Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

dallo stesso Lorenzo, del De re aedificatoria), abbia di fatto liquidato la sua esperienza volgare, programmaticamente tenuta fuori dalla Raccolta aragonese19 • D'altro canto, eliminando le sestine dal suo repertorio metrico, il maturo Lorenzo non prenderà dunque solo le distanze dal formalismo petrarchesco ma anche dall'«oramai quasi anonima produzione protoquattrocentesca»20 della forma, in cui verrà impietosamente, e a torto, ricondotto anche il grande architetto. Ciò che al Lorenzo lirico imbevuto del Petrarca landiniano, e tutto teso di poi a reperire archetipi cui affidare i sensi sottili di una sorta di stilnovismo ficiniano, poteva infastidire dell'impegno poetico dell'Alberti, era giusto il tentativo di rimettere in circolo (attraverso l'utilizzo di termini stilizzati al punto da apparire ipostasi della dinamica amorosa) il senso sconsolato dell'inutile e sciocco rimartellamento della vita, così come umanisticamente si manifestava alla luce dei classici e della riaffiorante tradizione stoica e scettica. È del resto vero che anche l'amore, malgrado la nobiltà del suo utilizzo macrometaforico da parte delle generazioni precedenti, non seppe mai in Alberti sfuggire al novero di quelle necessità ottuse che corrodono ogni azione umana. È scritto nella sestina acefala che trae spunto dall'«allegoria della nave» tanto cara a Petrarca: S'io spando le mie vele a' varii vènti, o seguo pur solcando sopra l'onde, truovomi a sera, e meno scorgo il cielo, e adietro sempre mi si fugge il porto; eccomi ancora ricozare a scoglio, dove mai scorse sanza danno barca (vv. 31-36). Il che vuol dire, nuovamente con l'acre umorismo lucianeo del Defunctus, che felici, felicissimi, sono solo coloro che si sottrassero a tanto inutile, ineluttabile circuito «in ipsis vitae vestibulis, in ipso lucis ingressu»21 . Gabriele Frasca 278

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