RE NUDO - Anno VI - n. 37 - dicembre 1975
classe operaia e la emargina perchè è borghese. E quindi anche se gliela si mette sotto il naso, o in bocca, o in casa (del resto la televisione lo fa costantemente) la cultura bor– ghese non cessa d'essere emarginante. Del resto lo ve– dremo sugli esempi stessi portati dal documento di la– voro successivo. Prose– guiamo: Come non è possibile conce– pire, anche linguisticamente, un decentramento senza pen– sare ad un centro, cosi non è possibile concepire la tra– smissione di un cultura senza contemporaneamente presup– porre una sua produzione. Peraltro, trasmissione di cul– tura, e cioè istruzione, signi– fica trasmissione di un pas– sato e quindi di strumenti mentali, psicologici e tecnici che consentano di partecipare alla produzione di un pre– sente. In altri termini, il mo– mento sociale (e in qualche misura obbligatorio) dell'istru– zione, prepara quello indivi– duale (in un certo senso fa– coltativo) della partecipazione culturale. Il bello di questo documento è che si esprime da solo, tanto da togliere il piacere di com– mentarlo: qui è chiarissimo. Il ruolo delle masse, si dice, è creativo rispetto al far cultura, ma presuppone un'istruzione {obbligatoria) che permetta una partecipazione (a ciò che altri hanno già deciso). Parte– cipazione per di più facolta– tiva; cioè come dire: dovete studiare tutti (o venire tutti a Messa) poi fate quello che volete (ovvero continuate pure a «peccare»). Cioè: l'importante è la conti– nuità dell'istituzione, che poi la gente la riempia o meno (in termini di partecipazione at– tiva o no) è in certi limiti se– condario, basta obbligarla {in q_ualche misura). Di nuovo siamo a strutture· concettuali prese paro paro da manuali di catechismo cattolico, di quello oltrettutto delle parroc– chie d'una volta ante- dissenso. ' Cosa sia poi in concreto ciuesta istruzione obbligatoria, 11 teatro come dovere, lo si vede nel secondo documento: qui si configura un gruppo {del T.S.T.) che porta nei quartieri la Storia del Teatro secondo una propria lettura preconfezionata e che privi– legia in questa «storia,, l'ele– mento didattico. Un occhio a Brecht? No, un occhio alla « lezione,, borghese. Il gruppo del T.S.T. ha una sua storia: sotto la gestione Trionfo esso portava nei quar– tieri {specie nelle scuole) spettacoli «aperti,, cioè con struttura partecipativa, confe– zionati su un canovaccio che poi s'arricchiva creativamente nella situazione particolare. Niente di rivoluzionario, nep– pure nelle intenzioni (sia chiaro) però un tentativo per– lomeno di sperimentarsi di fronte al problema della crea– tività e delle diversità irrepeti– bilità, dinamica continua del fatto teatrale, magari fino ai limiti del suo sfilacciamento come teatro « rappresentato,, ed esterno. Qui si dà invece una esplicita tiratina d'orecchi alla gestione. Trionfo (il docu– mento è del resto pieno di frecciatine) e si dà vita a un gruppo che dovrebbe essere una sorta di enciclopedia cri– tica vivente del teatro e del suo contesto - cioè: la Vene– xiana in puro veneziano del '500, la metto « in controluce sulla ragnatela concettuale del COMMENTARIO di Mar– silio Flcino al SYMPOSION di Platone» (cito dal docu– mento), aggiungo un finale «diverso,, con Acte sans pa– roles Il di Samuel Beckett. Insomma: vi scelgo i pezzi, ve li situo in contesto storico– critico e sto molto attento che il tutto non assuma mai forma spettacolare che potrebbe an– dare a danno del necessario andamento didattico. Teatro obbligatorio, teatro intimida– torio: era ovvio. Potremo fermarci qui, ma vor– remmo citare solo un'altra perla, che però configura un'i– potesi politica a dir poco ag– ghiacciante: secondo lo ste– sore dei documenti, bisogne– rebbe anche ricostruire l'organicità del tessuto ur– bano, cioè ridare alla città dimensioni di città-collettività. Come fare ciò teatralmente? Si propongono delle « rico– struzioni storiche che consen– tano alla città di autorappre– sentarsi e di animare la pro– pria topografia inseguendo la propria storia"· Si chiarisce: «.Immaginiamo, a titolo d'e– sempio, uno spettacolo laica rappresentazione' che ripeta i rituali urbani della conces– sione dello Statuto albertino, di uno scontro di piazza, di una occupazione di fabbrica, di una processione, di un Ca– lendimaggio, di una esecu– zione capitale, al limite: di una sacra rappresentazione"· Eh lo sapevamo caromio, che vo– levi arrivare a questo limite! Adesso immaginiamoci vera– mente queste specie di rap– presentazioni storiche: si rap– presenta (con costumi e movi– menti di masse, gonfaloni e premi) una occupazione della FIAT. Però è teatro ovvia– mente: si recita ragazzi! La città rivive un bel momento della sua storia. Magari sarà permesso rifare dal vivo qualche bell'incidente sul la– voro, ma certamente non sarà permesso picchiare un capo– reparto. Ma, a parte gli scherzi, l'idea di recuperare l'organicità della città, sovrap– ponendovi i suoi strati storico-sociali, in cui la gente rivivendosi dica: « come siamo belli, come siamo tutti « citta– dini", è idea della realizza– zione in terra del perfetto in– terclassismo (come speita– colo). Non sfiora il dubbio che per il meridionale immigrato è estranea Torino e casomai vorrebbe rivivere (diversa) casa sua, o esprimere la lotta come estranietà a Torino, altro che interclassista storia di Torino, come città come insieme di campanile per cui la stessa importanza avrebbe un'occupazione di FABBRICA E UNA PROCESSIONE QUALSIASI. È tempo di tirare le conclu– sioni e di non affliggerci ulte– riormente nella lettura. Le conclusioni e le prospettive sotto il marasma delle piccole utopie da compromesso sto– rico e da inizi di gestione, sono: 1) il rapporto tra «centro,, e quartieri diventerà da antago– nistico di fatto (com'è adesso) ad antagonistico anche in linea teorica, in quanto ci si rapporta consapevolmente alla gente come massa pas- . siva {e cioè se non passiva da rendere passiva). Questo ri– vela sotto le parole, una paura del PCI rispetto alla realtà fisica del quartiere operaio, e la ricerca di strumenti di con– trollo a questo proposito, massime sul proletariato gio– vanile. 2) Il teatro verrà concepito sempre più come momento pubblico-obbligatorio, vi es– ploderà quindi la stessa con– traddizione di estraneità pre– sente nella scuola, il che è 19 anche positivo perchè prepara i tempi in cui « distruggere il teatro,, non sarà più solo vel– leità di alcuni artisti d'avan– guardia, ma esigenza di massa di vivere se stessi e di creare secondo propri criteri. 3) Il rapporto del PCI con una serie di artisti d'avanguardia teatrale (citiamo tra i tanti lo stesso. Trionfo, Bene, Perlini, Ronconi) si va in qualche modo conflittualizzando e rendendo difficile, il che può dar lubgo a due tendenze in questo settore: nuova chiusura nel proprio ghetto di autosperimenta– zione (difficilmente possibile), nuova spinta provocatoria nella ricerca di un rapporto con la gente non più istituzio– nalmente mediato {teatri sta– bili) (e anche questo è difficil– mente possibile, ma può avve– nire a patto di verificarsi realmente sull'estranietà ope– raia e proletaria all'istitu– zione).
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