Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

costringe, a proprio arbitrio, lo spirito prigioniero del corpo a compiere quelle funzioni percettive3. Lo «sguardo» interiore, la prefigurazione spiritualeche Hoffmann considerava la scintilla del processo creativo-dovrà dunque, se vorrà trasformarsi in atto creativo, conciliarsi con un'immersione nel caos prosaico del reale, nella moltitudine frantumata dei suoi oggetti e delle sue figure, con quella impazienza di carpire alla quotidianità le sue nascoste stranezze che Hoffmann ha definito, com'è noto, «la maniera di Callot»4, ispirandosi alla pittura realistico-satirica del maestro francese. Nella sua opera perciò i due principi, quello «serapiontico» e quello- diciamo- «callottiano» non cessano di richiamarsi, di contraddirsi e di integrarsi reciprocamente5, mentre si dissolve ogni possibilità di annullare nel regno sublime della Poesia o nell'interiorità dell'Io questa fondamentale «doppia esposizione» cui è condannato il soggetto-e in particolare l'artista- nella modernità. E se questa condanna significa congedo da ogni speranza in una sintesi conciliatrice, è anche vero che sottrarsi alla coscienza della duplicità, alla indispensabile dialettica di interiore ed esteriore equivale a cancellare la sfaccettata ricchezza della vita stessa. I personaggi di Hoffmann che fuggono la molteplicità esiliandosi nella prigione di «un sogno continuo», sono esposti al rischio permanente della follia, della malattia o della paralisi creativa, poiché incommensurabile resterà sempre il divario fra la purezza della visione interiore e la forma che essa può attingere nell'atto della produzione estetica6 • Ne è un esempio, famoso quanto significativo nel nostro contesto, il pittore Berklinger nel racconto La corte di Arturo, il quale siede per giorni interi davanti a una tela assolutamente bianca che egli presenta ai visitatori come un proprio quadro, perfetto in ogni dettaglio e raffigurante il Paradiso ritrovato. 230

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