RE NUDO - Anno IV - n. 23 - 1973

RE NUDO/20 UNA CAMICIA DI FORZ • Mi presero ìn un ristorante di piaz– za stazione, a Firenze; uno di quelli, mi ha detto: ti sbatto dentro per ol– traggio, mi era successo già altre volte di andare dentro per oltrag– gio, così ho tentato di scappare. Mi hanno preso, tutti quegli uomini contro di me, mi hanno -riempito di segni, ne ho uno qui in faccia, sem– bra uno sfregio. Urlavo: • chiamatemi l'avvocato, vo– glio l'avocato •, sono venuti gli in– fermieri, con la camicia di forza mi hanno riportato all'ospedale, re– parto agitati. Il giorno dopo mi hanno spedito in carcere, ho chiesto la visita medica per tutti i segni che avevo, ma fe– cero finta di niente, al processo non venne fuori che mi avevano picchia– to, come non è venuto fuori che ave– vo le manette, per quanto avessi i polsi grossi e gonfi. Quando mi han– no preso, in un ristorante erano in quattro, mi hanno subito messo le manette con le braccia dietro la schiena, poi mi hanno trascinato strasciconi, a testa in giù. Mi hanno denunciato per oltraggio. Mi hanno trattata come una bestia pericolosa. Come una mia compagna ha detto al giudice che io sapevo chi aveva commesso una rapina, così ho liti– gato con questa mia compagna la suora-madre-superiora si è messa a gridare che solo le prostitute come noi davano così fastidio, poi il dot– tore mi ha fatto una puntura di son– nifero e sono stata legata tre giorni al letto con il buco in mezzo e il bu– gliolo sotto i piedi legati con le ca– tene. Quando mi svegliavo mi mettevo a urlare e loro mi facevano subito un'altra puntura. Mi sono dibattuta molto per non farmi legare, così il dottore alla fine mi ha detto che gli avevo fatto ba– gnare tutta la camicia; io gli ho ri– sposto: •ti pagano per questo, no?•. Mi ha dato una manata e anche un poliziotto, ml davano cazzotti in fac– cia mentre ero legata; ho ancora i segni. Mi hanno mandato al manicomio criminale di Pozzuoli, ero disperata di vedermi in mezzo a tutta quella gente; mi hanno legata con i lacci invece che con le catene. Tre gior– ni legata in una camerata dove in al– tri dodici letti c'erano altre legate come me. Poi mi hanno messo a fare le puli– zie. Un giorno non volevo pulire il re– fettorio e ho risposto male alla suo– ra così mi hanno nuovamente le– gata. Sono stata quindici giorni legata, passavo dal letto a una panchina di ferro, come quelle dei giardini pub– bi ici, legata con la camicia di forza. Sempre con le punture di sonnifero. A Pozzuoli nei tre mesi che ci sono stata ho imparato che dovevo fare tutto quello che volevano senza mai reagire, altrimenti finivo legata. Là dentro eravamo tutte delle di– sgraziate, non riuscivamo nemmeno a parlare intontite come eravamo dalle punture e dalle capsule che ci davano. C'erano quelle che stavano a letto senza nemmeno più la voglia di muoversi, erano piene di piaghe, sangue, si vedeva la carne viva. Su duecento, duecentocinquanta che eravamo, almeno cento erano lega– te, ai letti o alle panchine di ferro, piene di lividi viola. li medico l'ho visto una volta quan– do sono entrata, mi ha fatto pochis– sime domande, non mi ha dato cure. Quando mi chiedevano cosa avevo fatto per finire lì, non sapevo nem– meno cosa rispondere. Praticamen– te c'ero finita per oltraggio. Il ma– nicomio è una punizione, mica una cura. Se ci andasse qualcuno, là dentro, senza avvisare, si saprebbe final– mente come • ci vive • la gente. A 19 anni ho avuto un bambino, ho voluto farlo nascere perché pensa– vo che avendo qualcuno a cui vo– lere bene, sarei riuscita a cambiare vita, a non fare più la prostituta. Per quasi un anno l'ho tenuto da un'amica, alla quale passavo tutto quello che riuscivo a guadagnare facendo marchette. Un giorno mi sono accorta che lei usciva con il suo amico e mi la– sciava il bambino solo in casa, così sono stata obbligata a portarlo al brefrotofrio, l'ho andavo a trovare due volte alla settimana, poi sono finita in carcere. In carcere chiedevo che mi portas– sero a vedere il mio bambino e, a forza di piangere un giorno final– mente mi ci hanno portato. Quando sono uscita dopo nove me– si, sono andata all'istituto per ve– derlo e mi hanno risposto che ave– vano l'ordine di non farmelo più vedere. Ho cercato di parlare con tutti; ma mi buttavano fuori, hanno anche chiamato la volante perché insistevo, mi sono rivolta a un av– vocato che mi ha risposto che il bambino, dovevano prenderlo i miei genitori che però non ne volevano sapere, oppure che io avessi un la– voro fisso. Chi me lo dava un lavoro fisso? Ho chiesto anche alla questura di aiutarmi a trovarlo, mi hanno riso in faccia. Ho chiesto aiuto all'UNITA', volevo che scrivessero come a nascere di– sgraziati non si ha neanche il diritto di essere madri. Niente. Sì, facevo la vita, ma al bambino ho cercato di non fare mai mancare niente, all'istituto sapevano cosa voleva dire per me il bambino. Me l'hanno tolto e basta. Ho trovato a un certo punto lavoro in un ristorante, ho proposto di met– terlo in collegio a pagamento per– ché avevo dei soldi da parte. Lo hanno fatto adottare da gente • rispettabile •. Certo a 17 anni battevo il marcia– piede, uno della questura mi ha portato alla polizia, poi, _mi ha detto che se ero gentile éon lui, avrebbe fatto finta di nulla. Ci sono cascta, se ci ripenso, mi viene schifo ssermi venduta così, con l'inganno. Prima di battere ero uscita dal col– legio, non avevo lavoro e dormivo al dormitorio pubblico. Stavo così male al collegio, che so– no andata due anni al manicomio vo– lontaria, i medici mi dicevano che non avevo nulla, ma piuttosto che tornare dalle suore preferivo rima- nere lì, i medici erano gentili con me, al collegio le suore se rispon– devo male, mi chiudevano in uno stanzino, il mangiare me lo passava– no da un finestrino. lo sono cresciuta in collegio, non sapevo niente di come era fuori. A 12 anni la mia famiglia mi mandò a servizio, mi stancavo e stavo ma– le, così scappai e allora mi manda– rono in casa di rieducazione. A casa ci sono stata solo un po' a 12 anni, ma mio padre tentò di vio– lentarmi; mia madre mi diceva • non è nulla, non fare storie •, ma io mi ribellavo. Portavo la legna sulle spalle e lui di dietro mi bastonava. Nessuno mi ha mai parlato, mi ha detto come è la vita e che cosa do– vevo fare. In collegio, se sbagliavo qualcosa mi picchiavano con la cin– ghia, mica mi spiegavano le cose. • • il manicomio

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