Sembra proprio di ascoltare Valéry, quando Quintiliano scrive: . . . l'orazione sia formata con molto e fedele esercizio di scrittura, in modo che anche gli argomenti improvvisati rendano il colorito degli scrittori42 . Non c'è quindi niente di più difficile che fingere l'immediatezza, o anche quell'«ingenuità» il cui effetto può essere ottenuto solamente a prezzo di un lavoro incessante di rarefazione della materia linguistica. Prendiamo come esempio quella forza di leggerezza che costituisce la meraviglia delle Favole di La Fontaine, nelle quali l'arte trionfa in modo sovrano, senza averne l'aria. Sarebbe infatti un errore confondere l'arte sottile del favolista con l'immagine leggendaria dell'omino ingenuo ispirato, nell'atto di dialogare con gli animali della foresta. Il La Fontaine delle Favole - scrive Valéry- è pieno d'artifici. Per ottenerli non gli è bastato aver sentito, sotto un albero, la gazza impegnata nel suo cicaleccio, né le risa tenebrose del corvo, per farli parlare in modo così riuscito: è che esiste uno strano abisso fra i discorsi che ci rivolgono gli uccelli, le foglie, le idee e quello che noi attribuiamo loro: una distanza inconcepibile. Questa misteriosa differenza fra l'impressione o l'invenzione, anche le più nette, e la loro espressione compiuta, diventa la maggiore possibilee quindi la più notevole-, quando lo scrittore impone al proprio linguaggio il sistema di una versificazione regolare43 . Nell' Institutio oratoria, indipendentemente dalla forza istintiva dell'oratore di genio (che gli è comunque essenziale), gli effetti del discorso saranno accuratamente calcolati, nel senso di una speculazione seduttrice di alto li239
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