RE NUDO - Anno IX - n. 64 - aprile 1978

l..EIIERA "29 anni, un padre buono, una madre intelligente, una vita di merda ... " Ho 29 anni, mi sembrano tanti, ma la volontà di recuperare il tempo perduto del vivere di cui sono stata defraudata, mi fa nata da poco, troppo poco. Ho alle spalle la solita educazione perbe– nista piccola-medio borghese, un padre buono e generoso nella sua inconsape– volezza di tipo liberale, da qualche tempo non parla quasi più, ascolta cio che accade e tace, forse si rende conto che stiamo vivendo tempi duri, una madre intelligente ma fondamental– mente nevrotica, cattolica e con gravi fobie nei confronti del sesso. Da bam– bina sono stata picchiata poche volte, ma quelle poche selvaggiamente, oggi capisco che razza di nevrosi facevano trasparire certi atteggiamenti sadici. Quando mi si rimproverava, non mi si spiegava mai il perché, dovevo accet– tare supinamente tutto ciò che mi spacciavano per giusto, altrimenti ero cattiva e cadevo in peccato. Cosi pen– savano anche le monache che cercava– no di ridurre all'obbedienza un carat– tere per natura troppo ribelle. Per me cattolicesimo ha significato, come mi· avevano insegnato, repressione e ne– gazione di me, io con tutti i miei desi– deri e con la mia natura ero da di– struggere, l'ideale che mi ponevano ·b iot ca G'no n davanti era la distruzione di quel mio io autentico, che loro identificavano nel peccato, la lotta che mi avevano insegnato a combattere era quella della mia volontà contro il mio istinto che in quanto tale andava eliminato, l'ideale era il s.uperamento di me fatto da me; questo tipo di terribile e deviante per– fezionismo lo si raggiungeva attraverso il sacrificio, il tuo più acerrimo nemico eri tu con la tua naturalità. Nei rapporti di amicizia per lunghi anni portata al– l'immediatezza, cominciavo a capire che sbagliavoancorauna volta, gli altri, diseducati anche loro, se ti mostravi fragile e vera ti deridevano, ti usavano, ti schiacciavano. Certo ci furono anche i-apporti stupendi, che durano ancor oggi con profonda verità, ma erano ec– cezioni, generalmente la vita quotidia– na mi insegnava dolorosamente che esprimere se stessi era sbagliato, che la naturalezza e l'innocenza erano pecca– to, nella ipotesi migliore era ingenuità, cioè uguale stupidità. Tutte le volte che "dovevo" adeguarmi, il mio vero essere si difendeva dalla violenza con feroce angoscia, sofferenza, che era solo soli– tudine. Ricacciavo, per paura di soffri– re, il mio vero io nel profondo e vivevo sempre di più il falso io, fatto ad im- RE NUD0/3 magine degli altri. Con i primi ragazzi, i tentativi di essere vera, sincera, una sincerità che oggi mi fa sorridere perché ne conosco una più profonda, furono anch'essi fallimentari, e come maschietti in tutto e per tutto, facevano sforzi enormi per noQ.essere femminili cioè fragili, veri, disperati e teneri. Vis!l tutto come una violenza a me stessa, naturalmente anche il sesso, ero li che stavo male, con una tensione dentro spaventosa, non vedendo l'ora per lo più che tutto finisse, lo facevo perché era "giusto" farlo, imperativo catego– rico dopo il '69, mi sentivo anormale di fronte agli altri che parlavano di orga– smi avuti a coh!.zione,a pranzo, a cena . .L'esigenza di vivere un rapporto di– , verso con me stessa e di conseguenza con gli altri stava diventando una ne– cessità sempre più reale e violenta, e divemava una questione di pura so– pravvivenza, continuavano a verificarsi rapporti castranti, spesso micidiali per me, che continuavano ad aumentare l'insicurezza, già così presente, del mio io che ancora non avevo imparato ad amare. La laurea e poi l'insegnamento, ancora fuori casa per un anno di cre– scita enorme, dopo uno spaventoso periodo, vissuto durante la tesi, quando per la prima volta ho guardato in faccia la mia follia, il mio istinto vitale mi stava avvisando della sua morte, la mi'a identità schiacciata gridava un grido d'aiuto, la malattia degli altri, divenuta in parte anche la mia, lottava confero-· eia e crudeltà contro la mia essenza troppo a lungo avvilita, spaventata, in– sicura. La morte fisica mi consolava, mi dicevo spesso per sopravvivere ad un altro giorno nauseabondo: se non ce la faccio mi ammazzo. Fu il fondo di un baratro dove ho co– nosciuto la paura, la fragilità che va in pezzi, il bisogno pazzesco e disperato di vero amore e contemporaneamente il rifiuto, dettato ancora dalla paura, di esso e la volontà di autonomia, una falsa "autonomia". Il fascismo cattoli– co che era ancora in me, rifiutava ancora una volta, nonostante le certez– ze sessantottesche, la mia fragilità. Fu quello scossone tremendo con droga da psicofarmaci e notti folli, con un ragno dentro che mangiava, che mi riportò poco per volta a ricominciare e questa volta, la famosa volontà, come proces– so estraneo a me, diventava il mezzo di cui si serviva il mio istinto vitale di so– pravvivenza, per non accettare più, per

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