RE NUDO - Anno VII - n. 43 - luglio 1976
un gradino, e poi ancora un gradino, e poi ancora un gradi– no. «Non ce la faccio.», disse. «Ma su che ci siamo», e lo tira– vo su, nella camerata squallida dove lui non voleva più stare. Cadde a terra davanti alla por:ta chiusa del magazzino, un metro e mezzo per tre dove lui passa– va le giornate, da solo. «Dammi la chiave che apro e ci sediamo e poi parliamo.» Lui a terra che cercava di darsi un contegno, e cercava anche la chiave nelle tasche, e con l'altro braccio veniva di nuovo tirato in piedi da me, dio? se passa qualcuno e chiede cosa succede! La maledizione su di me che pensavo alla normalità, oh sì l'importante è che tutto sembri normale. Mi impappinai col lucchetto rot– to, il lucchetto cadde a terra vaffanculo, la porta si aprì, en– trammo. Ah! ,• .··. .... -. .- ··-:· . ; -· "'··.t. . :,.. ,• ·.· . .\=·:. :-:: .. -:.;: -·.· Si sedette. «Come va?». gli chiesi. «Mah un po' meglio ma non vo– glio andare in camerata.» «Tieni una sigaretta.» Prese la sigaretta. tentò di ac– cenderla. gli si spense il fiam– mifero, tentò ancora e ce la fe– ce.· «Cos'era quella roba che hai preso?». Chiesi così, tanto per dire qualcosa. «Senti Ansiolin mi sembra. O no? Boh. Senti guarda lì nel ce– stino che c'è il tubetto». Guardai nel cestino. C'era un tubetto di Ansìolin. Vuoto. O cazzo! «Scusa, ma mi dici quante ne hai prese?» «Quattro.» «Ma il tubetto è vuoto.» «Ah me ne son messe altre quattro nel portafoglio.» Quattro più quattro uguale otto. E se erano compresse piccole e il tubetto ne conteneva di più? Se l'è messe nel portafoglio? · Non è possibile. Cioè, non è probabile. Giossoni dondolava sulla sedia. Silenzio intorno. Ne ha prese di più. Ne ha prese di più ma non lp dice. Giossoni combatteva la sua battaglia per stabilizzarsi. «A che bene che bene» diceva ogni tanto. Ad un tratto cadde dalla sedia. Perdeva, aveva perso. «Butta ... butta via quel tubetto, mì disse, è vuoto ... non serve più.» «Non serve più», ripeté ancora più piano. «Sì sì lo butto.» Feci finta di buttarlo e me lo mi– si in tasca. Poi tirai su di nuovo Giossoni sulla sedia. «Vuoi che facciamo due pas– si?» Non rispose. Era catatonico, gli occhi sbarrati. Non reagiva. L'infermeria. De– vo portarlo in infermeria. «Senti ti porto in infermeria. «Voglio andar via di qui.» · «Ecco, appunto ... » «No, no, voglio andar via dal militare... non ne posso più ... del militare.» . «Guarda, in infermeria c'è un medico comp ... amico mio. Ti firma il ricovero in ospedale e non dice niente a nessuno e poi ti imboschi.» «Non voglio l'articolo dei droga– ti.» Sprazzo di lucidità. «No no non dice niente a nessu– no. Ci arrangiamo, pariamo al dottore. Che ti copra. Che dica che hai la bronchite:» «Ah.» «Senti tu stai qui eh? lo vado a telefonare per vedere se· c'è . quel dottore li.» C'era un tenente medico com- pagno. faceva parte del nucleo. Speriamo che sia lui di servizio. Telefonai. cincischiai. non vole– vo dire all'infermiere. non mi ri– cordavo il nome del medico. Sì c'è sta mangiando. Ah c'è lui. Che culo. Corsi da Giossoni. «C'è quel dottore amico mio. andiamo tranquilli.» «Ah.» L'infermeria era lontana. Ci vuole una macchina. Una mac– china e l'autista. «Aspetta che cerco una mac– china.» «Si.» Guardava fuori dai vetri sporchi della finestra. Sporchi? Ma sei tu che li devi pulire. soldato Giossoni. Sei tu il responsabile del tuo sgabuzzino. non puoi la– mentarti, non hai il diritto. l'e– sercito ti ha affidato un metro e mezzo per tre di spazio. se ci devi vivere devi anche curarlo. soldato Giossoni. È colpa tua, è colpa tua se vivi cosi; noi uffi– ciali gli ordini ormai te li abbiam dati; e se tu, contro al tuo inte– resse, non li vuoi eseguire. non venire a prendertela con noi. Perché noi di te ce ne sbattia– mo. Cercai un conduttore di au– tomezzi in camerata, in came– rata non c'era quasi nessuno, vuoto; ma c'era De Lucia, con– duttore pugliese, che gli faceva schifo mangiare in mensa e quindi era lì a farsi panini da so– lo e a bere vino di casa? Gli spiegai la situazione, c'è Gios– soni che sta male cosi e così, dovresti per favore venire. Lui mollò subito vino e panini e venne. con me, entrò nel ma– gazzino, vide, capi, e corse a prendere una jeep. Non si pote– va, ma chi se ne frega? Che an– dassero tutti a farsi fottere, per cortesia, gli ufficiali, l'esercito e il loro schifosissimo regolamen– to. Giossoni ed io ancora giù dalle scale, traballando, e incrocia– vamo i nostri compagni sazi coi gavettini ancora sporchi di ci– bo. Ormai si lasciava portare senza proteste, senza esprimere opi– nioni, senza dir nulla. Un tubet– to di Ansiolin. E se l'ha preso tutto? La morte danzava, uscita fuori da un tubetto di Ansiolin. No no sono io che sto· diventan– do paranoico, perché tutto que– sto non è giusto, non è vero, è totalmente fuori tempo. Non può accadere, non è vero si– gnori ufficiali? Ma pensate lo scandalo, e i giornali e la car– riera e i volantini nei cessi. «Come stai, tu?» «Ah bene insomma cosi, è tutto cosi strano.» De Lucia stava sotto con la jeep. Preoccupatissimo. (a- 45 cemmo salire Giossoni. con dif– iicoltà. e andammo. Con io che guardavo Giossoni e De Lucia. De Lucia che guardava Giosso– ni e la strada. e GiO$SOniche guardava fisso davanti a sé noi possiamo soltanto immaginare cosa. 11medico non sapeva ancora nulla: stava mangiando in mez– ;_o alla sua corte di infermieri. Quando entrai e lo tirai fuori dalla stanza senza prima spie– gargli perchè (quanto pubblico indiscreto). gli infermieri si agi– tarono come formiche impazzi– te. ·Ma cosa c'è ma cosa non c'è sei un bel rompicoglioni. Si può sapere cosa cazzo vuoi non ve– di che stiamo mangiando. 11 medico compagno mi stette a sentire attentamente. ·io che tentavo di essere conciso nello spiegare i fatti. Gli diedi il tubet– to vuoto di Ansiolin che mi ero messo in tasca. e il medico compagno si preoccupò all'i– stante. De Lucia e due infer– mieri avevano portato Giossoni sul lettuccio bianco e celo ave– vano disteso. A Giossoni si ve– deva solo il bianco degli occhi: era pallido e diceva che lui in realtà stava benissimo, che aveva tutto quello che voleva. «Sto bene. sto bene. qui c'è l'immensità. ho ciò che voglio la pace. che calma! Ecco. ecco lasci.atemi stare cosi. cosi va bene. grazie. vi ringrazio di cuore.» Mormorava piano. dovevo stare vicino alle sue labbra per senti– re. Ma quel bianco negli occhi! Lama senza luce tra le palpe– bre socchiuse. 11 medico compagno agitatissi– mo sfogliava complicati ma– nuali in inglese. trovò. lesse. tradusse. preparò una siringa e qli fece un'iniezione. ·•Va tutto bene. è tutto a posto ormai, dicevo a Giossoni. tu so– lo non ti devi preoccupare. Gli ho già parlato, dirà che hai la bronchite, ti ricoverer_à qui e poi all'ospedale. Non torni più in caserma, ti imboschi ti dico, questo medico è un'amica. l'ha già fatto per tanti.» Ormai non c'era più nulla da fa– re per me. ero d'impiccio. Ma perché le infermerie davano es– sere per forza bianche? Potreb– bero farle anche verde pisello, o lillà. Salutai Giossoni semi– addormentato: «Vengo oggi. ci vengo, ora vado a mangiare, cerca di star bene. Ciao.» Sopra la strada nel bosco che portava alla mensa. per fortu– na. il cielo era ancora azzurro come prima, e c'era sempre il sole.
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