il Potere - anno I - n. 2 - agosto 1970

Spe</. ubb. post. gr. lii (70%) - Anno I - N. 2 - Agosto 1970 - L. 100 Lettera a I- MENSLI.JE- CASELùA POST,A'.LE1665- 16100GBNOVA Emilio Un discorso sullasinistra NEL dibattito politico ricorre con crescente insistenza il discorso sulla unità delle sinistre. Ma quali sono le premesse dell'unificazione e quale può essere la posizione dei cattolici di fron– te a questo processo? E' davvero pos– sibile una convergenza sulle cose senza che a monte non ci sia una convergen– za sui princìpi? In realtà prima di immaginare una sinistra unitaria occorrerebbe fermarsi lucidamente sull'analisi delle tante sini– stre che animano la nostra vita politica e sulle loro divergenze di fondo, su quelle difficili contraddizioni che po– trebbero fare della sinistra unitaria una confusa giustapposizione di ideologie e di strategie. Il socialismo italiano, con la sua fra– gile e provvisoria unificazione ha of– ferto da questo punto di vista una lezione importante. A parte quelle cattoliche possiamo riconoscere in questo momento, al di là delle tradizionali etichette politiche, almeno quattro sinistre: la sinistra bu– rocratica, la sinistra tecnocratica, la si– nistra anarchica e la sinistra sindacaJi. sta. Quali sono le loro caratteristiche? E quale può essere il giudizio dei cat– tolici sul loro conto? PRIMA di tutto la sm1stra burocra- di cerli partiti e di certe aziende, in molte rocche universitarie e anche, un pochino, nei quotidiani e periodici da essa strumentalizzati. Se la sinistra bu• rocratica conduce la sua battaglia allo scoperto. sul piano delle istituzioni po– litiche, quella tecnocratica combatte la stessa battaglia sotterraneamente, sul piano delle istituzioni economiche. E· una sinistra che si crede moderna e razionale perché impegna più tempo ad interpretare il senso delle schede perforate che non ad interrogare la real– tà di quanti hanno bisogno di tutto, di pane. di istruzione, cli libertà, di digni– ti1, di fraternità. Ma di fatto la sua razionalità è quella che gli viene da qualche teoria economica assunta a giu• stificazione scientifica di una pratica amministrativa già consolidata; è quella soprattutto che gli viene da una man– canza assoluta di idee.forza, d.i tensioni ideali, di progetti che scavalchino le piatte indicazioni dei dati statistici medi. e folli._ Nessun moderno Dostojewskj potrà ncamare un grande romanzo su nuovi Necaev e nuovi Bakunin. l ra• gazzi dell'anarchia forse amano la vio• !enza,_nrn in ~enere non amano troppo il pencol~, odiano la solitudine, voglio– no stare in gruppo: perciò sostituisco– no le pistole e le bombe dei tirannicidi con i poket di Feltrinelli, tirano qual– che sassa_ta e poi vanno alla spiaggia. ln effetti è un sospetto legittimo di molti che il maggio francese sia stato liquidato non dal gollismo, non dalla ferma ripulsa sindacale, non dal Pcf ma, più semplicemente, dal calendario'. con le promesse e le seduzioni di una azzurra estate nel caldo grembo della società dei consumi. No, non saranno le assemblee ed i cortei dell'anarchia. la rivoluzione ses• suale e gli asili antiautoritari con il loro nevrotico retrofondo, che cambie– ranno la storia in questo scorcio del XX secolo. E neanche la cambieranno - malgrado i catastrofici allarmi di qualcuno e le esaltanti analisi tenden– ziali di qualcunaltro - gli scioperi sel– vaggi. Gli scioperi selvaggi non fanno anar– chia, non minacciano il potere, non scrollano l'ordine costituito. Rimangono un fatto cli contabilità aziendale che le grandi direzioni fanno quadrare perfet– tamente. Le momentanee flessioni della produttività in questo o quel reparto di questa o quella azienda, non cambie• ranno la storia. Al momento non rie• scono ad asciugare una sola goccia di carburante ai jet dei grandi industriali e dei grandi tecnocrati così come non erodono, nemmeno un poco, Je ampie basi elettorali della sinistra burocratica. A questo punto si dovrebbe vera– mente parlare di un « vicolo cieco del– la sinistra » se non restassero da con– siderare la sinistra sindacale e la sini– stra cattolica, di cui ci occuperemo nel prossimo numero. Gianni Tamburri Colombo I L governo Colombo rappresenta un passo decisivo nella carriera poli• tica di una delle figure più signi– ficative della seconda generazione de– mocratico--cristiana. Quale immagine dunque, caro Emi– lio, cercheremo delle molte, che una lunga carriera e< en vedette » ti ha ine– vitabilmente donato? Ricordiamo la prima: quella di uo– mo della riscossa meridionalista delle plebi del sud. Lasciaci ricomporre il quadretto di famiglia, tanto è stinto nel tempo. La Lucania era un proble– ma morale nazionale. Carlo Levi, con un libro famoso, ci aveva detto nel 1945 che « Cristo si è fermato a Ebo– li». Le colpe e le miserie che gravava– no sulla Lucania erano pre-fasciste. E sulla Lucania del secondo dopoguerra, come su quella del primo, gravava la ombra di Francesco Saverio Nitti, ca– po della destra che, con Orlando e Bonomi, si preparava a contestare alla Dc la « grande vittoria » del 18 aprile. Don Emilio, tu, oggi cosi finanzia– rio, laico e compassato, allora eri il simbolo della rivolta cattolica e con– tadina del sud, che il 18 aprile 1948 si espresse nella grande ripulsa sto– rica della destra. Allora fummo tutti più liberi. Nitti cedeva a Colombo. Chi era stato tutto lasciava il potere a chi era nulla, sol– tanto un vicepresidente della Giac. Nel 1952 hai avuto la tua prima indiretta battaglia: rimasto vicepresi– dente della Giac, hai dato la tua pru– dente cauzione alla ribellione di Car– retto contro Pio XII: per De Gasperi contro Gedda. Hai combattuto il listo– ne Sturzo. Ma con cautela. Fu una verità privata, non una notizia pub· blica. Anche allora eri mr. democra· zia cristiana, la personificazione della perfetta ambivalenza. L'alleanza tra i « giovani )> e De Gasperi contro Pio XII fu la premessa vera di « Iniziati– va democratica». La grande corrente maggioritaria nacque, infatti, da quel– l'evento storico che fu la ribellione dell'Azione cattolica alla Chiesa in no– me dell'antifascismo. Rappresentavi ancora il tuo perso– nagg10 quando, a Napoli, portavi al listone degasperianfanfaniano l'appor– to dei voti lucani, del meridionalismo e della gioventù cattolica. Qui finisce il periodo del meridio– nalismo e della riforma agraria. Lasci Malagodi e Saragat a combattere la lunga guerra dei patti agrari e diventi gradualmente l' uomo del Mec che « imparatutto di colpo», come ;crive press'a poco Montanelli. Da allora diventi ministro, per es– senza. La grande querelle dei tardi an– ni cinquanta e dei primi anni sessan– ta - frutto dell'urto delle personalità della seconda generazione dc (Granchi, Fanfani, Tambroni, Segni) - passa so– pra la tua testa. Il disegno fanfaniano di sganciare la Dc dal centralismo ti trova dall'altra parte, in nome della eredità degasperiana; ma resti al go– verno. Sei nel governo fanfaniano del '58, in quello segnino del '59, nel go– verno Tambroni del '60, come in quel– lo che, dopo le agitazioni popolari lo sostituisce e prepara l'avvento al ~en– tro-sinistra. tica che riconosce nel pat"tito la forza egemone della classe e, al caso, dell'intera società. Nella logica di que– sta sinistra nessun potere ha diritto di esistere che sia contro, sopra, fuori il partito, cui unicamente spetta di prov– vedere alla felicità collettiva, e non per un decennio o un cinquantennio ma nei secoli. Di qui la sua stmttura oli– garchica, il culto della tradizione, la rigorosa selezione dei funzionari e dei capi, il lento ricambio della sua élite in base a severe norme di cooptazione che permettono la continuità necessaria ad un compito così ambizioso. Ciò che la sinistra tecnocratica pro· mette è una pacifica massificazione su standard di consumi abbastanza elevati per appagare - in una misura passi· bile e discreta - le richieste di beni fatte dalla collettività. In cambio vuole disciplina, cieca fiducia nelle decisioni degli esperti, la tranquilla accettazione di procedure autoritarie nell'organizza. zione produttiva e nell'organizzazione sociale. Ma la sua strategia è oscura, i suoi fini imperscrutabili. il suo plu– ralismo solo apparente e tutto giocato su una prestabilita gerarchia di presti-;---------------------------------~ Diventi un capo dei dorotei. I dio– scuri dorotei sono Colombo e Rumor proprio coloro tra cui è, oggi, avve' nuta la grande resa dei conti. Le società governate dalla sinistra bu– rocratica non sono - come in altri tempi voleva un suo illustre apologeta, George Burdeau - società egualitarie. In fatto di stratificazioni sociali, di strutture di classe, di distinzioni di ceto. di dislivelli economici, assomigliano a molte altre società della storia, salvo che fonte e garante di tutti i privilegi e di tutti i carismi è soltanto il partito. A dispetto di ciò che i sociologi di– cono delle organizzazioni burocratiche. la sinistra burocratica è una sinistra efficiente, almeno nel senso che sa co– me guidare le masse 1 che sa come con• quistare e mantenere il potere. Ed è anche, bisogna riconoscerlo, una sini• stra leale. I suoi propositi sono enun– ciati in intere biblioteche, le sue realiz– zazioni cristallizzate in istituzioni, for· me di Stato, modi di governo, tecniche di potere. che hanno una storica tan– gibilità. Questa sinistra presenta però caratte– ristiche che ad alcuni possono non pia– cere. Per la sua avversione ad ogni specie di « malattia infantile » essa nul– la tollera alla sua sinistra; e, per il persistente timore di un « rinascimento borghese», nulla alla sua destra. Ri– guardo alla gestione delle risorse eco– nomiche i suoi risultati sono mediocri o addirittura pessimi, tanto che nelle società da essa governate, dopo molti piani quinquennali, è pur sempre il « burro » che ostinatamente continua a recitare la parte di fata morgana. La più grande promessa della sinistra burocra– tica resta « l'umanesimo marxista»: ma pochi vorranno negare che si tratta di un umanesimo ancora indefinito, con– finato in un misterioso pianeta che nes– suna sonda ha finora raggiunto. LA seconda sinistra, quella tecno– cratica, cresce nelle direzioni del– le grandi imprese, pubbliche e private, nei ministeri tecnici, negli uffici studi gio, di reddito e cli potere. La sinistra tecnocratica vuole sostituire al partito il calcolatore, ma non ci dice chi deve stare dietro il calcolatore e program– marlo. E', del resto, una sinistra ambigua, perché ambigui sono i suoi rapporti con il capitale privato e con gli appa– rati politici tradizionali. Al capitale privato la sinistra tecno cratica non mostra i denti. Ma forse non si tratta, come pensano alcuni, cli un fatto di connivenza o di simbiosi. E' probabile invece che essa, nel fondo del suo cuore, si reputi legittima erede di quello. e creda perciò proprio dove– re, a parte qualche screzio. farlo morire in pace. e aiutarlo a [ar testamento, con la tenera sollecitudine che sovente si usa con parenti facoltosi prossimi ad estinguersi. Intanto fa di tutto per sal– vaguardare la stabiità, lo statu quo, cioè l'integrità dell'asse ereditario. Quanto agli apparati politici tradi– zionali, 1a sinistra tecnocratica resta le• gata ad essi da tenacissimi fili, un po' perché le vie del potere tecnocratico passano più spesso per le segreterie dei partiti che per gli istituti di specializ– zazione, e un po' perché la legalità democratica offre ancora a quel potere un solido e rassicurante supporto. La sinistra tecnocratica ha, dunque, molti e potenti alleati. Quello che le manca è la libertà, un'anima, una vo• lontà politica autonoma e creatrice. LA sinistra anarchica è divisa in molti rami che nc,n fanno capo ad alcun tronco. Gli anni sessanta han• no segnato una sua insospettata, incre• dibile reviviscenza, proprio nel momen– to in cui le incantate isole di Utopia sembravano allontanarsi per sempre dal– le precise e inesorabili rotte delle so– cietà industriali. Ma la verità è che la sinistra anarchica ha consumato le sue ultime, autentiche illusioni con la guer– ra civile spagnola, dove le è accaduto di sperimentare, accanto alla durezza dei franchisti, quella. non meno sangui– nosa, dei commissari comunisti. Bisogna capirla, questa sinistra. Essa ha incontrato sulla sua strada troppi Robespierre, troppi termidoriani, troppe assemblee repubblicane e troppi Lenin per aver serbata intatta la fede e la temerarietà delle origini. Sempre più di rado si incarna in eroi solitari, tragici bibliotecaginobianco OLTRE IL CENTRO - SINISTRA ILDILEMMA DELLA DC L a crisi di_governo si è conclusa con una stanca riedizione del centro•sinistra: ma tale formula è ugualmente finita. L'incontro tra cattoHci e socialisti, lungamente maturato nella seconda metà degli anni 50, si proponeva una serie di ambiziosi obiettivi: dare al Paese un ao. verno stabile ed un 1 autonoma, larga ed efficiente maggioranza parlamentare, u~i• fica_reil movimento socialista in una prospettiva di partecipazione reale e respon• sabile della classe operaia alla direzione del Paese, isolare e battere il comunismo, rafforzare lo Stato rinnovandone istituti e burocrazia e decentrandone attribuzio– ni e poteri, riformare strutture produttive antiquate ed inique ridistribuendo i pro– fitti secondo giustizia, arginare e combattere la corruzione dilagante nella vita pubblica e privata. . Ba~ta confrontare la realtà che ci circonda con gli obiettivi che il centro-si– rnstra s1 proponeva per rendersi conto della drammaticità del suo fallimento. . li parlamento è incapace di esprimere una qualsiasi maggiora~za che non SI regga sugli equivoci e sugli artifizi verbali per mascherare la sua profonda di– somogeneità, i governi sono impotenti ed effimeri, i socialisti sono frammentati in tre P?rtiti aspramente contrapposti, il Pci è sulle soglie del potere, la corru– z_10nepriv~ta e pubblica dilaga, lo _Stato è in progressiva disgregazione ed ogget– tivamente mcapace d1 esercitare validamente le sue funzioni istituzionali. In tale confuso contesto socio-politico, la magistratura sembra volere occu– pare la « terra di nessuno», resa tale dall'inefficienza degli altri pubblici poteri. Il fallimento del centro sinistra - così come fu originariamente concepito e gestito sino alle elezioni del 1968 - è così evidente che la presente crisi nasce dal contrapporsi di due diversi disegni tendenti a dare al Paese un nuovo equi– librio politico. li primo di essi, ribadendo la rigida chiusura al Pci, comporta di fatto an– che l'emarginazione del Psi (che alla parziale collaborazione con il comunismo italiano non vuole e non può rinunciare). Le prospettive di tale linea politica sono, fatalmente, di tipo neo-centrista, prevedono la possibilità di elezioni anti– cipate, comportano l'adozione di drastiche misure di ordine pubblico. li secondo disegno politico, assai più possibilista nei confronti del Pci so– stanzialmente confida in un lento ma progressivo cammino del comunismo' ita– liano - e soprattutto delle forze sociali che esso rappresenta - verso l'accetta– zione, non solo tattica e strumentale, ma definitiva e sostanziale della Costitu– zione. Esso prevede rapporti dialettici, ma non pregiudizialment~ preclusi, con la realtà comunista a _livello delle lotte sociali, degli enti locali, del parlamento. E' m_negabile che tale lu:ea comporta rischi di tipo neo-frontista, ove non sia ge– stita con estremo realismo e con precisa capacità di distinguere le speranze del futuro dalle certezze del presente. I due disegni politici suddetti si sono frontalmente scontrati nel corso dell'ul– tima crisi di governo ed hanno, per un momento, diviso la Dc in due metà contrapposte. li governo Colombo rappresenta soltanto un fragile ed interlocutorio punto di mediazione tra le due prospettive politiche di fondo che stanno dinnanzi alla Dc ed al Paese. Bruno Orsini I dorotei sono, ora, finiti. In real– tà, la fedeltà al degasperismo, al « cen– tro » come metodo politico, alla lotta contro l'integralismo cattolico di sini– stra e di destra, cioè la scarna ma chiara essenza del doroteismo non ba– sta più. Piccoli ci crede ancora, ma tu non sei più là. Dove? Lo sai tu, caro pre– sidente? Nella recente crisi abbiamo visto la grande impennata della seconda gene– r~zione democristiana, degli <<eredi,, d1 De Gasperi, sfasciarsi alla prova del nove. Come nel '60, Fanfani pre– para con cipiglio le ore supreme per non g10carle mai in prima persona e lasciare il primattore nei guai. Dicono che Mussolini il 28 ottobre avesse in tasca il biglietto per Chiasso. Fanfani non solo ce l'ha sempre, specie alla vigilia_del golpe, ma, soprattutto, pren– de poi puntualmente quel treno. Ma, ancora una volta, al momento della resa dei conti non eri là. Tu sei al ministero. Ma, dove va il tuo gover!1o_? R~torneranno in forza gli sconfitti del! agosto prima del seme– stre bianco? Dovremo correre alle ele– zioni con un governo di centro•sini– stra pulito? Chissa! Facciamo un'altra ipotesi: che il tuo difficile governo duri, che la crisi del 1970, come .quella del '60, sia la pre– messa per 11grande passo a sinistra. Il peso politico del Psu reggerà tanto quanto il mandato di Saragat: di qui a g1_ugno.Poi finiranno i ricatti. La stag10ne della repubblica conciliare comincerà. La logica indicherebbe due personaggi maggiori di te come ago– nisti di essa: Moro e Andreotti. E forse il primo ha ormai la presidenza deHa repubblica in tasca. Ma la repub– bhca conc1hare ha bisogno di un pre– sidente. del consiglio impersonale, ca– pace_ d\ espnn:ere le ragioni perma– nenti di quegli mteressi economici che dalla storica operazione sono il con– nettivo e la premessa. Chi meglio di te? Cosa meglio della tua 1mmagme di austerity e di buon governo per fermare l'alleanza Sara– gat-Fanfani? e per avviare, sul piano del preoccupato impegno per il rilan– cio ~conomico, il dialogo tra Dc, Psi e Pci? Torniamo alla tua biografia: dove resti': la speranza dei cafoni, divenuti mumgratl europei, dove resta la ten– sione di una vita umana più ricca più libera e più comune che è passata' sul– l'Europa degli anni '40, sulla gioventù europea dei tardi anni '60? *

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