IL LINGUAGGIO E IL PROBLEMA DELLE ORIGINI 71 genza della coscienza ad obiettivarsi, il primo e più importante grado di quella tendenza ad esternarsi e durare che è propria della natura umana in quanto spirituale. E il primo e più importante grado di quell'alta prerogativa, che ha l'uomo nei confronti di tutti gli altri esseri viventi, di proiettarsi oltre i limiti della propria fisicità. Come vive l'oggetto creato dalla mano, così vive la frase, una volta pronunziata, anche se la sua realtà acustica sia quella di un attimo. Essa ritorna per prima cosa a chi l'ha pronunziata, e questi, per poco che aSbia sorveglianza su se stesso, si pone immediata la domanda se essa sia forma fedele di quel contenuto che voleva essere espresso, o non invece manchevole per difetto o per eccesso. La frase si pone agli altri, a chi ascolta, come esponente di una realtà affettiva, volitiva, razion·ate, che esige di essere presa in considerazione, conosciuta; ma in quanto esponente, esige per prima cosa d( essere compresa e per questo, in chi ode, si dovrà rifare il processo di sintesi che si è operato nel parlante, seppure in senso inverso. Ma il porsi a sé e il porsi agli altri non sono se non due ovvie conseguenze dell'obiettivazione; quello che è, in primo grado, qualificativo del linguaggio è la sua funzione come obiettivazione di momenti della coscienza, a cui esso provvede con il mezzo più adatto, il simbolo fonico. Quest'esigenza di obiettivazione è inerente alla stessa natura dell'uomo, al suo spirito che non è lipyov, ma ivépyzux, alla sua coscienza che non è stasi, ma è moto ed ha il privilegio di atttuarsi incessantemente, nell'ambito della determinazione di rapporti nei quali si configura. La somma delle determinazioni, che al parlante si pongono e dentro le quali egli può agire con la massima libertà, è costituita dalla lingua, come complesso dei simboli fonici e dei mezzi di collegarli, del quale ognuno viene a trovarsi in possesso come persona storica, cioè come erede e partecipe dei beni della comunità. * * * Dal carattere umano, finalistico e spirituale del linguaggio deriva che il problema delle sue origini non possa essere posto sullo stesso piano dei problemi della fenomenologia causale. Secondo noi (1), il linguaggio è una tecnica, cioè un complesso di atti diretti a uno scopo, e lo scopo è, come si è detto, quello di obiettivare il contenuto della coscienza. In quanto tecnica, il linguaggio si compone di un agire, che è l'atto linguistico, cioè la parola nella terminologia desaussuriana, e di un sapere, cioè la lingua. Il primo costituisce il momento soggettivo, la seconda il momento oggettivo del linguaggio; ma questi due ( I) Di quanto qui si afferma del linguaggio come forma del conoscere e del suo carattere di teooica viene resa più ampia ragione in un saggio (fTeori!4della lingua) in corso di stampa.
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