CRONACHE D'ARTE LA XXIV BIENNALE DI VENEZIA C'era-da perdersi in quell'arcipelago di padiglioni che pareva una mappa mundi sul tipo di quelle affiches che pongono al posto d'ogni città, in sintesi, la figura del monumento più importante o del prodotto culinario « tipico »; e ciò per attrarre il turista; ma che non suggeriscono l'itinerario più utile, tale da lasciare, a viaJgio compiuto, un'impressione durevole o un pensiero concreto. Questo, ben inteso, per chi, prima d'entrare nel recinto incantato dei,Giardini di Venezia, dava un'occhiata preventiva alla planimetria stampata nel Catalogo. Fuor di metafora: tutte le nazioni, si può dire, avevano un loro padiglione, uno di quei vecchi padiglioni démodés, che ancora ostentano le vesti rattoppate di cinquant'anni di vita: e c'eran quelli di varia ortodossia (pseudoliberty, pseudoclassici, pseudomoderni: l'ortodossia in arte, si sa, è sempre pseudo) e quelli lievemente spregiudicati. Ma gli occupanti non andarono pel sottile; e così, dall'esterno, non si sarebbe davvero potuto intuire che dietro quel pronao di maniera si erano accampati gl' impressionisti, o che al .di là di quel funerario lusso di stuc(hi si adagiava, nientemeno, il « vitalissimo » Moore. Belgio, Olanda/ Polonia, Cecoslovacchia, Inghilterra, Stati Uniti, Danimarca ecc. ecc.; e, acquattati dove meno potevan pensarsi, come si trattasse di parenti poveri, l'Egitto, il Brasile o gli « artisti tedeschi » (non « la Germania », giacché, pare, questa non abbia diritto d'esistere nella geografia mondiale; i tedeschi, insomma, ci sono, ma la Germania no. Lo stesso dicasi per la Palestina); e in mezzo a tutti, quasi come isola maggiore, l'Italia doverosamente accogliente e situata come una padrona assisa al • posto d'onore, che è poi il più adatto a far gli onori di casa. La Russia era assente; ma qualcuno insinuava che aveva inviato la sua quinta colonna. Ma appena intrapreso il viaggio, ecco apparire mete e punti cardinali; sarebbe a dire: criteri dell'ordinamento, scopo della mostra, nesso fra le parti e, anche, elementi per sé validi, fuori d'ogni fine o rapporto, e cioè mostre di artisti e di opere potute e volute raccogliere per un loro particolare e individuale valore. Così bisogna subito -discernere fra le sale (o le pareti o i padiglioni) con valore individuo e le opere adunate lì come pagine d'un libro, nel quale si possa finalmente leggere come, di rivoluzione in rivoluzione, abbia marciato l'arte moderna, e cioè quella nata, nuova fiammante, dalle ceneri disperse al vento dell'accademismo ottocentesco. Come insomma, da quei refmés del tempo della guerra franco-prussiana o giù di lì, si sia giunti all'arte che si ama definire: arte dell'ultimo dopoguerra. Era fin troppo evidente che la Biennale volesse essere una mostra storica, per dir così; e col fine dichiarato di dimostrare come l'arte d'oggi si legittimi, appunto, storicamente. Quale, poi, sia l'arte d'oggi, è noto; o almeno - e qui è il primo punto da chiarire - è noto quale sia l'arte che gli ordinatori della Biennale hanno assunto come arte d'oggi: quella che, grosso modo, si suol chiamare arte astratta o astrattismo; la quale, avversata dai più, ha trovato a Venezia i suoi paladini, tanto che agli astrattisti son stati conferiti onori tali da valere come investitura ufficiale; alludo ai premi elargiti, per esempio a Viani, a Guttuso, a Moore (ché gli altri, quelli toccati a Braque, a Morandi, a Manzù non sono che celebrazioni d'obbligo, ormai; e quei due premi per i migliori incisori, Chagall e Maccari, son cosa a parte e, forse, ingannevole). Quei premiati, quei vincitori « di forza», s'eran presentati armati di tutto punto sotto l'insegna di « Fronte nuovo dell'arte»; fronte,
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==