RE NUDO - Anno VII - n. 42 - maggio 1976

37 [ AUTOCOSCIENZA MASCHILE I Queste sono delle note, sogget– tive, sull'autocoscienza ma– schile, dopo un anno e mezzo circa di esperienza. Autocoscienza è un termine im– pegnativo. Metti che ci siamo trovati tre maschietti a chiac– chierare, un po' a ruota libera. Quello che vorrei dire qui, è do– ve mi sembra di essere arriva– to. Non ho voglia di ritirare fuori le idee «programmatiche» che avevamo all'inizio: ho voglia di dire qualcosa su cosa mi sem– bra che abbiamo messo dentro l'autocoscienza finora, e su che uso ·mi va di farne adesso. La prima esigenza, magari mol– to elementare, che abbiamo ri– versato nell'autocoscienza, era quella di vederci; vedere gente e starci bene assieme. Vedersi è un'esigenza. È un'e– sigenza giusta e sacrosanta e già da sola se vogliamo è con– tro questa città come il cosid– detto capitale tenderebbe a renderla o l'ha già resa. E poi noi abbiamo in testa un vederci di un tipo un po' specia– le, figurarsi, vorremmo «la– sciarci andare». «Lasciarci andare» è una cosa che proprio come maschi ci ini– biamo un casino, anche se la desideriamo moltissimo. Di non piangere, non lamentarci, esse– re efficienti, razionali, prestanti, tutto il contrario che emotivi, ce lo hanno insegnato da piccoli e da meno piccoli, e bene o male lo abbiamo imparato. Questi comandamenti mirava– no a renderci efficienti, a fare gli uomini nel senso di saper essere quelli che lavorano e ti– rano la carretta e hanno una moglie che tira su i figli. Noi in questo modello di vita non ci ri– èonosciamo un po' per un caz– zo. Viziati figli del benessere o meno, abbiamo desideri un fili– no diversi, ci riprendiamo le no– stre emozioni, grazie e arrive– derci, Bogart è di altri tempi. 11 'dottore' in «Teresa Batista stanca di guerra» si lascia ari– dare solo alla fine, e muore dal– l'emozione scopando con la suddetta. Bellissima morte, ma io preferirei lasciarmi andare fin da prima, cioè non tenermi per niente. Leggevo una roba di Adorno che più o meno diceva «per adeguarsi alle norme di com– portamento che chiede il mon- do di oggi ci vuole una violenza non minore che quella neces– saria per ribellarvisi». Noialtri siamo stati molto vio– lenti con noi stessi. Nell'autocoscienza ci finiva la giusta voglia di vedere gli altri. E non di vederli alla cazzo, tra una birra e l'altra oppure tra una riunione e l'altra o che so io: vederci proprio vederci, e sentirci, e toccarci, e dirci delle cose. Amarci, essere sinceri. Il desiderio di sincerità era for– tissimo, ed è anche questo un desiderio grosso, anche se sembra cosi semplice. Perché nel mondo dei maschi - nel mondo - il più bravo è quello che fa meglio la pubblicità a se stesso, e i propri interessi non si fanno certo con la sincerità. Cos'è che impedisce la since– rità? Paura. Essere maschi è fornire prestazioni e competere con le prestazioni degli altri. Il mondo dei maschi, dei maschi adulti, mi fa cagare sotto, convincerli che anch'io sono bravo come loro e magari più di loro è un compito che mette angoscia. Ma non devo farlo vedere! La sigaretta all'angolo della bocca, e via spedito. Nella mia storia, l'angoscia del– la prestazione è più che altro mio padre: l'impressione che lui mi svalutasse, considerasse bambino, desiderio di fargli ve– dere che si sbaglia, paura perché sento che lui mi consi– dera poco e il suo giudizio de– termina il mio, è parte del mio. Fare come mio padre, superare mio padre. Dove l'antagonismo con nostro padre è antagonismo con il ruo- lo di maschio? Di per sè, da nessuna parte. Il mio conflitto corì il padre è solo per avere il suo potere. Cosi nell'autocoscienza voleva– mo vederci, lasciarci andare, stare bene tra uomini, amarci, capire delle cose sulla nostra sessualità, sui nostri casini, sui rapporti con i genitori, con i fi– gli, parlare di cose che usual– mente sono coperte dal tabù del silenzio, o della battuta di spirito. Ce n'è un bel po' di roba. Ce n'è talmente tanta che io la chiamerei - voglia di vivere di– versamente. Nell'autocoscienza secondo me abbiamo di fatto riversato il nostro desiderio di una vita di– versa, chi più chi meno, a se– conda delle possibilità di espri– mere altrove questo desiderio che ciascuno possedeva. Questo rende ragione delle continue tensioni che molti di noi denunciavano tra lo spazio ristretto, istituzionalizzato della riunione di autocoscienza, e il resto della vita. Le richieste che ci facevamo - facciamo - 1·u·n l'altro dentro l'autocoscienza sono se lette cosi troppo grosse perché possano trovare rispo– sta lì dentro. All'autocoscienza ci siamo tro– vati, per la nostra povertà, a chiedere troppo. E in questo modo genialmente siamo riusciti a evitare di chié– derle quello che poteva dare; chiarimenti sui rapporti TRA UOMINI. E così siamo arrivati alla grossa rimozione che abbiamo cercato a tutti i costi dì operare: non ve– dere il problema del maschio in questa società, il problema - forse essenziale - dei rapporti tra ì maschi. Prendiamo la cosa dall'inizio. A noi l'autocoscienza è venuta in mente perché la facevano le donne, è perché ci facevano il culo le donne. Se era per noi eravamo li a fare gruppi a tutto spiano ovvero comuni a tutto spiano. Loro ci hanno fatto cortese– mente notare che nelle comuni si tendeva a ricreare una bellis– sima divisione un po' gerarchi– ca tra uomini e donne, e nei gruppi politici noi stessi «orga– nizzavamo» tutto quello che ci

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