sto, ricorderemo «i prodigi ancor maggiori» che Gesù promette faranno i suoi discepoli (14,12). Il frutto della lettura è dunque l'acquisizione di parole di sapi,:nza, wisdom- parola chiave - che i sapienti hanno 1 :asmesso sino a noi:«... parole d'oro, pronunziate dalle p( rsone più sagge dell'antichità e del cui valore ci assicura 10 i saggi di tutti i secoli passati». Raggiungiamo l'iniz10 di Reading: leggere, da ultimo, è appropriarsi dell'esperienza passata a tal punto da diventare la stessa persona con colui che fece per primo quell'esperienza: «It was I in him... and it is he in me»20 • 4. Delineato il parallelo tra i due approcci ermeneutici, occorre a questo punto, per finire, scolpire le differenze, richiamando del resto elementi già segnalati. Anzitutto, anche se l'allargamento del testo sacro, la struttura del canone illimitatamente aperto (sino a comprendere non solo i classici e le scritture del passato, non solo le opere del futuro, ma il libro stesso della natura)21 passa attraverso un uso estensivo della terminologia sacrale, non v'è dubbio che il processo complessivo è di secolarizzazione. La rivelazione è immanente, è svelamento dell'uomo a se stesso. È quel che dice Novalis, più esplicitamente di Thoreau, quando racconta come l'adepto di Sais, sollevando il velo della dea, sotto il velo scopre appunto null'altro che se stesso. Inoltre, l'insistenza sull'aspetto dell'apprendimento della lingua suppone l'idea riformata della claritas Scripturae (cioè la sua interna evidenza, indipendentemente dal contesto della tradizione ecclesiale), suppone ancor il rivolgimento umanistico e cioè l'autonomia del metodo critico22 , e rinvia alla prima filologia romantica, di F. Schlegel23 , dove convivono degnamente la filologia, come ricerca linguistica puntuale e ricerca dell'intentio auctoris (unicità del senso, quello letterale), e l'interpretazione del segmento testuale in più ampi contesti: poiché come 264
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