11 «Erano traduttori forsennati. Rotti alla fatica di trasportare gli antichi nella nostra lingua, e inoltre a trasportarceli sacrificando il loro testo a questa nostra lingua. La loro poesia è segnata da simili abitudini. È un'autentica traduzione» (ibidem, p. 1098). 12 «Scrivere qualunque cosa [...] è un lavoro di traduzione esattamente paragonabile a quello grazie al quale si opera la trasmutazione di un testo da una lingua a un'altra» (P. Valéry, Oeuvres, cit., I, p. 211). 1 3 «Il poeta è una specie particolare di traduttore, che traduce il discorso ordinario, modificato da un'emozione, in "lingua degli dei"» (ibidem, p. 212). 14 «Dopo qualche tempo che avanzavo nella mia traduzione, facendo, disfacendo, rifacendo, sacrificando qua e là, restituendo quanto meglio potevo ciò che avevo rifiutato in un primo momento; questo lavoro di approssimazione, con le sue piccole soddisfazioni, i suoi pentimenti, le sue conquiste e le sue rassegnazioni, m'ispirò un sentimento interessante [...] Davanti al mio Virgilio, ebbi la sensazione (che io conosco bene) del poeta al lavoro» (ibidem, pp. 213-214). 1 ' «L'atto del tradurre, condotto con la cura di una certa approssimazione nella forma, ci fa in qualche modo cercare di mettere i nostri passi sulle vestigia di quelli dell'autore; ossia, non tanto foggiare un testo a partire da un altro, quanto, da questo stesso, risalire all'epoca virtuale della sua formazione, a quella fase nella quale lo stato della mente è quello di un'orchestra i cui strumenti si sveglino, si chiamino l'_un l'altro, e si domandino l'accordo prima di formare il loro concerto. E da questo vivente stato immaginario che bisognerebbe ridiscendere, verso la sua risoluzione in opera di linguaggio diversa dall'originale» (ibidem, pp. 215-216). 16 «Probabilmente, Pierre Menard, autore del «Quixote» (1939) è il commento più acuto e più denso che sia mai stato proposto al problema della traduzione» (G. Steiner, After Babel, London, Oxford University Press, 1975, p. 70 [trad. it. di R. Bianchi, Dopo Babele, Firenze, Sansoni, 1984, p. 68]). 1 7 «Borges ci propone d'immaginare uno scrittore francese contemporaneo che scriva, partendo da pensieri propri, delle pagine che riproducano testualmente due capitoli del Don Chisciotte; assurdità memorabile, non diversa da quella cui si assiste in ogni traduzione. In una traduzione noi abbiamo la stessa opera in un doppio linguaggio; nella finzione di Borges, abbiamo due opere nell'identità dello stesso linguaggio e, in questa identità che non è tale, il vertiginoso miraggio della duplicità dei possibili» (M. Blanchot, L'infini littéraire: l'Aleph, in Le livre à venir, Paris, Gallimard, 1971 [1959], p. 142 [trad. it. di G. Ceronetti e G. Neri, Il Libro a venire, Torino, Einaudi, 1969, p. 103]). 18 «Fogli per la soppressione della realtà» (J. Borges, Pierre Menard, autor del Quijote, in Obras Completas, Buenos Aires, Emecé Editores, 1974, p. 445; trad. it. di F. Lucentini, Pierre Menard, autore del «Chisciotte», in Finzioni, Torino, Einaudi, 1971, p. 40 [nell'edizione italiana il titolo della rivista è riportato in francese, "Feuilles pour la suppression de la réalité", senza traduzione in nota]. 224
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