RE NUDO - Anno VII - n. 48 - dicembre 1976

Tempi' duri per i cantautori, specie per quelli «politici•, al– meno dentro e fuori (fino a Quarto Oggiaro e San Giulia– no) la cerchia dei Navigli; tempi duri, poi, di fatto, per iniziativa di una «minoranza.. che giudica i cantautori so- · stanzialmente Ipocriti e op– portunisti che cavalcano la tigre della grande svolta a si– nistra. Svolta a sinistra che non c'è, non si vede, neanche .al raggi X. Se c'è, c'è proprio a livello di consumi culturali, nel sen– so che oggi diverse centinaia di migliaia di ragazzi preferi– scono ascoltare canzoni che parlano di cose che li tocca– no più da vicino dei gorgheg– gi di quella brava cantante di musica leggera che nessuno, ma proprio nessuno (riel mondo dei codidetti addetti ai lavori) si azzarda a nomi– nare perché potentissima e sconvolgente iettatrice. 11 disco di Camerini, in parti– colare, è un disco che, a meno di cadere nella più paz– zesca retorica, specie sulle colonne di Re Nudo, è più da ascoltare che da essere par– lato o scritto. Perché non gli manca nulla; né la musica, tantomeno le parole, e anco– ra meno aderenza veramente esatta e profonda al mondo che tutti I compagni che stanno leggendo adesso vi– vono. Sia che siano a casa o che siano al lavoro. E, nel disco, non c'è né retorica né impac– cio. «Un'operazione linguistica lucida e conseguente che re– alizza nella sua ricca artico– lazione un incontro di fattiva e eccezionale coincidenza fra un mondo reale, vissuto, e un insieme di segnali stam– pati su derivato di petrolio decodificabili mediante op– portuno apparecchio mecca– nico-elettronico chiamato gi– radischi. ..» Tempo fa a casa di amici ho ritrovato un vecchio Re Nudo dove c'era una mia recensio– ne, entusiasta di un concerto di un gruppo, embrionale, tanto poco definitivo da esse– re durato solo il tempo di quel concerto, alla cui testa c'era il Camerini, più giova– ne. Cenerentola è un film sonoro a cui abbiamo partecipato tutti e il pane quotidiano, spesso ha sapore amaro. Non Non è cosi? , (M.V.) nmset . ...., RANDY WESTON MEETS HIMSELF (Produttori asso– ciati) Randy Weston è uno di quel musicisti che ha fatto strada da solo, senza grossi lanci pubblicitari e appoggi di case discografiche; e certa– mente per questi motivi, non è conosciuto dal grosso pub– blico di jazz. Cresciuto artisticamente at– torno agli anni cinquanta, dopo aver seguito la scuola «bebop», rimase influenzato per anni dallo stile di Thelo- nious Monk, da cui prese maggior attenzione alla cul– tura africana. La sua musica non è quindi un tentativo commerciale per inserirsi nel filore «afro-jazz», che è riduttivo in sé come qualsiasi altra etichetta del genere, bensi un .onesto im– pegno a riproporre i ritmi, i colori e le nostalgie africane, filtrate dal suo personalissi– mo linguaggio espressivo. Weston da parecchio tempo, ama suonare da solo; non riesce ad accettare l'idea di formare gruppi che suonino la sua musiea. Personalmen– di rifiuti ad appoggiare i suoi concerti, e di cose del gene– re, che certo non aiutano un musicista a confrontarsi con la gente e con le iniziative culturali. A questo proposito, possia– mo ormai essere certi, che il jazz in Italia, sta andando di moda. Quando finiranno le rassegne estive tipo Perugia e Pescara, il jazz finirà nelle arene, negli stadi e nei pala– lidi con la conseguente morte della comunicazione fra arti– sta e movimento. (Del resto questi funesti episodi si sono già verificati da tempo, basti pensare all'ultimo 6oncerto di Don Cherry all'arena di Mila– no durante lo scorso festival dell'Unità). Randy Weston, per il suo onesto rapporto con il jazz, non sarà mai disponibile a iniziative del genere; un chiaro esempio, è già il suo disco; registrato in un solo pomeriggio, e completamen– te improvvisato. Tutti i brani sono suoi, ad ec– cezione di «OUT OF THE PAST» che è un famoso bra– no di Benny Golson. Tra i più interessanti ricor– diamo «MONK STEPS» dedi– cato «al grande maestro di musica Thelonious Monk». (R.M.) GERRY MULLIGAN MEETS ENRICO INTRA (produttori associati) te ritengo che la sua scelta Di dischi di insieme, qui in sia coerente fino in fondo, in- Italia non se ne fanno mai. fatti dal disco, risulta chiaro Non si riesce a capire, anche che il suo stile non ha nulla da un punto di vista commer– di individualistico nel senso ciale, come mai i nostri di– più negativo del termine. scografici non riescono mai a Proprio per questo, Weston produrre qualcosa di nuovo e rientra sempre in uno stile interessante. onesto e pulito, senza sbava- Pensate un po' a una serie di ture virtuosistiche tipo l'ulti- · dischi che raggruppino insie– mo Corea. me vari musicisti (non dico Weston, oltretutto è uno di nemmeno i migliori, cioè i più quei musicisti abbastanza quotati) in un progetto musi– sfortunati, vittima da anni di cale collettivo. una inefficace distribuzione La cosa sarebbe certamente dei suoi dischi, di una serie interessante, almeno come proposta a non vivere più la musica come ghetti separati. All'estero si sa... la sanno più lunga, e di tentativi come questi ne sono stati fatti a migliaia, anche se spesso rientravano in operazioni di grosso business... (vi ricor– date quei due faccioni indi– sponenti di Santana e Mc Laughlin sotto la benedizione del terzo faccione indispo– nente del guru Maragigi-yo– ghi-bubu ??). Questo disco invece, non è una manovra speculativa ed è forse il primo tentativo di riunire vari musicisti di altret– tanto varie tendenze, in una formula espressiva collettiva. Non siamo naturalmente all'improvvisazione pura o alla jam-session, ma quasi tutti i brani del LP, testimo– niano una reale collaborazio– ne tra i musicisti intervenuti. Di Gerry Mulligan se n·~ par– lato abbastanza ormai. E uno di quei pochi jazzisti bianchi che è riuscito a non sputta– nare il jazz, o comunque a non svilirlo dalla sua naturale origine africana e non è poco considerando l'uso sconside– rato di tanti suoi colleghi. Di Enrico lntra, invece non si sa molto, a differenza del suo coetaneo Gaslini. Si sa co– munque che è un composito- · re-pianista e non è certo un uomo di solo jazz. Ha avuto anche il torto di incidere di– schi «tondi» o molto commer– ciàli se preferite. Qui invece, lntra, riesce a farsi accettare anche dal pubblico jazz. La ' sua suite «Nuova Civiltà» , che occupa l'intera prima facciata, è senz'altro riuscita, anche per la collaborazione di musicisti quali De Pisco– po, Farina, Barigozzi e Pino Presti che non si sono limitati alla semplice esecuzione, ma hanno anche collaborato sot- to il profilo compositivo. Più raccolta e intimista inve– ce, la seconda tacciata, con tre brani, di cui uno di Mulli– gan (Rio One); tre opere di agevole leggibilità che si ascoltano con piacere, senza impegno, di ascolto serio e concentrato a tutti i costi. (R.M.)

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