RE NUDO - Anno IX - n. 62 - febbraio 1978
Negli ultimi due secoli, l'arte popolare è andata progressivamente scomparen– do: se nell'ottocento ne troviamo anco– ra qualche traccia secondaria, nel no~ vecento non ne rimane più niente: la produzione di cultura è delegata alla casta intellettuale, e compito delle masse popolari .è soltanto quello di fruire passivamente della produzione intellettuale ufficiale, di adeguarvisi senza contribuire in alcun modo alla sua elaborazione. Non esiste più una musica popolare, sostituita da una "pop-music" elabora– ta da professionisti delle sette note e contrabbandata per autentica espres– sione creativa delle classi popolari. Non esiste più una pittura popolare, un teatro popolare, una poesia popola~ re, nel senso di una pittura, un teatro, una poesia che escano direttamente dal cuore dell'uomo comune come elemen– ti espressivi e creativi. Esiste in questo campo un qualcosa che alcuni intellet– tuali di professione fanno "per il popo– lo", ossia elaborano in modo autono– mo per "darlo in pasto" al popolo. Non esiste più una capacità popolare di elaborazione di trame narrative, di quelle trame narrative che costituirono il corpo delle "leggende" successiva– mente saccheggiate dalla cultura "d'èlite", ma esiste la delega a qualcu– no di inventare narrazioni adatte ad essere consumate da un'umanità passi– va e rassegnata. Ora, se tutto questo non rappresenta un terrificante crollo del livello cultu– rale dell'uomo medio, non sapremmo proprio come altrimenti definirlo. "Ecco il solito nostalgico del passato", il solito rincoglionì to che si appella ai "bei tempi andati" semplicemente per– chè non è capace di adeguarsi al suo tempo. Spiacente, ma non è così. Io non sono affattÒ un nostalgico del passato, non provo alcuna propensione sentimentale alla ricreazione di una società medievale, non amo l'arcadia, non ho proprio nessuna nostalgia per gli ordini cavallereschi e per le a vven– ture di cappa e spada. Queste nostalgie le lascio ai milioni di "uomini tecnolo– gici" che vanno a vedere "Guerre Stel– lari" per rivivere in chiave di astronavi la favola di Re Artù e della Tavola Rotonda. O le lascio a quelli che sognano una conquista dello spazio operata attra– verso l'invio di lucenti astronavi su Venere, Marte ed affini. A quelli che si divertono a giuocare con l'atomo, stu– pidi apprendisti stregoni che vedono nelle centrali nucleari la soluzione dei problemi dell'uomo. Agli utopisti dello sviluppo tecnologico illimitato che de– lirano sulla possibilità di un'elevazione del tenore di vita attraver~0 la delega alle macchine delle resµons.ibi!ità ope– rative (il delirio della lampada .:!.i ala– dino, con il suo genietto servizie,·0le che procura ricchezze immense prev, "– sfrega'ture del contenitore). Non sono nostalgico del passato, ma nostalgico del futuro: di un futuro che, progressivamente, i misfatti della te– cnologia stanno rendendo impossibile, attraverso una rapidissima sterilizza– zione del nostro pianeta e delle sue risorse. · Attraverso l'avvelenamento idiota della terra, della sua atmosfera, dei suoi oceani. Vivendo nella dimensione degli equili– bri naturali, ho -scoperto una cosa, molto importante: che la mia doman– da di sempre "che cosa sono qui a fare?" era una domanda perfettamente idiota. Una rosa non cresce per "fare" qualco– sa. Un cespo di lattuga non si sviluppa e va in fiore per FARE delle cose. Una gallina non depone l'uovo, e poi lo cova, per FARE delle cose. La rosa cresce per ESSERE qualcosa, e così la lattuga, la gallina, e il resto. La civiltà tecnologica ci ha condizionati a veder– ci come elementi di un meccanismo che deve produrre, e come elementi di questo meccanismo siano inevitabil– mente portati ad impostare la nostra esistenza sul fare, a valutarci sul metro della nostra coerenza con la produzio– ne di qualcosa, merci o idee, manufatti RE NUD0/33 o astrazioni. Ma niente, nell'universo, è nell'univer– so per fare. Tranne le macchine, le quali non sono un prodotto naturale, ma una specie di malattia infetti va. Le cose che nell'universo sono, ci sono per ESSERE, e non per fare o per avere. L'unica domanda possibile, a cui cer– care risposta, è quindi "chi SONO?", e non l'altra, tanto subdola quanto espressione di un modo di concepire il mondo assolutamente meccanico e puerile. Questo - come J agadis Chandra Bose - l'ho imparato da coloro che lavorano la terra, e la rendono verdeggiante di vegetazione. L'ho imparato da quel "me" c.he lavorava la terra, e l'ho imparato da tutto ciò che sulla terra esiste, ha vita, cresce e si sviluppa nell'armonia di equilibri sostanzial– mente immutabili. Imparare questo, ha significato impa– rare anche molte altre cose. Per esem– pio che si può dipingere per il puro piacere di farlo, senza nessun bisogno di porsi complicate domande sulla fun– zione dell'arte e dell'estetica nel mondo contemporaneo. Che si può scrivere per il puro piacere di scrivere, senza necessariamente subordinare l'atto espressivo ad una finalizzazione editò– riale e commerciale, o comunque proiettata nel "vantaggio sociale". Che si può far musica per il puro piacere di farla, per il puro piacere di comunicare e di esprimersi. In altre parole, ho imparato che si può esistere per il puro piacere di esistere, senza essere condizionati dalla logica meccanica del "fare", ed accettando tutte le implicazioni, in termini di responsabilità, di coinvolgimento, di fatica, e di amore, che l'esistere com– porta. Da questo stato, una volta generalizza– to, onnipresente, nasceva una produ– zione di cultura positiva, intesa come espressione autonoma, piena, e non finalizzata, che formava la indispensa– bile base alla crescita di una cultura popolare. E dalla distruzione di questa base, operata dalla civiltà tecnologica del FARE, è derivata l'estinzione.della cui tura popolare. La questione non è soltanto una fac– cenda filosofica molto astratta e molto nelle nuvole: dall'analisi di questa logi– ca dell'essere nasce anche la risposta a problemi strettamente tecnici connessi - oltre che col proprio modo di vivere - anche con i modi di strutturazione del proprio rapporto con la natura, con la terra, con gli animali. I
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