RE NUDO - Anno VI - n. 35 - ottobre 1975

46 Già due giorni prima aveva cantato Ivan ed ero stata male, troppo. Per– ché mi sentivo sola, come altrettan– to soli erano poche altre e altri, di– spersi nel buio, mentre su di lui, im– provvisamente assunto a simbolo, a capro espiatorio, si rovesciava tutta la paura (massificata) dell'incontro maschile di tanti singoli, tutti indivi– dualmente terrorizzati di riconosce– re e confrontarsi col «diverso» in se stessi, da sempre sublimato e re– presso. E noi (i pochi/e) sparsi Il in mezzo non siamo stati capaci di unirci e reagire all'assurdità del re– ale per imporci, se non altro. come loro si imponevano a Ivan e a noi: aggredendoci violentemente. Ma lu– nedì no. È stato diverso.. Luned1 cantavano le femministe ed eccolo il fantasma, il mostro, il colera, la pawa risbuca fuori dai meandri dell'inconscio maschile collettivo e si riscatena ..Ma a questo punto il fi– nale cambia, la minoranza dispérsa si unisce, si conquista ·il diritto di agire come maggioranza. Luned1 noi donne non abbiamo sentito quelli che oramai fra femministe sono passati alla storia come «i fa– mosi compagni tra virgolette» ..non li abbiamo sentiti mentre in fondo in fondo cantavano Bandiera Rossa per contrapporsi non si sa bene a che cosa. Ma giuro che mentre era– vamo Ilsotto e sopra eattorno al pal– co a cantare, a battere le mani a bal– lare, il suono della NOSTRA gioia copriva il beccano di quel «bandie– ra rossa» cantato cosi sfacciata– mente a sproposito. Gioia? Si gioia nonostante i fischi. Gioia perché vendicavamo anche Ivan Gioia no– nostante le volgarità e i gesti triviali. Gioia perché se all'inizio eravamo in 20, alla fine eravamo più di cento donne sotto il palco. senza contare i compagni del Fuori che ci hanno prontamente raggiunto. E anche sana rabbia (intendo di quelli tipo barricata) non del tutto scatenatasi contro quelli a cui basta riempirsi la testa con un pò di musica preferibil– mente priva di contenuti.. oppure quelli che si sentono rivoluzionari perché ascoltano le canzoni ameri– cane limitandosi a pensare anche se in buona fede «poveri compagni cileni» (sigh). Rabbia contro quella gente (troppa) che evidentemente credono ancora che L.C.o A.O.con i loro "ristorantini» siano più "poli– tici» delle femministe o degli omo– sessuali, i soli che riescono a scate– nare contraddizioni nel movimento e quindi a "fare politica» anche e/o semplicemente cantando le loro canzoni. Ma soprattutto la soddisfazione di essere riuscite ad andare fino in fondo a cantare grazie a Fufi, Nadia, Antonietta e CON E CON Fufi, Na– dia,Antonietta ..Aver concluso" vin– cendo» e non, una volta ancora sconfitte proprio in quanto storica– mente donne.. XX E siamo solo all'inizio ...Un at;>– braccio femminista. una compagna del gruppo femmi– nista di milano per il salario al lavoro domestico Sono un culo. Chiedermi adesso che significato ha per me questa parola mi fa ripensare alla mia espe– rienza di omosessuale arrivato al Fuori un mese fa. Il gruppo politico mi offriva la possi– bilità di nascondere la mia omoses– sualità dietro alle giustificazioni teo– riche che questo poteva darmi di essa. Il tutto con preciso rifiuto da parte mia del "diverso», e cioè dell'omosessuale che non avendo preso coscienza della sua condizio– ne riproponeva lo stereotipo della checca. La discriminante di fondo era quindi quella tra l'omosessuale politicizzato e il culo. A distanza di un mese,vivere certe contraddizioni dall'interno • speri– mentare sulla mia pelle in un modo diverso la violenza dell'oppressione che subiscomo ha trasformato da « omosessuale politicizzato» in un culo. Ora sono stufo di chiedere agli altri il permesso di vivere e di esprimermi secondo le loro regole. Non voglio giustificare più a nessuno perché .vivo,né discutere il mio modo di es– sere omosessuale. E qùando un omosessuale crede ancora di poter rifiutare l'etichetta di culo, magari nascondendosi dietro fumosi di– scorsi sulle libere scelte di ognuno, sta chiedendo ancora agli altri (gli eterosessuali) il permesso di rifiu– tarsi. «lo non mi definisco come omoses– suale, rifiuto le etichette di omo e di etero »: partendo dalla ovvia con- statazione che noi omosessuali ve– niamo ghettizzati e definiti come «negativo», rifiutare le etichette in una realtà ad una faccia (che é quella della norma eterosessuale) significa assumere un'identità so– ciale eterosessuale e acettare il sa– pere degli eterosessuali. Il limiti dell'utilizzazione tutta teorica del di– scorso sulla fondamentale bises– sualità dell'uomo in questo senso sono evidenti e si chiariscono se confrontati con una realtà in cui guarda caso le etichette esistono e sono due: o sei sano ( magari anche omosessuale politicizzato) oppure sei ammalato, frocio, culo, donna. Quindi per me culo (non persona che ha recuperato il suo desiderio omosessuale, ma culo) l'ambito di azione è necessariamente angusto: o accetto l'etichetta che da sempre mi propone la norma eterosessuale oppure parto dalla mia realtà di opressore cercando di gestire in modo diverso l'etichetta del frocio (che non ho scelto mache mi ritrovo addosso) ribellando termini del rap– porto politico con chi mi opprime. Accettare me stesso come culo al– lora non significa solo subire un'eti– chetta imposta e ricoprire lo stereo– tipo borghese della checca» oggi accettare me stesso significa rifiu– tare l'accettazione eterosessuale (che fino a prova contraria continua ad essere per me oppressione) e scontrarmi duramente come «di– verso» con chi da sempre come "diverso» mi ha definito ed escluso. L'esperienza di questi giorni al Par– co Lambro mi è servita per chiarirmi questo discors o, non perché il Festi– val del P.G.mi abbia offerto qualco– sa di diverso che altrove, masempli– cemente perché mi ha permesso di verificare attraverso lo scontro (le le occasioni, insieme agli stronzi che ce le offravano non sono mancate) la validità di una proposta politica che ha rifiutato l'accettazione. Ai compagni che mi avevano «ac– cettato» da tempo (ora so che mi accettavano come compagno e come omosessuale, non come culo) e che mi hanno rifiutato vedendomi truccato e quei compagni sedicenti tali che mi urlavano culo quando protestavo con le femministe inter– rotte durante il loro spettacolo non ho più nessun discorso "serio» da fare: non sono andato sul palco a mostrare ancora una volta la mia normalità con un discorso. Mi sono truccato e ho rotto i coglioni a chi mi opprimeva con la faccia che voleva– no che avessi, e cioè da culo. Que– sto significa non solo che sono stufo di essere oppresso fingendo di es– sermi liberato solo perché ho capito delle cose, ma soprattutto che sono stufo di cercare patenti diverse per la mia oppressione, che rimane una e uguale per tutti, sia per gli omo– sessuali che per i culi (quelli non politicizzati. Perché rifiutarmi come "negativo» significa nascondere la realtà dell'oppressione che vivo con gli altri culi. F'E:5TA (segue da pagina 16.) Prefetto: "Eh no, Evandro... caro– mio:..stavolta hai un pochino ecce– duto. Eppoi... caromio...quell'anar– chico che hai squartato accidental– mente, era un nostro infiltrato! Ma che cazf'.0,potevi stare più accorto, caromio...»Si il prefetto aveva ragio– ne. Ma potevano condannarlo per un banale errore? Sbagliare è uma– no... Ed egli nonostante tutto era umano. Dovevariabilitarsi e perbac– co, poteva.Avrebbe servito la legge da semplice cittadino, da oscuro portatore di Giustizia, da Netturbino della guerriglia urbana. «La polizia ha le mani legate! » gli sussurrava tutte le notti in sogno la bella figura di Enrico Maria Salerno. Si: avrebbe fatto da solo. Uno contro quasi tutti. L'idea lo eccitava. Percalmarsi mise sul registratore la pizza d'una inter– cettazione perfettamente riuscita. Mixaggio all'americana. Il suono delle voci ignare cullava i suoi pen– sieri di rivalsa. S'avvicinò alla finestra. poggiò la fronte contro le artistiche sbarre modello San Vittore ante-sessanta– nove e guardò la città. Gli ultimi televisori ancora accesi baluginavano dalle finestre. La città s'addormentava in blu rigato, dopo una giorna'ta d'onesto lavoro. ma un Male Oscuro la minacciava: la cor– ruzione . vizio, servizio, la rapina, la delinquenza politica, gli atti contro– natura, le TV via cavo e i rapimenti via covo, alcuni intelletti chissà dove osavano ancora pensare ... che schifo! Ci avrebbe pensato lui, da oggi, da subito. E mentre s'allaccia– va il cinturone attorno ai fianchi an– cor validi, udi levarsi dai televisori le struggenti, auguste note dell'Inno Nazionale. CHE FARÀ EVANDRO ZIGZAGAN– DO? QUALI SARANNO LE SUE PROSSIME VITTIME? RIUSCIRÀ A COAGULARE ATTORNO A SÉ UN VASTO MOVIMENTO D'OPINIO– NE? LO SCRIVERETE ALLA PROSSIMA PUNTATA. DEL PROLETARIATO MSNl&I; (alOVANILE il • • I I • •

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