Gl'Istriani a Vittorio Emanuele II nel 1866

- 25 - di Brindisi, da serbarsi ai commerci più vitali della penisola? Ed anche senza ciò, dove mai sarebbe modo, come pur dovrebbesi, di formarne fortezze primarie, per custodirvi le ricchezze di quell'arsenale senza di cui il porto stesso è pressochè nulla? Ma è bensì Pola che ci dà pienamente quanto ci occorre: Pola ch'è testa di ponte di Ancona, come già Io fu di Ravenna e di Venezia; Pola che ben può dirsi la Spezia dell'Adriatico, e con posizione strategica ancor più felice, ,aprendosi il vasto e ben sicuro e ben difendibile suo porto ,propriamente sulla punta estrema di quel campo naturale dell'Istria che sta sì dappresso ai varchi dell'Alpe Giulia e s'intramette, come a dividerne il mare, non meno delle terre e delle nazioni che là s'incontrano, fra il golfo di Venezia e il Quarnaro che l'Italia chiude. Occupando quel porto, fossimo pur battuti al confine, noi saremmo in grado di rifare le nostre sorti. Padroni dell'Adria invero, noi di là ricondurremmo al campo e sui fianchi del nemico le nuove schiere, le munizioni e provvigioni nostre, e varremmo a tagliargli le vie dei rinforzi, a staccarlo dalle basi della Carniola e Croazia. E tutto ciò senza rischio, perocchè negli ultimi casi è sempre da Pola che riporteremmo in seconda linea, dietro il Po _e sull'Appennino, le nostre divisioni dell'Istria. Meno giusto potrebbe sembrare a taluno quanto viene affermato intorno ai rapporti germanici del commercio di Trieste. L'erroneo asserto messo innanzi nel Parlamento italiano da illustre generale e ministro, s'ebbe già contro le proteste dei Triestini, e le proteste furono lasciate sussistere in tutto il loro valore dalla stessa Dieta di quella città quando, ammonita dal Governo a disdirle, coraggiosa vi si rifiutava e però veniva sciolta. B blloteca Gino Bianco

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