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Giovanni Tassani

Vita fraterna

Tratto da «una città», maggio-giugno 2022
 
Nell’ultimo numero di "Energie Nove”, febbraio 1920, il giovanissimo direttore Piero Gobetti raccomanda ai lettori tre riviste. Due sono note e prestigiose, da tempo ispiratrici del suo operare culturale e prepolitico: "L’Unità” di Gaetano Salvemini e "L’Educazione Nazionale” di Giuseppe Lombardo Radice, la terza è più modesta e di formato simile alla sua: si tratta di "Vita Fraterna”, presentata come: "rivista di apostolato mazziniano, specialmente indirizzata alle lettrici”. Con essa esiste da parte di Gobetti una solidarietà pedagogica, di formazione di coscienze attuata con modalità simili e interscambi d’indirizzi e abbonamenti, tra Torino e Milano, ove "Vita Fraterna” è nata nel gennaio 1917 e ha sede in via della Spiga 25. Per due volte Gobetti ha voluto scrivere, dietro invito delle redattrici, per "Vita Fraterna”, una prima volta, quasi in prossimità delle elezioni del novembre ’19, suggerendo testi in vari campi (politica estera, istituzioni, questione meridionale, sindacalismo, problemi agrari…) atti a forgiare una nuova cultura nella classe dirigente post-grande guerra, e una seconda volta, nel marzo 1920, descrivendo l’esperienza ormai quadrimestrale e il vasto programma della sua Scuola di formazione politica a Torino. Nel primo intervento Gobetti, nell’affermare che "L’Unità” salveminiana non può più bastare, pare implicitamente pensare già alla futura "Rivoluzione liberale”, mentre nel secondo intervento tiene a sottolineare il carattere antiaccademico di una scuola singolare, da lui voluta, fatta tutta di giovani, ove tutti vengono per imparare, e che è destinata a moltiplicarsi. È questa una modalità che si confà alla prassi comunitaria, anzi -appunto- "fraterna”, messa in atto da redattrici e redattori della rivista milanese, che, dopo un continuativo servizio ai soldati e ai feriti per il periodo bellico, inaugureranno analoghi incontri presso la Federazione lombarda femminile, in via Brisa 3, e presso lo studio del pittore Aldo Carpi, in via Goito 5.
L’apostolato mazziniano intravisto da Gobetti in "Vita Fraterna” ben definisce l’impegno idealistico promosso, tra intervento, guerra e dopoguerra, dalla piccola rivista milanese, in cui si esprime una tradizione lombarda ove confluiscono risorgimentalismo, conciliatorismo ed emancipazionismo femminile. Ci si ispira a quel Mazzini che voleva l’Europa delle libere nazioni, nella fedeltà alla sua ispirazione religiosa che radicali, repubblicani e socialisti, a Milano come a Roma o in Romagna, hanno dimenticato a favore di un positivismo materialista e scientista, sotto influsso massonico. Ora spira un’aria rinnovata, il clima culturale va trasformandosi e uomini nuovi come Umberto Zanotti Bianco e Tommaso Gallarati Scotti scrivono di Mazzini in una prospettiva nazional-liberale comune a tanti altri giovani e meno giovani, da Prezzolini ad Amendola, da Boine a Borgese, distanti tanto dal radicalismo e dal massimalismo socialista, quanto dal nazionalismo ufficiale e "imperialista”. C’è un influsso anglosassone che soverchia col suo pragmatismo quello ideologico d’importazione francese e ciò si vede in "Vita Fraterna” sia sul terreno femminile nella rivendicazione di nuove professioni, a partire da quelle infermieristiche a contatto coi soldati feriti e invalidi al fronte e nel fronte interno -costante è la presenza di inserti centrali in "Vita Fraterna” nel nome di Florence Nightingale- sia nella battaglia per una scuola libera, "adatta al sentire del popolo”, che trova da qualche anno in Lombardo Radice, Gentile e Codignola i suoi principali teorici. Il superamento del positivismo è del resto un principio evidente nell’indirizzo della Libreria Editrice Milanese, sorta negli anni della rinascita idealistica e del modernismo espressosi a Milano con "Il Rinnovamento” (1907-1909), e che ha pubblicato testi come l’inchiesta di Paolo Arcari, La coscienza nazionale in Italia, 1911, due libri di Bernardino Varisco, Conosci te stesso, 1912 e I massimi sistemi, 1914, l’Autobiografia del modernista inglese George Tyrrell, 1915, nonché testi di autrici partecipi del modernismo italiano come Antonietta Giacomelli, Per la riscossa cristiana, 1912 e Sofia Vaggi Rebuschini, Novelle, 1913. È nell’ambito della Libreria Editrice Milanese e per opera della Rebuschini che è nata ed è cresciuta l’esperienza di "Voci amiche”, 1911-1916, mensile femminile che al momento cruciale della decisione nazionale sceglierà la via dell’intervento, su una linea comune con l’Unione Femminile Nazionale nella sua maggioranza, lasciando poi il campo a "Vita Fraterna” all’inizio del ’17. Lì convergeranno gran parte delle collaboratrici, tra le quali, non firmandosi quale "irredenta”, ma siglandosi Lei o L, l’ispiratrice maggiore: Antonietta Giacomelli, pronipote di Antonio Rosmini. Con lei, firmando con le iniziali BC, dai tempi romani dell’Unione per il bene, esperienza di solidarietà interconfessionale e fuori dagli schemi a inizio secolo, sarà don Brizio Casciola, che Fogazzaro aveva preso a modello per il protagonista del suo romanzo modernista, messo all’Indice nel 1906: Il Santo. La roveretana Giacomelli a più riprese aveva partecipato a Milano a varie esperienze di coscientizzazione e impegno femminile. Aveva polemizzato con Romolo Murri, fattosi eleggere nel 1909 coi radicali, e aveva spinto i suoi giovani a ribellarsi a lui fondando una nuova Lega nazionale, ora "democratica cristiana italiana”. Al congresso di questa, a Bologna, nel gennaio 1915, aveva spinto per l’intervento italiano, mentre i giovani leader, Giuseppe Donati ed Eligio Cacciaguerra, avevano capito l’importanza nazionale, dal Risorgimento in poi, del filone cattolico liberale, transigente, cui ora si collegavano esplicitamente. A Bologna, come nei consigli nazionali della nuova Lega, sono sempre presenti, a leggerne i resoconti sull’organo nazionale della stessa Lega, "L’Azione” che si stampa a Cesena ed è diretta da Cacciaguerra, le animatrici di "Voci Amiche” e poi di "Vita Fraterna”. Ma a leggere "Vita Fraterna” non si ha modo di supporre questa appartenenza, mai esplicitata, e che si esprime più che come militanza politica come un modo di essere e vivere, da famiglia spirituale allargata. Una famiglia tesa, con un forte sentire femminile, al rinnovamento della vita religiosa nella Chiesa e alla rigenerazione della Patria.
Ma chi sono quindi le animatrici e gli animatori della rivista? Lo si può capire a partire da come una signora in età, Ninina Arpesani, si presenta in lettera, il 7 dicembre 1917, festa di S. Ambrogio, a colui che poi diverrà il simbolo eroico del circuito di "Vita Fraterna”: Fulcieri Paulucci di Calboli, invalido all’ospedale Zonda, medaglia d’oro, sentito e ammirato al suo esordio oratorio nella scuola di via Stoppani, ove era stato invitato dalle insegnanti, il 2 dicembre. Fulcieri è all’origine del "Comitato d’azione fra mutilati, invalidi e feriti di guerra”, costituitosi proprio allo Zonda il 1° novembre, pochi giorni dopo la disfatta di Caporetto. Ninina è figlia di un medico, Paolo, distintosi nelle Cinque giornate del ’48, e sorella dell’architetto Cecilio, che ha tre figli: Giustino, Maria e Adelaide; il primo è ufficiale al fronte, le due sorelle sono le animatrici della rivista di cui Ninina dona all’eroe i primi numeri insieme con un nastrino tricolore appartenuto al padre. Adelaide (Adar) e Maria (Ma, poi Mca, avendo sposato il pittore Aldo Carpi il 23 maggio ’17) sostanziano la rivista, con l’apporto, più o meno continuo di altre firme note ai circuiti femminili dell’epoca: Sofia Vaggi Rebuschini, Sofia Ravasi, collaboratrice a Milano dell’Istituto francese, che sposerà poi l’editore Aldo Garzanti, Paolina Tarugi, Angiolina Dotti, Anita Zappa, Elisa Majer Rizzioli, Lina Caico, Lina Tedaldi, Adele Riva. Non si può infine fare a meno di notare in "Vita Fraterna” la presenza, con un romanzo a puntate, di Lucy Re Bartlett, storica femminista inglese di matrice spiritualista, impegnata da anni in Italia col marito Emilio Re sul tema della protezione legale dei minori. Antonio Greppi, nipote della Rebuschini, fornirà racconti e resoconti dal fronte, così come Giustino Arpesani e Aldo Carpi: nel dopoguerra il primo sarà nel Psu social-riformista con Turati e Kuliscioff, poi "avvocato dei poveri” e autore teatrale, per divenire sindaco della liberazione e ricostruzione a Milano, dopo aver perso nella resistenza il figlio Mario, diciassettenne. Aldo Carpi, durante il lungo servizio militare tra 1915 e ’19, avrà modo di illustrare artisticamente, in parte vivendola, l’epica ritirata serba, diverrà poi collaboratore di Adolfo Wildt a Brera e autore di affreschi e vetrate in molte chiese di Milano, Duomo compreso. Di famiglia con radici ebraiche, sarà arrestato e deportato a Mauthausen e poi a Gusen, su cui scriverà un celebre Diario, perdendo anch’egli un figlio diciassettenne, Paolo, ucciso nel lager di Gross Rosen. Giustino Arpesani, convinto nazional-liberale, volontario e sul campo tenente di artiglieria, fonderà nel dopoguerra a Milano il Club liberale con Gallarati Scotti, Bauer e Parri, con i quali collaborerà a "Il Caffè” (1924-’25), chiuso d’autorità dall’incipiente regime. Aveva partecipato alla redazione della "Rivoluzione liberale” di Gobetti. Dirigente nel Cln, diverrà sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Parri e poi con De Gasperi per divenire nel ’47 ambasciatore in Argentina. Tra i collaboratori legati da vincoli di amicizia e solidarietà politica a casa Arpesani si può ben individuare, dietro la sigla Gd, il giovane ufficiale volontario Giuseppe Donati, più volte ferito e medaglia d’argento: uomo che Salvemini reputerà come l’allievo di cui era più fiero, e Gobetti una coscienza di prim’ordine accanto a Sturzo, quando Donati nel ’23 accetterà di dirigere il quotidiano del Ppi "Il Popolo”. Durante la guerra, e negli articoli per "Vita Fraterna”, Donati aveva puntato sulla valorizzazione dei reduci a guerra finita, uniti in un partito "rivoluzionario nell’anima e riformista nelle opere”. È la stessa tesi che le redattrici di "Vita Fraterna” sognano per il riscatto, professionale e politico, delle donne che hanno sostenuto il paese in guerra dalla parte del fronte interno: nelle scuole, nelle fabbriche, negli ospedali e nei pubblici servizi. Una trincea, anche questa, da cui non recedere ma procedere in avanti, consolidando i risultati. Perché non venga perduta nessuna delle opportunità di cambiamento che la guerra europea ha provocato. 
Se in parallelo a "Vita Fraterna” si consulta negli stessi anni l’organo della Lega democratica cristiana italiana, "L’Azione”, trasportata da Cesena a Roma nel ’17 a seguito dell’arruolamento di Cacciaguerra, ci si potrà accorgere come a fronte delle partenze maschili per il fronte, alcuni di questi vuoti siano riempiti da firme femminili presenti nella piccola rivista di via della Spiga. Firme che si aggiungono ad altre femminili, direttamente militanti nella Lega Dci: con Sofia Vaggi Rebuschini, Luisa Giulio Benso (responsabile per l’Italia dell’Unione Donne cristiane liberali), Carla Cadorna, figlia del Capo di Stato Maggiore, Giuliana Anzilotti, Maria Barbano, Maria di Borio, Vittoria Fabrizi de Biani, Jole Manzotti Marconi, Piera Oliva. Non manca in entrambe le testate una firma espressiva di uno stile british come quella di Angelo Crespi, già collaboratore de "Il Rinnovamento”, "Critica Sociale”, "Rivoluzione liberale”, che sarà in futuro d’aiuto e conforto a Londra, ove si era trasferito in opposizione al fascismo, dell’esiliato don Luigi Sturzo.
"Vita Fraterna” partita da 370 abbonamenti nel ’17 raggiungerà quota 714 nel ’18, passando da mensile a quindicinale, ma non superando mai l’agognato migliaio di copie paganti. Stamperà in più alta tiratura alcuni degli inserti centrali destinati ai soldati, al personale delle scuole, alle infermiere in una prospettiva di "Vittoria!” -titolo di uno degli inserti- non solo in senso militare ma quale meta più alta di libertà e giustizia da raggiungere e consolidare.
Il dopoguerra porterà invece delusioni e ampie dimostrazioni di come fosse possibile tornare indietro nei diritti e nelle promesse. L’azione per il suffragio femminile, perseguito anche da "Vita Fraterna” con scritti e convegni, non avrà seguito. I trattati di Versailles con la ritrovata politica di potenza da parte dei vincitori, l’ambiguo comportamento di Wilson, la sottovalutazione alleata del sacrificio dell’Italia, le disastrose condizioni economiche postbelliche, riporteranno il confronto politico al conflitto ideologico e al ribellismo sociale senza prospettive, semmai con l’illusione utopica di una palingenesi rivoluzionaria alla russa. La parallela ascensione sociale del movimento operaio e di quello femminile, evocata da tanti spiriti liberi, troverà nuovi e temibili ostacoli.
Nei mesi seguenti il dopoguerra la rete dei già interventisti con finalità liberal-democratiche -in cui "Vita Fraterna” si ascrive- tenterà di organizzarsi e troverà nuove modalità di espressione: attorno a Salvemini e agli amici de "L’Unità” si costituirà la "Lega democratica per il rinnovamento della politica nazionale”, con sede a Roma, dapprima in via dell’Umiltà 86, ove convive con la rivista "Volontà” di Vincenzo Torraca, poi in via 3 novembre 154. Agli inizi del 1920 si formerà invece il "Fascio di Educazione Nazionale”, ove convergeranno in un comitato promotore filosofi e pedagogisti di nuovo orientamento: Anile, Gentile, Codignola, Lombardo Radice, Varisco, Momigliano, insieme con Gobetti, Prezzolini, Valgimigli. Vi partecipa anche Giovanni Marchi, già collaboratore di Cacciaguerra e poi di "Vita Fraterna”, direttore del mensile "La nostra scuola”, che seguirà poi Gentile su una linea di liberalismo in trasformazione con e nello Stato.
L’8 agosto 1919 la Camera aveva intanto approvato, con 231 voti a favore e solo 83 contrari, la riforma elettorale proporzionale che aveva avuto quasi immediata attuazione nelle elezioni politiche generali, le prime nel dopoguerra, del 16 novembre. Di fronte a esse lo spirito combattentistico teso alla rigenerazione della Patria dopo tanti sacrifici e nonostante le ingiustizie di Versailles, spinge l’ambiente di "Vita Fraterna” a seguire Salvemini e Donati, candidato il primo per il Partito del Rinnovamento, formato da ex combattenti, ed eletto a Molfetta, e il secondo per il piccolo Partito democratico cristiano, presente in due soli collegi: Romagna e Friuli. Salvemini appoggerà la candidatura di Donati che non risulterà però eletto (4.456 voti a fronte dei 15.927 del candidato popolare, conte Zucchini, nella natia Faenza), mentre in Friuli verrà rieletto il solo Marco Ciriani. Alle elezioni sono prevalsi due partiti "di massa”, socialista e popolare, il primo diviso tra fazioni che sperano in prevalenza nell’avvento di una prospettiva alla russa, il secondo con segretario un sacerdote, certo dalla visione più laica e aperta di tanti suoi parlamentari, ma pur sempre condizionato dalle aspettative vaticane in tema di soluzione della questione romana. Tra 1919 e ’20 si apre così un quadro diverso per un paese esausto che si sente tradito, in cui il fronte già interventista, da sempre diviso alla radice, si frantuma, le speranze femminili sono frustrate, i risentimenti nazionalistici trovano nuove occasioni di sfogo, da Fiume in poi.
La rigenerazione nazionale pare fallita e molti credono che per avverarsi debba accompagnarsi alla violenza. Molte coscienze, anche le più nobili, paiono dubbiose e tarderanno a vedere più chiaramente nel futuro prossimo del paese.
L’esperienza di "Vita Fraterna” si conclude col numero di maggio 1920, anno IV, n. 9-12. In febbraio aveva chiuso "Energie Nove”.
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