RE NUDO - Anno VIII - n. 58 - ottobre 1977

Riprendiamoci la terra Si può ritornare a vivere in modo meno cretino? La campagna non è un prato su cui sedersi a suonare un flauto dolce. Ci sono due affermazioni contrastanti da smentire subito: I) Vivere in campagna è uno sballo. Puoi fare quello che ti pare, e nessuno ti rompe le balle. Il) Fare il contadino è un mestiere impossibile. Non rende una sega, e bisogna farsi un paiolo cosf. Nessuna di queste due posizioni corri– sponde alla verità: fare il contadino è un mestiere come un altro, che da ' il necessario per vivere, purchè lo si fac– cia bene, con impegno e con la necessa– ria intelligenza. Vivere in campagna è uno sballo soltanto !er chi ha un sacco di lire, e può fare i turista a vita. Per tutti gli altri è abbastanza dura. Il fatto che sia abbastanza dura è larga– mente dimostrato dal fallimento quasi totale di tutte - o quasi tutte - l'e iniziative freak degli ultimi dieci anni: gente che partiva, piantava le tende in una cascina, zappettava la terra irrego– larmente per un po', stava a "contem– plare la natura", e poi tornava in città lasciandosi alle spalle un mare di er– baccia grama. In questa serie di articoli, cercheremo di spiegare che cosa significa "vivere in campagna" fornendo tutte le informa– zioni tecniche del caso, ma non soltan– to questo. Difatti, il tema principale non è tanto quello del cosa significa vivere in campagna, ma quello del cosa significa vivere. Su questo tema si sono rotti le corna alcuni milioni di "pensatori" per alcu– ne migliaia di anni, per cui non preten– diamo affatto di risolvere noi il proble– ma in modo definitivo. Tuttavia pen– siamo che valga la pena di dare anche il nostro contributo, perchè, in fondo, qualcosa ci sembra anche di aver capi– to, in relazione all'argomento. E cominciamo subito col dire che "vi– vere", per quello che ne sappiamo, significa "amare": amare quello che si fa, il motivo per cui lo si fa, il luogo in cui lo si fa. Amare quello che si è, il motivo per cui lo si è, il luogo in cui si è. Se questo è vero quasi sempre, ancora più è vero quando si parla di agricoltura: niente, in questo campo, funziona nel modo giusto, se non c1 si entra nel modo giusto, ossia con amo– re. La terra non è una vecchia baldracca da sfruttare e violentarei<.;,iche deve' "rendere", con le buone o con le catti– ve, e facendo meno fatica possibile. L'idea che la terra sia cosi, è una vecchia bestemmia della "civiltà d'oc– cidente", la cui vocazione di magnac– cio violento e idiota è cosa nota. La terra è un essere vivo, complicato, pieno di problemi, suscettibile, perma– loso, ma· anche disposto a collaborare pienamente e con pazienza con chi le si accosta nel modo ~iusto. E il modo giusto è quello dell impegno, dell'im– pegno completo, sincero, totale, in cui la gara è "a chi da di più", e non a chi "prende di più". QUANTA TERRA Cl VUOLE? In Italia il patrimonio agricolo e fore– stale è di circa 25 milioni di ettari, di cui poco meno della metà sono effetti– vamente coltivati. Vale a dire che il rapporto tra gli abitanti e territorio agricolo può essere valutato attorno aila cifra di 3 italiani per ettaro colti– vato. E, grosso modo, questo è il rap– porto giusto. RE NUD0/19 Tenendo però conto che .il rapporto vale in termini relativi: per mettere in piedi qualcosa che dia. da vivere, non si può fare il calcolo che in tre basta un solo ettaro di terra. E' necessario pren– dere in considerazione una superficie minima di tre-quattro ettari (vedremo poi p~r<:hè), su cui possono vivere otto-d1ec1persone. Il tempo - lavoro necessario per fare andare avanti in modo corretto un podere di queste dimensioni (evitando meccanizzazione, culture intensive, fer– tilizzanti chimici e diserbanti) è di circa 7.000 ore all'anno: se si è in cinque su otto ad occuparsi diretta– mente della conduzione agricola, si arriva a 1.400 ore all'anno a testa, circa 4 ore al giorno per 365 giorni complessivi. Se si è in meno di otto persone, il limite minimo del podere deve comunque essere attorno ai tre ettari, che saranno utilizzati allora in modo diverso, con rotazioni e differenziazioni produttive. Perchè cosi tanto terreno? In pratica, per produrre ortaggi necessari a circa otto persone, può essere considerato sufficiente un orto di circa 3.000 metri quadrati, ossia circa un terzo di ettaro (per chi non lo sapesse, un ettaro sono diecimila metri quadrati). Ma, evidentemente, l'orto non è una fonte di nutrimento sufficiente: per poter arrivare ad una nutrizione com– pleta occorrono animali da cortile (polli, tacchini, oche) ed almeno da piccola stalla (capre), che producono uova, latte, formaggio, e carne per chi la mangia.

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