Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

Murr, che di poco infatti lo precede (1820-1822): il tema della caotica frammentarietà in cui siamo immersi, dalla quale (e sulla quale) non potrà più prodursi un testo univoco e lineare, ma multiplo e spezzato, poiché ormai la «complessità strutturale[...] si palesa come l'unica forma suscettibile di captare l'esistenza»34 • A moltiplicarsi, insomma, nel corso del racconto- in una estrema variazione hoffmanniana sul motivo del «doppio»35 - non è solo la prospettiva, l'identità del protagonista, ma la pratica stessa della letteratura. Se è innanzitutto sul piano metafisico che si sancisce il principio assoluto della duplicità o meglio della polivalenza del reale- tanto più quando lo si esperisca in quella sua abbagliante epifania che è il labirinto di una grande cittàè poi al testo che spetta il compito di scavare nelle sue stratificazioni acquisendone, senza reticenze, l'ineliminabile pluralità. È così che la finestra di Hoffmann rivela, infine, la sua fondamentale consistenza metaforica: essa, che tanto somiglia a un libro e, come il libro, vuole essere aperta e chiusa perché tra quei due gesti si dia un'esperienza di lettura della realtà, è soprattutto il luogo da cui la letteratura esercita il suo potere sul mondo. Potere di stabilire vicinanza e lontananza, di guardare e di immaginare, affermando soprattutto il sovrano diritto di salvaguardare il dono dell'ambiguità. Che è ciò che fa di ogni letteratura-come ci insegna Zola- «una finestra aperta sulla creazione». Eva Banchelli 243

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