ebbrezza incombe, pronta a disperderla come si dirada la folla sulla strada sottostante, la consapevolezza della caducità, tragicamente racchiusa nell'immagine conclusiva del misero pasto con cui il malato si nega ogni possibilità di effettiva rigenerazione: Un solo boccone di più[...], il minimo pezzetto di carne, anche della più tenera e digeribile, mi procurerebbe i dolori più atroci, togliendomi tutto il coraggio di vivere e spegnendo anche l'ultima scintilla di buonumore che di quando in quando tenta ancora di ravvivarsi. [1037] Se dunque già la dialettica fra cornici e parte centrale si incarica di inscrivere la struttura generale de La finestra d'angolo del cugino nel segno della duplicità, spetta soprattutto al dialogo di sdoppiare effettivamente il testo in due sguardi, in due voci, in due narrazioni che si confrontano con la medesima scena, da essa traendo impressioni, storie e testi differenti che, nel loro reciproco incalzarsi e alternarsi, producono il racconto di quel caleidoscopico frammento di realtà. Solo l'analisi della relazione che si instaura fra i due personaggi ci condurrà pertanto al nucleo significativo del racconto, tanto piùche, se alla figura affascinante del cugino esso si intitola, è al suo più oscuro visitatore che compete, infine, la responsabilità dell'enunciato, cioè la realizzazione di quanto all'altro è negato: il passaggio dall'actus all'opus, la traduzione del gioco fantastico nella concretezza di un testo. Il dialogo si costituisce dunque come confronto fra due diverse prospettive sul mondo. C'è, da una parte, la distanza che consente all'artista l'esercizio inebriante dell'invenzione fantastica («io [...] vedo svolgersi le più svariate scene di vita borghese. E il mio estro [...] traccia schizzi su schizzi», p. 1017) e la trasfigurazione allegorica della scena in «un'immagine fedele della vita». Egli uti238
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