il Potere - anno I - n. 3 - settembre 1970

pag. 6 CINEMA A VENEZIA Il museo delle cere ORE 14 del 19 agosto 1970, a Vene– zia. Un folto gruppo di persone esce alla spicciolata dal niveo palazzo del cinema del Lido. Non un volto sorridente ma solo sguardi gravi e compresi in quella frot– ta di gente che un passante ignaro re– puterebbe diretta ad una commemora– zione funebre. Né le condizioni mete– reologiche potrebbero indurre ad una qualsiasi sorta di ottimismo: quando è nuvolo, il Lido è il luogo più depres– so e maliconico di questo mondo e quel giorno l'ambiente avrebbe certa– mente fatto fremere Thomas Mann. Attraversato il piazzale del Casinò i convenuti si infilano nel giardino del– l'hotel Quattro Fontane dove li atten– de il rinfresco offerto dall'ente Bienna– le ai « Signori Giornalisti e Critici ac– creditati alla 31.ma edizione della Mo– stra Internazionale d'Arte Cinemato– grafica». Agli assorti consumatori di tartine di caviale e secchissimi dry si presentano due signori: il primo, basso, semicalvo, in doppiopetto marrone, il secondo di media statura, capelli briz– zolati pettinati alla seminarista, vesti– to di nero. Sono rispettivamente il commissario straordinario dell' ente Biennale, avvocato Filippo Longo, ed il direttore della mostra, Ernesto Gui– do Laura. Discorsi di circostanza. Tra una ba– nalità e l'altra, Longo ci ammonisce nei riguardi del democristianissimo critico: «Vogliate bene a Laura che fa tanto per Venezia e per il cinema». Fra– tello Ernesto avvampa di vergogna e replica: «Nonostante le gravi difficoltà economiche siamo riusciti a mantene– re in piedi il carrozzone inutile della mostra. Per quanto mi concerne, ri– mangio tutto quello che avevo minac– ciato alla chiusura del primo anno del– la mia gestione. Avevo dichiarato che, se non fosse stato approvato il nuovo statuto, se lo Stato non avesse allar– gato i cordoni della borsa, avrei rifiu– tato il mandato. Non l'ho fatto, quindi ditemi grazie». Non sono ovviamente le parole integrali ma il succo del fer– vorino è questo. Inizia a piovere e Laura, in vena di spirito, aggiunge: « Mostra bagnata, mostra fortunata», intorno a 11.li si fà il vuoto. Una faccenda nata male E' cominciata cosi questa scalogna– tissima e bruttissima edizione di una manifestazione che si proponeva « di segnalare le opere cinematografiche più valide sul piano artistico e cul– turale» (articolo I del regolamento). La faccenda era già nata male in sede di commissione di selezione: uno dei suoi membri aveva piantato a me– tà i lavori, un altro (Paolo Gobetti) aveva rimmciato ad un viaggio negli Stati Uniti, onde reperire film, per mancanza di fondi ... E' impressione generale che molte opere « invitate » non siano state neppure intraviste dal comitato tecnico: qualche indizio raf– forza i sospetti. I film che rappresentavano Unione Sovietica ed Inghilterra erano arrivati senza le didascalie francesi o italiane previste dall'articolo 9 del regolamen– to, la coproduzione tedesco-americana " Deep end » di J. Skelimoski, indicata in catalogo « bianco e nero » era invece fotografata in ottimo colore. La varia– zione venne notificata poche ore pri– ma la proiezione da un comunicato stampa. Si sussurra che l'accorto ope– ratore, autore della scoperta, sia stato generosamente premiato. Domenico Meccoli e Luigi Chiarini (il socialista clamorosamente contestato nel '68 e che ci ha lasciato in eredità il funereo Laura), ex direttori, gongolavano sfac– ciatamente assicurando: ai nostri tem– pi queste cose non accadevano. E veniamo ai film, divisi misteriosa– mente in sezioni e sottosezioni: film invitati, proiezioni speciali, proiezioni specialissime e riservate ai critici dei quotidiani e non a quelli dei periodi– ci e viceversa; uno sgargiante cam– pionario di tessere e tesserine sotto– poste ai severissimi controlli dei fun– zionari della Biennale, tipi arcigni che vanno per le spicce, capacissimi di esporre al pubblico ludibrio l'incauto « non avente diritto ». La gestione Laura in quanto a burocrazia non è seconda ad alcun ministero del cen– tro-sinistra. L'Italia era rappresentata da cinque film di cui un paio invitati ufficial– mente : « Uomini contro», prodotto sotto l'egida della contessina Cicogna e con l'avallo del Psi e « Strategia del ragno » _di produzione televisiva. Da via Teulada provenivano ancora « Socrate» e « I Clowns », infine l'in– dipendente « Don Giovanni >) del de· mistificatore Carmelo Bene. I pupari di via Teulada Un discorso sull'attuale condizione del cinema italiano ci porterebbe as– sai lontano. In questa sede ci basti ri levare che più della metà dei film ita– liani in lizza nella ex prestigiosa ras– segna cinematografica nazionale erano finanziati dall'eterna avversaria del cinema: la televisione. Ad onta di ogni demagogica affermazione della indi– spensabile e necessaria complementa– rietà fra i due settori e nonostante che illustri personaggi tentino di con– vincere il pubblico a questo proposito, riteniamo di conoscere abbastanza be– ne certi andazzi della nostra monopoli– stica Tv per non temere che, alla di– stanza, la conclamata indipendenza ar– tistica e le dichiarazioni sdegnate di non condizionamento vadano a farsi friggere. Ha iniziato Rossellini ed abbiamo visto come è andata a finire con la sua «cinematografia didascalica)), Bar– tolucci e Fellini per diverse ragioni sono riusciti a salvarsi dignitosamen– te con due cose pregevoli, ma già si parla di intensificare i loro rapporti con l'ente televisivo. Il fatto è che il cinema italiano fà acqua soprattutto per la indifferenza (per certi versi sospetta) di chi do– vrebbe preoccuparsene e non è poi tanto strano che da qualche anno a questa parte il ministero dello spet– tacolo sia appannaggio dei socialde– mocratici (i più belli di quel partito: Lupis e Matteotti) mentre Italo De Feo, alias Dario Castagnola, si è le– gato saldamente alla poltrona della vicepresidenza (onoraria) della Rai. Coincidenze naturalmente ... Chi leggerà queste note avrà proba– bilmente già visto « Uomini contro » di Francesco Rosi. Posponiamo una piccola chiosa all'opera che fu ono– rata della più divertente conferenza stampa di quest'anno. Erano sul pal– co, fra gli altri, il regista, lo sceneg– giatore « Dudù )) La Capria, la contes– sina « che tira la cinghia>> (secondo sua esplicita affermazione) Marina Ci– cogna con a fianco il « Che Guevara 11 del cinema italiano, Gian Maria Vo– lonté. Antonello e la contessina Al termine della proiezione gli ap– plausi «·ufficiali>) facevano contrasto con i fischi dei « contestatori extra– parlamentari !'· Rosi esordisce dicendo che il suo film è l'unico che abbia de– mitizzato seriamente e pervicacemente la prima guerra mondiale, « la sola vinta da noi )>. Per trascrivere cinema• tograficamente lo splendido romanzo di Emilio Lussu il Rosi si è limitato a presentare: a) un generale cretino ed ottuso, completamente, inguaribil– mente cretino ed ottuso; b) un tenen– te « anarchico e socialista » che muo– re gridando ai suoi soldati « il vero nemico sta alle vostre spalle» (inedi– to! J; c) un tenentino avanguardista col suo bravo conflitto di coscienza e che si trasfonna in « eroe positivo >> bruciando le cervella di un maggiore guerrafondaio; d) una truppa compo– sta di contadini analfabeti estranei al conflitto che si limita a grondare san– gue per i due terzi della pellicola de– dicati ad interminabili sequenze bel– liche. Se Rosi si fosse limitato a pre– sentare il suo film come un'opera squisitamente commerciale non ci sa– rebbe stato nulla da eccepire ma af– fermare che « Uomini contro » è un film di rottura, una pagina nuova del bibliotecaginobianco il POrERE cinema italiano fa semplicemente in– dispettire. Dopo un intervento polemico di Pio Baldelli critico di sinistra poco orto– dosso, un personaggio autorevole del Pci, Antonello Trombadori, inizia il suo panegirico al film cui, a suo pa– rere, dovrebbe essere premessa una didascalia con il numero preciso dei monumenti ai caduti esistenti in Ita– lia. E' un film coraggioso, dice Trom– badori, e noi (del partito) auguriamo tanto, tanto successo a Rosi ed alla sua produttrice contessina Marinella cui auspichiamo di fare tanti bei sol– dini. A questo punto vorremmo consiglia– re all'amico Umberto Rossi che sulle colonne del!'« Unità» spara settima– nalmente a zero contro il « clan Cico– gna» di meditare un poco, potrebbe fare la fine del povero Giannino Gal– loni scacciato dalla redazione genove– se per aver osato parlare positiva– mente dell'eretico Dario Fo. Infine una parolina su Gian Maria Volonté che ricordiamo tra i più accesi sostenitori di un teatro rivoluzionario durante un convegno nazionale dell'Arei sul circuito alternativo. In quella sede il nostro affermava l'improrogabile ne– cessità di compiere delle precise scel– te teatrali ger la classe operaia. E' chiaro che sul cinema Gian Maria la pensa diversamente se a Venezia è in– tervenuto in favore della più reazio– naria cinematografia nostrana. Per un briciolo di potere si può mercificare anche la rivoluzione. Clamoroso, poi, lo scivolone del brasi– liano Glauber Rocha col suo «Leone dal– le sette teste», un apologo di produ– zione europea sulla rivoluzione afri– cana impostato secondo lo stilema brechtiano ed in cui il regista si è la– sciato prendere la mano dall'uzzolo del « pansimbolico ». Né l'ungherese « Film d'amore>) di Istan Szabò riesce ad essere convincente alle prese con un argomento scottante come la rivol– ta del '56 rievocato nell'immaginazione di due innamorati, né l'iberico « El hombre oculto » del ventiquattrenne Alfonso Ungaria (una cervellotica sto– ria che racconta di un vecchio repub– blichino in esilio volontario nella sua abitazione) può definirsi opera com– pletamente valida a causa dell'estrema macchinosità e della esasperata ed ari– stocratica elocubrazione del linguaggio filmico. Su di un livello medio possia– mo citare «Deep end>> (il film mira– colosamente colorato), «Wanda» di Barbara Loden e « Pecado mortai » del brasiliano Miguel Paria jr. Conclusione. Checché ne dica il buon direttore ( <e bisogna guardare la mo– stra nel suo complesso»), questa edi– zione non può essere salvata per la rassegna del film documentario ingle– se, per la retrospettiva di Harry Lang– don o per i film arabi cui era dedi– cata una sezione. Tutte cose interes– santi Ce, siamo generosi, aggiungiamo i film visti « Off off mostra» con spe– ciali permessi, « I falchi » del magiaro Istvan Gaal o « Maidstone » di Nor– man Mailer) ma, sia chiaro, quello che conta finora è (e sarà con o senza sta– tuto) il livello dei film « in concorso» o «invitati» che dir si voglia. E' per queste opere che tanta gente si tra– sferisce al Lido e non per un contorno sia pur dignitoso. Laura tenta di ad– dormentare il discorso sulle fragili strutture della manifestazione e se è encomiabile che da buon cattolico porga l'altra guancia ai suoi detratto– ri (fin troppo ostentatamente), lo è molto meno che da buon democristia– no si conservi il posto ad ogni costo, imbastendo polemiche alla lontana con Chiarini: « quando sono arrivato a Ve– nezia ho trovato terra bruciata». La contestazione ha scacciato il focoso uomo di cin,ema ed i suoi premi bor– ghesi. Nessuno però si perita di ob– biettare una direzione governativa che ha levato i premi ma che è restata sen– za idee. Sappiamo benissimo che la colpa non è tutta di Laura e che, dietro que– sto accondiscendente paravento vi è l'abulia del settore, la pigrizia del go– verno che non ha ancora promulgato il famoso statuto, considerato ottimisti– camente la panacea di tutti i malanni del cinema, per timore di essere con– testato da destra e da sinistra. Ades– so però la mostra è terra di nessuno, è asfittica, tira a campare per forza di inerzia, né si vuol rinunciarvi, né si ha il coraggio di dire basta. Con una certa faccia tosta Ernesto Guido Laura ha scritto nell'introduzio– ne del catalogo: « un passo avanti», si potrebbe senza esagerare continuare: « verso la demagogia politica», o « ver• so la conservazione del potere », o « verso il ridicolo ed il caos», a scelta. Franco Cavenaghl Settembre 1970 CONSIGLI DI QUARTIERE La partecipazione impossibile I N tema di decentramento comuna- le è ormai di prammatica distin– guere un decentramento burocratico, leso ad una maggiore efficienza dei servizi, da un decentramento democra– tico che si propone un allargamento della partecipazione popolare alle scel– te amministrative e politiche. Certamente noi non sottovalutiamo l'importanza del decentramento buro– cratico e della razionalizzazione ammi– nistrativa in una realtà urbana sempre più complessa che rende così difficili e costosi. se non impossibili, i più ele– mentari e indispensabili rapporti tra amministratori e amministrati. Tutta– via siamo altrettanto consapevoli del fatto che il decentramento burocratico nei suoi termini reali implica, pill che una riforma, più che una nuova realtà all'interno dei grandi comuni, una ra– zionalizzazione delle abituali procedu– re di intervento amministrativo, rag– giunta, nella migliore delle ipotesi, con la collaborazione dei cittadini. In altre parole, il decentramento burocratico costituisce una scelta di necessità, non una scelta politica. Il vero obiettivo, l'obiettivo comun– que che più interessa in sede politica, rimane quello di promuovere la parte– cipazione popolare alla amministrazio– ne della città: un obiettivo che, allo stato attuale delle cose, sembra alquan– to avveniristico, forse irraggiungibile. A nostro avviso, infatti, le esperienze che in questi ultimi tempi hanno pre– so vita nei maggiori comuni italiani con la costituzione di « organi demo– cratici di decentramento» (consigli di quartiere, di zona, di delegazione) non sembrano destinate a creare a livello delle comunità locali nuovi rapporti tra le istituzioni e la collettività. E' noto il punto di maggior debolez– za di tali iniziative: in ossequio al te– sto unico della vigente legge comunale e proviciale (una no1ma del 1915 che non si discosta molto dalle precedenti formulazioni risalenti al 1865!) i con– sigli di quartiere sono promanazioni del consiglio comunale ed hanno, del resto, una funzione esclusivamente con– sultiva. 1 consiglieri locali non vengo– no eletti dalla popolazione del quartie– re, ma nominati dal consiglio comu– nale su designazione dei singoli grup– pi consiliari - in pratica dai partiti - e rispettando in percentuale la com– posizione del consiglio comunale stesso. Non si ha certo l'impressione di tro– varsi davanti ad una esperienza di par– tecipazione: a certi livelli la parteci– pazione implica la « rottura » dei mec– canismi tradizionali di rappresentanza e ipotizza la circostanza di una conti– nua conflittualità; e, invece, anche in questa occasione, sono le rigide strut– ture dei partiti che tornano ad accen– trare tutta l'operazione. Inoltre, riproporre sul piano delle comunità di quartiere la tradizionale dicotomia tra maggioranza e minoran– za significa ignorare il contributo che in questi ultimi tempi una più vasta e più ricca dialettica fra le varie compo– nenti sociali ha apportato alla crescita civile. Oltre a queste considerazioni rima– ne il fatto, ancora più mistificante ai fini della partecipazione, che i consigli di quartiere, rispecchiando fedelmente l'equilibrio delle forze determinatesi a livello comunale, non riflettono le ten– denze politiche e i reali equilibri dei singoli quartieri, ma quelli della città nel suo insieme. Per riferirsi ad un esempio tratto dall'esperienza genove– se, nella delegazione di Sestri Ponente l'« organo democratico di decentramen- lo » è uguale, per la compos1Z1onepo– litica dei suoi membri, a quello del quartiere di Castelletto o di San Fran– cesco di Albaro. Per la verità le esperienze di decen– tramento nelle diverse città italiane non sono maturate, o non stanno ma– turando, lungo gli stessi schemi. Esi– stono impostazioni più avanzate di al– tre, come a Milano, per esempio, dove i consiglieri locali eleggono nel loro seno il presidente che può coincidere o non coincidere con l'aggiunto del sin– daco (figura burocratica voluta dalla legge). O come a Torino, dove ci ri– sulta sia nato un tentativo piuttosto audace, cioè quello di istituzionalizza– re a posteriori organismi sorti sponta– neamente per la realizzazione di esi– genze popolari dei vari quartieri. Forse, in successive occasioni, ritorne– remo a considerare più da vicino le esperienze e i tentativi più significati– vi, confrontandoli magari con la situa– zione genovese. Al momento si può dire che dall'esa– me delle esperienze già attuate i con– sigli di quartiere si presentano come un'articolazione del consiglio comuna– le, in grado di recepire problemi di portata locale per una maggiore infor– mazione degli organi comunali (e que– sto di per sé è già un fatto positivo), ma non certo capace di sviluppare una attività partecipativa da parte dei cit– tadini. Anzi, laddove esistessero grup– pi sociali in grado di esprimere una domanda politica coerente con le esi– genze maturate a livello locale, i con– sigli di quartiere, semmai, potrebbero essere gli interlocutori dei gruppi in questione quali rappresentanti del po– tere cittadino. Rimane, ci sembra, ben poco spa– zio per l'ottimismo e, sinceramente, non riusciamo a comprendere l'euforia con cui da più parti vengono salutate iniziative di questo tipo. D'altra parte non si può pensare al– la partecipazione come ad un grazioso dono degli dèi: la partecipazione è una conquista, è un risultato di tentativi e di lolle non certo facili. li decentra– mento democratico potrà divenire effi– c~ce solo a prezzo di una lunga espe– nenza e, soprattutto, di una lunga edu– cazione popolare. Sono passati ormai quattordici anni da quanno Dossetti lanciò le prime proposte di decentra– mento urbano e solo da poco l'espe– rienza comincia a prendere corpo, ad uscire dalla fase progettuale: ha finito di essere un fatto bolognese per essere un fatto nazionale. La continuità dello sforzo è. dunque, indicata come una delle condizioni di successo del decentramento democrati– co; uno sforzo teso al raggiungimento di traguardi significativi sulla strada del– la partecipazione quali il suffragio diret– to e l'attribuzione di poteri effettivi ad unità amministrative di base. Se una tale tensione non fosse larga– mente presente nella teoria e nella pras– si della classe politica nostrana, trove– rebbe conferma il sospetto, avanzato dai critici più severi, che il decentramento democratico non costituisca che un ten– tativo cli incanalare la contestazione spontanea e i fermenti popolari esplosi nelle maggiori città clell'ltalia industria– le, ed esprima perciò la tendenza del po– tere politico ad arginare in termini di autoconservazione una crisi che deve es– sere invece risolta in termini di decisa innovazione. Vittorio Traverso

RkJQdWJsaXNoZXIy