RE NUDO - Anno VII - n. 40 - marzo 1976

ouscata una lieve (secondo il parere fallocratico dei medici) infiammazione alle spalle+tiroi– de+deperimento fisico+artrosi (la casa è umidissima) +farin– gite cronica più non so ancora cosa mi inventeranno. Tutto questo non è pericoloso, se cu– rato bene è una cretinata ma ... come posso curarlo bene. An– cora devo lavorare studiare, pensare e vivere dentro la stes– sa casa non raccomandata eri– gida; in camera avrò 13 o 12 di temperatura.Con gli amici che la pensano come me il discorso è amaro come tutto il resto. So– no soggetta a numerose criti– che e definizioni tipo «non fare la vittima» e talvolta quando di– cevo che non potevo stare con loro perché avevo da fare in ca– sa, perché volevo salvare la ca– sa, cioè volevo solo salvare mia sorella e mia madre, loro obiet– tavano dicendo che la mia era "una situazione di comodo". Loro sono andati avanti; ma po– tevano ascoltare musica e par– lare con gli altri, potevano per– mettersi il lusso di non guada– gnare soldi per un po' di tempo, e potevano trovare nella fami– glia non l'ambiente ultra– alienante che c'era nella mia. Se alcune volte sono stata "vit– timistica" o "comoda" (non me ne sono mai accorta) ammesso che lo sia stata (!) è perché (lo– ro preferivano andare ad ascol– tare musica da amici con lo stereo e la mente "aperta" piut– tosto che venire da me e cerca– re di aiutare a risolvere le mie paranoie) ero sola contro muri e vetri che mi hanno veramente conosciuta. Non avevano nes– sun obbligo di venire, forse le loro paranoie le risolvevano con più coraggio. Ma quante erano le loro paranoie (?). Io ho ama– reggiato loro, loro mi hanno amareggiato. Nonostante tutto cerchiamo un punto d'incontro, di riallacciamento, non è facile. Stasera sono tornata dal circolo alle 12,30 di notte da sola, dopo aver resistito alla branca di leo– ni che dovevo servire. Sono la ragazza che è costretta a pro– strarsi a umiliarsi con orgoglio per poter risolvere un casino u mano-soci a Ie-tam i Iia re– sessuale dei miei venti anni. Lo risolvo? Sento la vita che parte, la paz– zia che accelera, le mie poesie non riesco a terminarle, tutto si sgretola. Mia sorella di otto an– ni mi guarda con occhi puri ed io non vorrei che soffrisse quel– lo che io ho sofferto. Gioco con lei e sono la ragazza "poeta" che fa i migliori temi di italiano, che afferma la sua fiducia nel– l'uomo, nell'anima. Ora sento la vita sporcata; troppa amarezza e awersità. Stasera il "mio" uomo è andato con i suoi amici a mangiare la pizza. . Era venuto per vedermi e pàrla– re, per accompagnarmi a casa e non farmi percorrere la strada buia da sola. L'ho fatta da sola; e poi talvolta gli ho detto d'aver– lo tradito perché mi mancava aria. Ma altre volte ho fatto la strada buia da sola. Non so do– ve è cominciata la bufera, non so dove finirà, ma penso forse presto. Per strada stanotte ho dovuto vuotare la borsa perché non avevo trovato le chiavi del circolo. L'asfalto immobile ha confermato la mia ombra e le ore passate sopra il tavolino a scrivere fino alle 2,30 ha con– fermato il mio desiderio di vive– re e di far vivere, ma vuole es– sere anche l'ultimo ritratto umano di una vita tarata dalla nascita, squarciata e sporcata da furti scoperti e puniti. Sento addosso una condanna, sento la vita che parte e io che a mo– do mio ho amato il vento, ho amato il mare, ho amato i miei quando avevano volto umano (rarissime volte). ho amato il vecchio che ieri ho incontrato e mi ha detto «tu sei gentile e bra– va» e che mi ha fatto piangere d'impotenza reale a vivere co– me io voglio, ora non so che di– re alle cose, alle vibrazioni, alle "fumate", alle poesie non ter– minate, agli "slanci più puri". Vorrei urlare per confidarmi da buona amica ma il corpo è un relitto. Sono stanca. Ma cer– cherò ancora di vivere. Se rie– sco a rinascere ci rincontrere– mo. E non fate troppa pubblicità nel giornale. Ho scritto a voi, ma è come se avessi scritto alla mia anima. Lei non mi tradisce: si sperde; voi invece potete "tra– dirmi". Baci. N.B. Non pubblicate il timbro del paese da cui viene; benché quasi morta non posso dare la vittoria al mio nemico e fornirgli una nuova arma. Se vi interes– sano posso spedirvi i miei diari di bambina 13-14enne e le mie poesie. Se ci sarà una brutta fi– ne questa deve essere sfruttata contro il sistema e tutto deve essere chiaro. Basta con gli as– sassini! Capirò il desiderio del vostro giornale. Ora sono le tre di not– te. Domani alle otto, lavorare (non in ufficio, etc.) in casa e a domicilio. DIO CANE. Lavorare a domicilio, sfruttata e con la febbre addosso e i genitori che «PARLANO». PORCA MADON– NA. Cominciamo noi, alcune donne, a dire come abbiamo reagito leg– gendo questa lettera, come ci siamo o no riconosciute, cosa ab– biamo sentito e pensato. Sarebbe importante se molti scrivessero qualcosa su queste cose. Quando mi sono sentita così ho avuto la sensazione precisa di stare per diventare pazza, l'uni– co stimolo era quello verso la fi– nestra, nel senso di buttarmi giù. Penso che questo modo di star male abbia radici lontane, nella cultura cattolica, rifiutata e de– risa ma radicata nel fondo della coscienza, che affiora come una muffa: l'espiazione della colpa, il dolore come tramite al– la gioia; ho capito queste cose rispetto a me riflettendo sul fat– to che tutte le volte che stavo male ero quasi contenta, perché ero come sicura che sa– rebbe arrivato il giro buono, che per un po' sarei stata bene. Così mi sono chiesta: ma chi l'ha detto che la gioia bisogna aspettarla stando male in que– sto modo? È vero, non si riesce quasi mai ad essere contemporanei del proprio presente, sei sempre proiettato o nel passato o in un ipotetico futuro migliore: così non vivi mai, aspetti o immagini la vita, trovi tutti i motivi per non vivere. Rispetto allo star male, a me è successa spesso un'al– tra cosa: cominciare, in un pe– riodo in cui stavo bene, a sen– tirmi a disagio, nervosa, come se mi aspettassi che l'incante– simo finisse da un momento al– l'altro e forse ho hatto in modo che si rompesse. Ma non è vero che stare bene è questione di incantesimo, questo è un mito che è difficile sradicarsi dalla testa. Ma sono sicura che dalla comprensione di quanto e di come tu puoi influire sulla tua vita perché muti, per non soffri– re in modo totale, passa la no– stra possibilità di vero cambia– mento. Ci sono delle volte in cui ti sem– bra proprio di essere sola, ovunque guardi vedi solo buio, ti sembra che la speranza di comunicare con gli altri se ne vada, il momento in cui tutto crollerà e le forze ti verranno meno sembra vicino. Allora ti capita di sentire il mondo come un enorme nemico, che nella vita quotidiana assume i volti dei genitori, degli amici, prende la forma del posto in cui vivi. Mi sono capitati quei momenti "neri", quando la coscienza di come sia lontano il mondo di cui senti l'esigenza è più forte, quando vedere un vecchio che parla da solo per strada ti fa ve– nire voglia di piangere, credo che siano esperienza di molti, stai male e la voglia di reagire, di non darla vinta sembra che ti passi: ti lasci andare. Ma sono stati momenti, poi la coscienza si scrolla, l'istinto di vita, la vo– glia di capire, di non darla vinta a nessuno dei nemici, veri o fal– si che siano, ti ridà uno stimolo, e vai avanti. Ma penso che cambi qualcosa di importante però, quando il buio e il dolore diventano la so– la dimensione in cui riesci a stare, in cui hai una dimensio– ne, in cui ti senti esistere: gli al– tri "soffrono meno" o non sof– frono, non sentono altro che le necessità primarie, non capi– scono il vero significato della vita e soprattutto non ti aiutano. Cosi quando il mondo è lontano e ostile se ne costruisce uno a propria misura, di cui si cono– scono bene le pareti e le fine– stre, in cui l'unico interlocutore è la propria mente, e allora questo mondo coltivato con amoroso dolore, diventa una prigione e le catene sono fatte di sensazioni solo tue, di parole mai comunicate, di contraddi– zioni mai urlate e fatte esplode– re, perché degli altri in realtà hai paura.

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