RE NUDO - Anno VII - n. 42 - maggio 1976

40 FUORI DI ME per me, infatti, arrivare a desi– derare di essere una bambina. Per giocare cercavo sempre di intrufolarmi in mezzo a loro. In– vidiavo alle bambine tutto quan– to, i bei capelli lunghi, il loro prendersi per mano, il modo di stra della colonia al mare mi prendeva in braccio e mi sorri– deva mentre le scoprivo e le accarezzavo il seno. ._ _________________________ ..J accovacciarsi per fare la pipì. Non so come la «scienza» spie– ghi un orgasmo così intenso e senza alcuna eiaculazione in un bambino di sviluppo fisico per niente precoce, un po' gracile. Per la mia vita è stato un avve– nimento determinante, nel bene e nel male. Quanto al bene ri– tengo che nella mia esperienza si sia sviluppato in maniera troppo sottile e personale, e che i suoi esiti attuali possano interessare a pochissime per– sone oltre a me stesso. Parlerò quindi solo del male, che inte– ressa un po' tutti. La mia disastrosa vocazione paura di tuoni e fulmini), dai co– per la trascendenza ebbe origi- lori delle stagioni, dai frutti ma– ne tra il fitto fogliame di una turi, dal gioco, dagli oggetti pre– macchia di piante di lillà, in un ziosi che riuscivo a conquistar– pomeriggio d'estate di un altro mi. L'unicità della sensazione tempo e di un altro mondo. del tesoro delle bambine mi Avrò avuto cinque anni e abita- guidava rrellà percezione del vo in campagna. La mia ami- cosmo. AII vento avevo dato chetta, di quattro anni più gran- una vita e una voce umana e de, aveva deciso che era arri- l'acqua era magica. Ero un in– vato il momento di premiare i namorato del tempo, di quello miei corteggiamenti e di iniziar- passato e di quello che doveva mi ai misteri dell'estasi. Pren- venire, avvertivo in ogni cosa dendomi per mano m'aveva ac- un'attesa felice. compagnato in una nicchia na- Non ero felice io. Fu naturale scosta in mezzo ai cespugli. Non voleva giocare al dottore, ma fare all'amore senza tante ipocrisie. Nella penombra calda e silenziosa, tenendo delicata– mente tra le dita' il mio affarino, mi prometteva un miracolo se io l'avessi accarezzata dove mi diceva lei, in fondo alla pancia, e cioè che il mio affarino si sa– rebbe alzato in piedi «come un uomo». 11 miracolo non aveva tardato ad avverarsi, ma non era nuovo, ed era ben povera cosa di fronte all'altro miracolo dell'inaudita bellezza della vi– sione che lei mi offriva. L'avevo desiderata molto, ma la dolcez– za della riveim:ione superava ogni mio sogno: affondavo in– cantato il polpastrello in un te– soro mai visto di tenerezze co– lor rosa acceso, il più bello e desiderabile che ci fosse al mondo, un piacere del tutto nuovo, intensissimo. Dopo avermi svezzato dall'i– gnoranza la mia complice fu costretta, per paura delle ba– stonate materne, a scoraggiare quasi sempre i miei approcci, ma bastava che lei mi desse qualche piccolo segno di esse– re felice di tornare con me nel cespuglio di lillà per risvegliare tutta la mia gioia straordinaria della prima volta. Il seme di una sensualità troppo delicata, sconfinata e comple– tamente indifesa, era così get– tato. Seme di follia. Imparai ben presto a commisurare tutte le possibili gioie e bellezze del mondo con quella unica rivela– zione, chiedendo la rivelazione a persone, animali e cose. Prendevo lo spunto indifferen– temente dal profumo di certi fiori, dall'odore umido dell'aria alle fine dei temporali (odore di consolazione per la fine della Non riuscivo a sostenere la vio– lenza di certi giochi dei maschi ed ero spesso solo. Qualcuno incominciò a chiamarmi con nomi femminili, gli adulti parla– vano con preoccupazione di me come di una «femminuccia». Le bambine, quando ci si metteva– no, non erano meno cattive dei maschi, a prendermi in giro perchè ero una femminuccia. La mia tensione interiore per l'amore come dono rimaneva in ogni modo fortissima. Verso i nove anni ebbi il mio primo or– gasmo notturno, meraviglioso. Avevo sognato che una mae- A undici anni, quando qualcuno mi spiegò che la figa non è altro che un buco, non volevo cre– derci. Provavo una grande tri– stezza per come i miei amici parlavano della sensualità. Il linguaggio era quello avvilente e pieno di aggressività delle barzellette sporche. Mi sentivo sperduto, non vi trovavo traccia non dico di sballo cosmico, che sarebbe stato chiedere troppo, ma neanche di un po' di tene– rezza e di orgasmo. A poco a poco dovetti arrendermi all'evi– denza dei fatti perchè tutti sa– pevano che la figa non era al– tro che un buco e tante altre cose che io non sapevo. (Era l'educazione sessuale. naziona– le popolare, tutta fisiologica e impregnata di orrori). Per giun– ta, fra i miei amici ammitavo e amavo più di tutti quelli che di– cevano le parolacce e le be– stemmie, quelli che se ne sta– vano alla larga dai preti e che proprio per questo mi appariva– no buoni, leali e generosi quan– to i preti li sentivo sleali, viscidi e invadenti. In questa situazio– ne concepii il trip più crudele della mia•vita. Fra le qualità che attribuivo ai preti v'era anche quella della somma stupidità; non potei salvarmi dal finire col sentirmi stupido come un prete per il fatto di provare una paura r' insuperabile per il linguaggio sporco, condannato dai preti, che usavano gli amici che più amavo. Arrivai al punto di con– siderare tutta l'ignoranza incol– pevole e la frustrazione dei miei amici come sapienza sociale da cui questa insondabile stupi– dità mi teneva escluso. Mi di– speravo a cercare di capire per quale mostruosa condanna mi avviassi a diventare proprio il ti– po di persona che più detesta– vo. Per l'età, avevo una notevole anche se confusa comprensio– ne del mio inconscio, conosce– vo la mia tenerezza ma anche

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