RE NUDO - Anno VI - n. 37 - dicembre 1975
10 Chi scrive é un conosciuto militante della sinistra di clas– se che ci ha chiesto espressa– mente di non firmare il suo articolo perché vuole che esso venga letto e valutato non perché scritto da un compagno più noto di altri, ma· per quello che dice . . .Detto questo, passo invece al punto che più mi interessa e cioè a come io ho vissuto questa serie e contro serie di articoli, al significato culturale che assumono al di là dei loro contenuti specifici (che chia– ramente restanq importanti, ma ad un altro livello). In sintesi la mia impressio– ne è che si ricada per l'ennesi– ma volta in un modo vecchio e sbagliato di far politica, si ricorre ancora all'attacco per– sonale, agli insulti personali, si ricerca lo scontro e non il confronto, si restringe o si rischia di restringere il campo d'azione a una piccola area di addetti ai lavori rendendo ciò che si scrive incomprensibile alla grande maggioranza che è esterna a questa area ristret– ta mentre i problemi di cui si vuole parlare interessano tutti. L'erroneità di questo atteg– giamento viene anche confer– mato dal fatto che contraddi– zioni che potrebbero essere affrontate col metodo della ricerca e del confronto sul reale anche su posizioni di partenza diverse nei fatti poi si riducono allo scontro ver– bale e alla spranga. Quello che si stà riaccen– dendo in questo periodo è un interesse, una spinta reale, viva verso un modo di vivere, di pensare, di essere, diversi da quelli in cui ci troviamo soffocati, diversi perchè più "umani". La lotta: quindi è contro un nemico ben più complesso e articolato, ben più sfuggente e nascosto, ben più generale e incorporeo, qualcosa che si annida anche dentro noi stessi nelle nostre parti meno conosciute. Ridur– re tutto questo, anche se forse non in modo del tutto volonta– rio e cosciente (proprio per– chè certe parti di noi stessi non le abbiamo tanto bene sotto controllo), a uno scon– tro tra persone definite con nome e cognome o anche a gruppi di persone anche que– sti definiti ariche se solo con una sigla mi sembra estrema– mente pericoloso e contrad– dittorio proprio rispetto alla battaglia culturale che voglia– mo contribuire a sviluppare in modo sempre più ampio, più profondo e più complessivo. Eppure alcuni esempi an– che recenti (il Vietnam e la Cina) (il vero nemico è Confu– cio non Lin Piao) ci hanno dato la possibilità di recepire questo discorso. Il problema culturale come ogni problema politico è un problema di massa, sono le masse, la grande maggioranza della gente che deve essere con– quistata e strappata all'ideolo– gia reazionaria, sono le grandi masse che si trovano a vivere le contraddizioni che anche noi viviamo e quindi questo è l'interlocutore e non Tizio o Caio, sarebbe una semplifica– zione e una scorciatoia troppo comoda (la rivoluzione è una lunga marcia) specialmente se, come è il caso nostro, questa battaglia è appl'lna stata iniziata. Oltre a questa osservazione ce ne sono altre due che mi vengono alla mente. La prima è che su questa strada si tende inoltre a vedere le controparti (queste specie di nemici quasi personali) come non dialettici e compositi, si tende a ridurre le controparti a quell'unico punto in discus– sione, senza contraddizioni, o con noi o contro di noi, e di lì al motteggio, al pagato dalla CIA, al Provocatore, al vendu– to al servo del padrone, ... alla spranga... al poliziotto del movimento e non penso che questo possa aumentare là chiarezza. La seconda, ma su questa forse interverrò sul prossimo numero perchè ora non c'è tempo perchè il giornale sta per chiudere, consiste nel grosso dubbio che così facen– do si stia rendendo un grosso favore alla contro-parte vera: i padroni. Ci si sta scannando e quindi dividendo (e con que– sto non dico che non ci sia necessità di confronto, di dibattito e di apprnfondimen– to) su Una contraddizione esistente ma secondaria men– tre su quella principale sulla quale la borghesia punta tutte le sue attenzioni e cioè la diffuzione sempre più massic– cia dell'eroina lì siamo tutti d'accordo o quasi persino con la destra con l'unico punto di contrasto che consiste nella distinzione tra consumatore e spacciatore, superato questo ostacolo tutti propongono un'azione repressiva nei con– fronti del secondo. DROGA UNA LETTERA CONTRO Volevo scrivervi una lettera, mi avete proposto un articolo, vi scrivo una lettera. Le lettere ser– vono talvolta per mantenere le distanze, rispetto alla linea del giornale. Si collabora ugual– mente, ma dal di fuori. Trucchi. .. lo vi scrivo una lettera, invece, per usare uno stile meno imperso– nale, per esprimermi con più li– bertà. In un articolo, ad esempio, non me la sentirei di parlare dello stupore dei miei genitori, a ve– dermi collaborare a Re Nudo. I miei genitori non sono di quella razza-padrona che giudica tutto dall'alto. Eppure sul problema della droga non ci sentono. La droga fa anche a loro troppa paura, li lacera troppo. Le sono duramente contro. "In un mondo di merda come il nostro - in qualche modo si dicono - almeno la droga, no!". Eppure proprio i miei genitori hanno avuto un at– teggiamento più che anticonfor– mista di fronte alla !Tiia dura follia del passato. I miei genitori, nem– meno sfiorati dalla vergogna, dal decoro ecc., mi hanno sempre mostrato in pubblico, anche riegli ambienti più strani e "riservati". Semplicemente se ne infischia– vano dei luoghi comuni sulla follia. Quanto alla droga, invece, è di– verso .. Dentro di loro, probabil– mente, si dicono: "La follia non è una colpa; la droga invece è una libera scélta, quindi è una colpa". lo che sono stato dalle parti più brutte della follia, posso dire di sapere, forse, qualcosa di non banale su "la libera scelta 1 e la colpa". Anche nella più dura follia, ci si esprime: con un'occhiata, con una stizza, con un sorriso, con un'incazzatura, con una richiesta, la più assurda. In qualche modo, sfumato ma vivo, si esercita il "libero arbitrio", si sceglie per una linea e non per un'altra, in man– canza di altro si sottolinea una pur pallida preferenza. Qual– cosa ... E questo qualcosa serve,' più di quanto si immagina, per ritrovare là via del ritorno, per aiutare gli altri ad aiutare noi, per ricreare qualche momento di fiducia, anche nelle situazioni più com– promesse ... Anche nella follia il "libero arbitrio" c'è, ed è utile proprio per risolvere le questioni concrete, anche se il folle sul momento non se ne accorge. D'altro canto, forse, in qualche modo, siamo colpevoli anche del fatto di cadere folli. Non è vero che il folle ci piombi dentro indi– pendentemente dalla sua volontà. Non è vero che il folle è "inno– cente", mentre il drogato tia scelto la sua strada per volontà propria. No. Il folle "è colpevole". La si è scelta la follia, quasi con– sapevolmente, con un'imposta– zione di vita rigida, radicale, che - spezza le proprie forme di difesa, i luoghi comuni. .. Si diventa matti, quando ci si butta allo sbaraglio, dopo aver bruciati i vascelli alle spalle ... E del resto chi oggi non ha bru– ciati i vascelli alle spalle? Viviamo in una dura (o forse stu- penda) avventura molto ri– schiosa: viviamo ~Ilo sbaraglio, tutti, senza sapere bene se, tutti o nessuno, ne usciremo fuori. La droga è solo, forse, la condizione estrema di questa vita autodistrut– tiva, inutile, oggi di moda. Certo, tutti, tutti, cercano di na– scondersi la propria particolare realtà, con mille trucchi. Nessuno si confessa di sprecare il proprio tempo, la propria vita, quasi nella nullità. L'industriale che produce cose inutili è soddi– sfatto di ottenere profitti (quando li ottiene), cioè è soddisfatto di scrivere qualche cifra altisonante in bilancio e di avere qualche squallido lusso? Il politico che fa chiacchere e basta è soddisfatto di conquistare posti di potere in un mondo che va a pezzi? Forse persino costoro, persino queste persone indaffaratissime, comin– ciano a confessarsi di essere "cose inutili", si di esserlo, quanto il "povero drogato" buttato ai margini del mondo. Certo tra "le persone importanti" e "i poveri drogati" rimane ancora in piedi qualche barriera di mora– lismo: la differenza che è data dal fatto di lavorare, di restare nella legalità ... A questo proposito, ricordo sempre, però, una differenza che faceva Brecht: ruba di più, nuoce .di più, chi fonda una banca, op– pure chi la sfonda? Il lavoro di un banchiere è circon– dato di rispetto più del lavoro di un "ladruncolo"; ma qual'è più dannoso? Chi ruba di meno? E poi è proprio vero che, coi tempi che corrono, il lavoro del ban– chiere è circondato di rispetto? Esistono anche banchieri demo– cratici, anzi esistono banchieri addirittura con un pizzico di spi– rito rivoluzionario. Come dimenti– care che è stato un banchiere a salvare gli scritti di Gramsci? Come dimenticare che ricchi bor– ghesi inglesi hanno finanziato Lenin senza tornaconto? Ma esistono anche drogati demo– cratici, democratici rivoluzionari. O mi sbaglio? Credo proprio che i moralismi contro i drogati siano fuori di posto. Contro tutti i moralismi mi ricordo sempre l'osservazione di un vec– chio compagno: sai, anche i mi- (segue a pag. 22)
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