letteratura, distogliendosi da sé stessa, dovesse dedicarsi a immaginare un linguaggio immediato, nel quale l'assenza di ogni retorica dovrebbe essere la garanzia assoluta del ben dire, sottratto all'affettazione. Così, quindi, Jean Paulhan fa osservare che c'è almeno un momento in cui la retorica gioca (se si può dir così) le carte in tavola: il disprezzo che essa mostra per il pensiero spontaneo33 . Ciò è vero, e tuttavia è importante sottolineare il paradosso a partire dal quale il pensiero retorico di un Cicerone o di un Quintiliano, attraverso gli astuti giri dell'arte, continua comunque a produrre, precisamente, la spontaneità, la semplicità e la sincerità, dato che questa immediatezza sarebbe impossibile come tale, se non mediata attraverso il suo contrario. Trascurare del tutto l'eloquenza, per pretenderne di autentica, come voleva Pascal, per Quintiliano sarebbe stato solamente un'illusione. Per lui trascurare l'eloquenza non avrebbe significato sopprimere, nel discorso, la parte che vi ha il retore, ma dissimularne gli artifici, per meglio giocarvi il «naturale» e la «sincerità». Del resto, Pascal stesso non ha rinunciato a questa strategia. Il vero che viene preferito - diceva Valéry a proposito di Stendhal - si tramuta di quando in quando, inavvertitamente, sotto la penna, nel vero che è fatto per sembrar vero... verità e volontà di verità formano insieme un miscuglio instabile nel quale fermenta una contraddizione, e dal quale esce comunque una produzione falsificata... che si confessa, mente e fugge l'autentico vero, che è nullo, o informe, e, in generale, indistinto. Tuttavia questa confidenza ha sempre di mira la gloria, lo scandalo, la scusa, la propaganda34 . Si vede bene che, P.er certi versi, Valéry si avvicina a Quintiliano; constatazione che riveste almeno l'interesse 236
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