il Potere - anno I - n. 5-6 - novembre-dicembre 1970

I_ MENSL!JE - CASELLA POSTAf.E 1665 - 16100GENOVA __I Il potere sindacale L A sinistra sindacale. in quanto espressione autonomamente politi– cizzata delle classi lavoratrici, è il fatto nuovo e innovatore della nostra situa– zione politica. E' un fatto nuovo in ter– mini assoluti, e perciò, non è soltanto per l'insufficienza della scienza politica o della sociologia di oggi, che le forze sindacali sfuggono a tutte le classifica– zioni e a tutte le tipologie. A che serve, per catturare la realtà sindacale, la di– stinzione di Jean Touchard fra sindaca– lismo riformista, anarco-sindacalismo e sindacalismo rivoluzionario? O quella di Tourain fra sindacalismo di opposizione, sindacalismo di controllo e sindacalismo associato al potere? Queste tipologie hanno, semmai. un valore puramente storico. E ciò non solo perché la sini– stra sindacale sta vivendo oggi un mo– mento di transizione e di trasformazio– ne che le dà, sotto certi aspetti, un ca– rattere magmatico, ma perché la sua ri– cerca di autonomia, per quanto si muova nel solco di una tradizione, esclude il recupero formalistico di vecchie ideolo– gie, o la nostalgia di antichi modi di essere finiti per sempre. Se c'è una for– za che riesamina criticamente tutto il movimento operaio e della sm1stra in Europa, questa è appunto la sinistra sindacale. che unifica i diversi fronti della lotta operaia, globalizza il conflitto sociale, annullando l'assurda frattura fra mo– mento economico e momento politico, in una reale prospettiva di autogestione della lotta e di autogoverno. TUTTAVIA, per capire il sensodella sinistra sir1dacale e prevederne i possibili sviluppi la descrizione dei suoi tratti più peculiari non basta. Bisogne– rebbe chiedersi che cosa ha fatto cre– scere in questo decennio la sinistra sin– dacale. Forse - come voleva Mallet - la formazione di una nuova aristocra– zia operaia nei settori automatizzati del– la produzione, la sua vocazione alla integrazione professionale nell'impresa, e la spinta che ne è venuta ad un nuovo tipo di sindacalismo gestionario che ha messo in discussione la politicizzazione subalterna dei centri confederali e le loro riflesse rivalità? Oppure, al contrario, la dequalifica- e HE cosa dicono i comunisti sui co- zione di larghi strali del mondo ope– raio (indotta da un lavoro sempre più parceliarizzato), e quindi una sostan– ziale sua omogenizzazione che ha liqui– dato antiche tradizioni corporative e gli ha restituito il senso della sua unità? O invece la sconfitta delle vecchie rap– presentanze politiche della classe ope– raia (grave soprattutto là dove esse hanno conquistato il potere) che ha reso di colpo fumosamente dottrinario e bizantino il dilemma fra rivoluzione e riforma? Certo, tutti questi eventi hanno avuto la loro parte nella crescita della sinistra sindacale. Da questo pun– to di vista sono stati anche impor– tanti la progressiva, inarrestabile prole– tarizzazione dei ceti medi, la nuova di– mensione e caratterizzazione della classe operaia, il crollo di vecchie barriere, che le inevitabili stratificazioni dell'occupa– zione industriale, il tenace mantenimen– to di certe distinzioni contrattuali, i re– sidui di falsa coscienza non riescono a nascondere. Ma il fatto più importante di tutti è senzadubbio l'inasprimento e la totaliz– zazione delle forme di dominio, non– ché la dimensione sempre più gigantesca ed onnidiffusa delle organizzazioni di sfruttamento, con le loro immediate con– seguenze: la polarizzazione sempre più marcata fra governanti e governanti, la faccia di giorno in giorno più cinica e arrogante del potere. A questo punto le timide ed esauto– rate rappresentanze politiche da sole non possono più garantire lo sviluppo democratico del paese. Le assemblee legislative restano una necessaria ed irrinunciabile garanzia di libertà, ma la lotta per essereefficiente deve essere combattuta dal movimento operaio in tutti i settori dell' organiz– zazione sociale, in prima persona. e in forme costituzionali, ordinate, siste– matiche, legittime. Questa lotta - or– dinata, sistematica, costituzionale, legit– tima - non può che esseregestita dal sindacato. Ma l'emersione di una organizzazione tecnico-politica dal sindacato accanto a quella tecnico - economica crea molti problemi. La sinistra sindacale è la na– turale antagonista della sinistra buro– cratica come di quella tecnocratica ed anarchica e tuttavia, paradossalmente, qualche cosa di queste tre sinistre vive nel sindacato come tentazione o come rischio. D'altra parte l'unificazione sin– dacale implica una profonda revisione del rapporto fra sindacati e partiti. Gianni Tamburri CAPITALISMO E Sped. abb. post. gr. Jll (70%) ~ Anno i - N. 5-6 rNovembre-Dicembre J970 - L. 100 LA POLITICA ITALIANA Ilmoto immobil CHE cosa rimane oggi, ad un anno dall'elezione del nuovo presi- dente della repubblica, del • partito della crisi»? dell'appello di Fanfani per un governo - direttorio e per la regolamentazione del diritto di sciopero? Che cosa resta della drammatica denuncia, con relative dimissioni, di Mariano Rumor, il quale disfaceva un governo di centro-sinistra affermando che la maggioranza si squagliava e che era preferibile la crisi alla decomposizione? In apparenza ben poco: a pochi mesi dal « semestre bianco » il blocco d'ordine presenta serie incrinature e sembra pervaso da con– trastanti strategie interne. Il Psu, diviso fra la linea morbida di Ta– nassi e quella oltranzista di Ferri e Cariglia, si prepara al congresso chiarificatore di febbraio; il gruppo « vecchio-doroteo » di Piccoli e Rumor dimostra scarsa omogeneità di prospettiva; Paolo Emilio Ta– viani propone lo scioglimento del suo ministero e sembra voler indi– rizzare, un'ultima volta, il • ponte » moderatamente a sinistra. Dal centro-sinistra organico ed autosufficiente si è passati, non senza polemiche, alla maggioranza aperta al confronto parlamentare: un governo Dc-Psi con l'astensione comunista è, oggi, fra le possi– bili soluzioni all'impasse politica. Teorico e protagonista di questo passaggio è stato l'onorevole Andreotti, il quale, scavalcato a sini– stra Fanfani, è divenuto espressione concreta della linea propugnata da Aldo Moro. 11deputato romano si è preso, in questo modo, una bella rivincita sui socialdemocratici, che ne avevano impedito a suo tempo la nomina a primo ministro. In altri tempi, Ferri e Preti avrebbero aperta una crisi per molto meno: neanche le vicende sulle giunte sarda, siciliana e milanese hanno seriamente impensierito il governo Colombo. A questo punto, quale alternativa si propone il Psu? La corsa al Quirinale rappre– senta il nocciolo della questione: l'interesse massimo dei socialde– mocratici è quello stesso del Psi: evitare la presidenza per un demo– cristiano e far passare, comunque, una candidatura laico-socialista. L'incredibile fatto del socialismo italiano è che Psi e Psu uniti hanno interessi divergenti: divisi hanno interessi comuni. Le forze interessate ad una presidenza non democristiana sono molte, dentro e fuori il parlamento. Un elemento importante, quin– di, della crisi del partito della crisi è che Mancini sembra aver capi– to di non avere attualmente alcun interesse ad emarginare il Psu ed il Psu alcun interesse a squalificare il Psi. . La P?liti_ca italiana è un movimento vorticoso il cui scopo e risultato e d1 lasciare tutte le cose rigorosamente immobili, vanifi– cando le attese sociali del paese. La stasi attraverso il movimento· è quanto accade da tempo anche nel partito di maggioranza e che è stato recentemente denunciato dalla sinistra dc di Forze nuove a cui non pare essere sfuggito che un'altra conseguenza dell'impote~za del partito della_ crisi è la nuova politica di Moro. Il ministro degli esteri da garanzia a destra: suo disegno è di diventare candidato al Quirinale non di una gran parte, ma di tutta la Dc. Finora ha evitato un diretto avvallo alla nuova maggioranza nei partiti. Guarda da lon– tano San Ginesio, lascia cadere i ripetuti appelli di Donat Cattin e di una parte della Base per una maggioranza nuova all'interno della Dc. Il fine è il recupero dei dorotei alla logica morotea, compiutamente espressasi in Italia nel quinquennio 1963-68: il moto immobile. Moro non si risparmia a manifestare il proprio atlantismo iper– ortodosso: le sue dichiarazioni di Bruxelles, cui non è mancato un preoccupato accenno alla presenza russa nel Mediterraneo, sono fra le più atlantiche possibili. Egli conosce alla perfezione il teorema numero uno del!' attuale politica italiana: per stare rigorosamente fermi, occorre muoversi rapidamente in tutte le direzioni. Alberto Gagliardi COMUNISMO Il riformismo ingenuo, pacifista e con– ciliatore, che diventa poi soggezione al– la logica del potere economico; l'estre– mismo rivoluzionario, altrettanto inge– nuo, che consegna il destino delle classi lavoratrici all'arbitrio di avanguardie giacobine; il mito dello spontaneismo che porta alla rinuncia dell'organizza– zione; la saint-simoniana fiducia nella « amministrazione delle cose », che spia– na la via al rischio tecnocratico; la chiu– sura nell'universo operaistico tradizional– mente inteso, che esclude la ricerca di più ampie solidarietà sociali e politiche; la tentazione corporativa che divide, isola e insabbia i diversi settori del mo– vimento; tutti gli errori, le illusioni e le mistificazioni che hanno reso cosl difficile, lento e sanguinoso il movimen– to di emancipazione popolare, sovrastano certamente il dibattito, l'analisi ed il progetto politico della sinistra sindacale anche se molte cose sono più sottintese che apertamente dichiarate. J CARA TTERl che individuano la munisti al governo ? Pochissimo, quasi niente. Il Pci è per i tempi lun– ghi, dice quest'anno Amendola che, la estate scorsa, prima del preventivato au– tunno caldo, era per i tempi brevi. La « nuova maggioranza,, esiste nei corridoi. Esiste già nei fatti, impercet– tibili legami di potere che si tessono tra burocrazia, maggioranza e opposi– zione. Ma non esiste alla luce del sole. Non esiste nei programmi. li linguag– gio politico anticipatore non è andato al di là di « repubblica conciliare ». Per la verità, tutto quello di cui pos– siamo parlare oggi è di repubblica par– lamentare, con l'accento sul « parla– mentare». li XXI congresso del Pcus aveva messo l'accento sui parlamenti: ora ce lo mette Andreotti, ma la tesi è la stessa. Tutto quello che di tante prospettive giunge a nutrire la nostra arida realtà è l'idea di un governo as– sembleare, un governo dei capi gruppo parlamentari in cui l'esecutivo diven– terebbe veramente il braccio burocra– tico del parlamento. L'anticipazione di w, simile mutamento istituzionale è sta– ta accennata dalle vicende del famoso decretane. Il governo, in un primo tem– po, ha dimenticato l'esistenza del voto di fiducia. Ha preso uno scivolone e si è rialzato impavido. Non è successo niente. E' successo che, insensibilmen– te, dal regime parlamentare classico, quello fondato su una maggioranza ed una opposizione, stiamo passando al re– gime parlamentare assembleare: un go– verno d"assemblea di cui il presidente del consiglio è l'emanazione burocra– tica. Un coni ruoto all'italiana controlla la Farmitalia attraverso la Mon– tedison ». Gira e rigira torniamo sem– pre all'Iri. La buon'anima di Volpi non si sarebbe aspettato tanto successopro– prio tra gli eredi della terza interna– zionale. Un altro settore in cui il nostro co– munismo mira a lasciare la zampata del leone è l'industria della prefabbri– cazione. Peggio (sine glossa): « Cinque o sei grandi impianti da soli potrebbe– ro far fronte a/l'intero fabbisogno na– zionale, bloccando la speculazione edi– lizia ». Il problema è, quindi, quello di rilanciare il sei/ore pubblico e di favorirne l'ingresso nei settori a tecno– logia più avanzata. nuova sinistra sindacale sono così scoperti e vistosi che la loro descrizione in questa nota riesce pressoché super– flua. Sul piano dell'impresa la conte– stazione dell'organizzazione tecnica del lavoro e dell'autoritarismo direzionale. Sul piano politico-sociale, il rifiuto del ruolo egemone dei partiti, delle cristal– lizzazioni ideologiche e della mediazio• ne partitica come unico canale di riven– dicazioni popolari. Sul piano della stessa organizzazione sindacale, la negazione del verticismo e la creazione di nuovi modelli di democrazia operaia. Su que– ste tre linee la lotta sindacale può ri– mettere in discussione tutto l'assetto tra– dizionale dell'organizzazione economica e politica della società, e creare le pre– messe per una effettiva redistribuzione e diffusione del potere a tutti i livelli della società. In effetti tutti gli obiettivi di lotta scelti dal sindacato sono lungi dall'es– sere neutri, non confinano il con– f1itto sociale in ristretti ambiti corpo– rativi, non si limitano ad incidere anal– gesicamente la sola sovrastruttura del sistema. La politica di riforme proposta dal sindacato poggia su scelte strategi– che che possono dare al processo so– ciale un nuovo carattere ed una nuova direzione. Intanto cambiano il sindacato stesso, fanno sorgere in esso accanto alla classica componente tecnico-econo– mica una componente tecnico-politica Ebbene, questo regime parlamentare, b1bl1otecaginobianco che stiamo inventando noi, non sem– bra privo di prospettive di lunga du– rata. E' la versione italiana del parla– mentarismo e non è, sulla carta, meno impossibile dell'altro: di quello buono, di quello britannico. Montesquieu, il suo divulgatore sul continente, diceva che esso non aveva regole e che l'unico criterio era la prassi. Siccome i poteri divisi dovevano poi finire per coopera– re, così. alla fine, sarebbe accaduto per gli organi distinti di un regime fondato sulla divisione dei poteri. Più o meno, la stessa cosa si deve dire del nostro nascente regime parlamentare - assem– bleare. In qualche modo, è necessario che essi s'intendano. E per ora conti– nuiamo così. In questo quadro si capisce cosa vuol dire Longo quando afferma che il fron– tismo è finito. li frontismo era l'ipotesi di una maggioranza parlamentare e di una minoranza parlamentare. E' il qua– dro istituzionale che sta oggi mutando. Le formule politiche comuniste sono dunque caule e moderate. Consideriamo ora le loro formule economiche. «Successo», la nota rivi– sta di cultura manageriale, le espone con un titolo realistico e un tantino sprezzante: « La via socialdemocratica dei comunisti». Che cosa dicono gli economisti co– munisti? La parola è ad Eugenio Peg– gio, segretario generale del centro stu– di economici del Pci: « Noi non siamo contrari all'iniziativa privata in quanto tale. Vada a vedere in Emilia quanti compagni, licenziati dalle aziende Iri, perché comunisti, sono divenuti picco– li e medi imprenditori. E neppure ci opponiamo alle concentrazioni azienda– li. Ma certo non accettiamo il potere politico dei grandi gruppi industria/i privati (giornali, riviste, società finan– ziarie)». E' difficile essere più minima– listi di così. Bernstein non arrivava a tanto. Insomma, sul piano della struttura economica, il Pci non ha niente da mu– tare. L'unica cosa che contesta è che gli Agnelli siano proprietari della « Stampa ». La polemica di Sturzo con– tro Mattei, circa il possessodel « Gior– no» da parte dell'Eni, era più o meno del medesimo tipo. Nazionalizzazioni? « Il problema quin– di, sempre secondo Peggio, 11011 è quel– lo di portare avanti una politica di na– zionalizzazioni». Per l'industria farma– ceutica. « ad esempio, anche se l'Unità continua a parlare di nazionalizzazio11e e/e/l'industria di base. quello che si in– tende in realtà è w1 intervento più deci– so del settore pubblico, che del resto già Il redattore di « Successo» sfiora con Peggio il tema di 1111 nuovo ente pubblico. Porse Peggio si ricorda la fe– lice battuta togliattiana: « l'ente crea l'esistente»? Ciò che vogliono i comunisti ndla fabbrica è semplicemente l'esten.s.011e delle commissioni interne. A questo punto, il redattore di , S11c– cesso » deve gettare la spugna. Nc,n è sulla politica economica che si p,1ò l1- t1gare con i comunisti. Egli si rifà ai/e « incertezze sulla Cecoslovacchia,.. E questo 11011 è leale: perché il Pci sulla Cecoslovacchia si è effellivamente sco– perto. Naturalmente, dopo aver sentito il compagno Peggio, sulla linea amendo– liana avanzata, ci viene da domandare 11011 se la « nuova maggioranza» è pos– sibile, ma per quale motivo non si è ancora verificata. *

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