la nave galleggiava su mari profondi, sconosciuti. E non si sa che cosa sia più affascinante, se la vista di nuove spiagge o la scoperta di nuove vie d'accesso a ciò che ci è noto da sempre e che abbia– mo quasi dimentica– to. "Vedi" diceva 0- chwia Biano "quanto appaiono crudeli i bianchi. Le loro lab– bra sono sottili, i loro nasi affilati, le loro facce solcate e altera– te da rughe .. I loro occhi hanno sguardo fisso, come se stesse– ro sempre cercando qualcosa. Che cosa cercano? I bianchi vogliono sempre qual– che cosa, sono sempre scontenti e irrequieti. Noi non sap– piamo che cosa vogliono. Non li capiamo. Pensiamo che siano paz– zi". Gli chiesi perchè pensasse che i bianchi fossero tutti pazzi. "Dicono, di pensare con la testa" rispose. Ma certamente. Tu con che cosa pensi? gli chiesi sorpreso. "Noi pensiamo qui", disse, indican– do il cuore. M'immersi in una lunga meditazio– ne. Per la prima volta nella mia vita, così mi sembrava, qualcuno mi aveva tratteggiato l'immagine del vero uomo bianco. Era come se fino a quel momento non avessi visto altro che stampe colorate ab– bellite dal sentimento. Quell'india– no aveva centrato il nostro punto debole, svelato una verità alla quale siamo ciechi. Sentii sorgere dentro di me, come una informe nebulosa qualcosa di sconosciuto ma pare di profondamente intrinseco. E da questa immagine dopo immagine, si districarono dapprima le legioni dei Romani che piombavano sulle città dei Galli, e i tratti decisi di Cesare, di Scipione l'Africano, di Pompeo; poi vidi l'aquila romana sul Mare del Nord e sulle rive del Nilo Bian– CQ.i e poi sant'Agostino che portava ai Britanni il credo cristiano sulla punta delle lance romane, e la più gloriosa conversione dei pagani ot-

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