RE NUDO - Anno VII - n. 43 - luglio 1976

' 44 PARANAJA barbiturici in èaserma Faceva caldo, grazie al cielo, e c'era il sole. I soldati facevano la fila per il rancio di mezzogiorno dietro al– le due transenne: file di sei per entrare, prima da una transen– na poi dall'altra, ma la porta del refettorio non si era ancora aperta. Di conseguenza i solda– ti, nell'attesa, facevano i soliti giochi di ogni giorno, battevano sulla spalla di uno davanti, si ri- . traevano, quello si voltava, e subito un altro gli batteva sulla spalla da un'altra parte. Ogni tanto qualcuno si incazzava, con grande divertimento gene– rale. Ogni tanto qualcuno pas– sava avanti fregandosene della fila. Coro di proteste, a volte un litigio. Me ne stavo li in mezzo a far cazzate come gli altri, a par– lare di qualche sciocchezza ac~ caduta. i 11crociai ad un tratto lo sguar– do con un altro soldato un po' più in là. Quello si mosse dal suo posto e mi venne vicino; mi prese un braccio e fece: «Senti ti devo dire una cosa.» «Che cosa?» «Senti tu puoi capire. Ho preso della roba e mi sento un po' strano. Ho bisogno di qualcuno che capisca e tu sei l'unico che so.» «Ha!», feci, e non sapevo bene cosa fare e cosa dire. Quel soldato si chiamava Gios– soni, e parlava con un deciso accento lombardo. Era magro e piuttosto basso, biondo con dei baffetti biondi anche loro. La di- visa di servizio gli stava larga e gli faceva delle pieghe; gli dava quell'aria ridicola che la divisa dà a quasi tutti i militari, me in– cluso. Vestito non voluto e non sentito. Ci conoscevamo perché circa un mese prima allo spaccio del reggimento lui stava li, e io pu– re. e ad un certo punto si era al– zato e mi era venuto vicino, mi aveva guardato e mi aveva chiesto: «Senti tu fumi?» Mio scossone; che cos'è, un provocatore del comando? «Ah si certo, vuoi un po' di ta– bacco?», risposi per far finta di niente. «No non hai capito. '!oglio dire se fumi roba. Hascish e cose così.» Dopotutto non mi sembrava il tipo della spia, bisogna pur fi– darsi ogni tanto ... «Beh si qualche volta, so cos'è ... » «No perché ti ho sentito che sei stato in Afghanistan, e allora ... » «In effetti. ..» lo comunque continuavo ad es– sere diffidente, ma che cosa vuole da me questo? Ma lui in– perterrito: «No perché se fumi magari sai chi ce ne ha. Perché anch'io fumo e non ne ho. Ho un amico in un paese qui vicino che mi ha detto che sa dove trovarla ma non c'é mai.» Aveva parlato ancora per un po', aveva l'aria un po' sognan– te, io gli avevo risposto cose qualsiasi. Poi saluti e via. Per un mese ci salutammo quando ci incontravamo, ma non par– lammo più. Perché veniva da me lì in quel momento prima del rancio? Me ne ero sempre fottuto di lui, an– che se sapevo che cercava di– speratamente un amico. Mer– da. Non me l'ero sentita di es– sere suo amico, non mi interes– sava, parlava di droghe e delle sue visioni e della tristezza del militare, e a me stronzo mi an– noiava. Merda ancora. «Senti, scusa stammi vicino perché mi sento un po' cosi.,. Ma in quel momento lo guardai con altri occhi, e gli stetti vici– no. «Come ti senti cosi?» «Mah è tutto grande. È che gira un po'.» Tendeva a barc·o11are.Lo presi per un braccio per tenerlo. «Ah son cose che capitano non farci caso», risposi stupidamen– te. «Che sballo. Ah!», disse. «Ma cosa hai preso?» Ero convinto che avesse sem– plicemente fumato un po' trop– po. Sbagliato, secondo me. In mezzo a cento militari che fan– no i p·irla è meglio lasciar da parte le sensibilità del fumo. Fosse andato nel bosco da solo o con due amici ancora anco– ra... Lo face\/0 anch'io. Ma lì in mezzo ... Cosi pensavo. Mi balenò il sospetto che aves– s preso un acido. Follia. «N i dici che cosa hai preso?», gli chiesi gentilmente. A bassa voce perché nessuno sentisse. «Eh, una roba che si chiama Ansiolin. Pasticche.» «Quante?» «Boh, quattro o cinque ... Quat– tro mi sembra.» Ahi, che cos'era quella roba fottutissima? «Cos'è, un ipnotico?», gli chiesi. Snatté gli occhi, barcollò, diede un urto al vicino. «Eh?» «Q'uella roba, quell' Ansiolin, cos'è, un ipnotico?» «Eh mi sembra di si». Porco. dio, e adesso cosa fac– cio? Ero preoccupato seria– mente. Gli si dilatavano man mano gli occhi. Stava male, si vedeva, ma non volevo dirglie– lo. Se si metteva a pensare che stava male poi finiva per stare peggio. Feci finta di niente. «Eh cazzo, non l'ho mai provata io quella roba li. Che cosa fa?» chiesi di finto buon umore. «Eh beh è un po' cosi. Adesso gira un po' ma adesso passa.» «Vuoi che andiamo in camera– ta?» «No, no, voglio mangiare ...» Si, mangiare. Figurarsi. Barcol– lava più forte, lo tenevo in piedi io. La gente intorno si stava ac– corgendo, i più vicini si erano allontanati. Guardavano, non sapevano cosa fare, di conse– guenza facevano finta di niente. Poi uno mi chiese, sottovoce: «Ma cos'ha Giossoni?» «Mah cosa vuoi, un principio di svenimento... questa vita di merda ...» «Ah si, già! Ma sta male?» «Beh!» Volevo vedermela da solo, pro– babile che un altro non capisse e lo andasse a dire in giro. Il re– golamento vietava etc. Un militare italiano che prende della droga! Ah, signori ufficiali, quello non è un uomo. Denun– ciare, denunciare. Nell'esercito italiano! Ah che tempi! «Guar– da, secondo me è meglio che andiamo in camerata. Così stai tranquillo poi torniamo giù. Ti va?» «Mah è meglio?» «Si e meglio.» «Allora se è meglio vado.» «No, andiamo. Ti accompa– gno.» «Ah grazie. Mi sento proprio un po' così, sai.» E gli aitri in giro: «Ma che cos'ha?» «Niente uno svenimento.,. «Ma come mai?» «Capita. Adesso andiamo su in camerata.» Ci muovemmo, burattini grigio– verdi. Non riusciva bene a cam– minare. Incrociava le gambe, inciampava, annaspava. lo ten– tavo di nascondere que·sto agli altri li presenti, che ci guarda– vano fissi. Oh, una novità! Ma che cos'ha? Dopo dieci passi si stabilizzò. «Come va?» «Gira tutto, gira.» «Non è niente, è del tutto nor– male.» «Senti non voglio andare sulla branda.» «Ma no andiamo in magazzino. Hai le chiavi?» «Si.» Ci trascinammo inciampando lungo la strada; incrociavamo altri militari che andavano a mensa. Ci ignoravano. Sù sù correre che c'è da mangiare! Meglio che ci ignorassero. Saluti tra i denti e un cervello impazzito che faceva girare in un vortice vuoto il bosco, la strada, la caserma, il cielo, i militari, me e se stesso. E poi su per le scale, due piani lun– ghissimi. Occhi sbarrati al pros– simo passo, per non cadere, e poi su, un gradino, e poi ancora ... • ..... ·-:

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