Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

dell'inizio della poesia, guarda. Ma a ciò che vede sembra non rispondere: non è abile alla risposta, ha sguardo, ma non responsabilità, non attenzione. Pura retina, registra, sembra-1 senza connettere la scena esteriore a un'emozione interiore. E stato così a lungo nel freddo che ha raggiunto, forse, lo zero assoluto della frigidità. Gli manca fin la sensazione stessa. Proprio per questo è un niente lui stesso, un nulla, uno zer9. E in quanto tale è aperto alla scena come fosse inumana. E entrato, direbbe Merleau-Ponty, in una «zona di vuoto», come quelle bolle d'aria che si formano in una siringa, che possono uccidere se iniettate. Ma si procede oltre la bolla di vuoto, quando si riconosca che la vicenda della terra, delle foglie, ci riguarda? È la nostra? È questa la responsabilità e l'attenzione? Al centro del pensiero di Stevens, al cuore della sua meditazione poetica, la cura originale che la nutre e l'affanna, è l'equilibrio instabile, insicuro, di ethos e pathos, come Harold Bloom, suo attento lettore per primo, credo, riconosce. Siamo qui, confitti in questo luogo fisico, questo è il nostro ethos, la nostra dimora. Ed è il nostro daimon, nel senso che come un demone, appunto, il genio del luogo ci possiede. E rivela di noi la radice più vera, quella .che più forte ci radica, per «estatiche identità», ali'esistenza delle cose fisiche: «Il clima e le cose / del clima...». L'uomo si trova così identificato all'aperto, esposto e raccolto nelfuori di un universo fisico, un mondo di cose create, che ci guardano e riguardano come fossero persone mute. E tuttavia:· l'uomo vive forse in questo spazio aperto come l'animale? o la pianta? È evidente di no. La sua presenza non è sola presenza alle cose, è presenza a se stesso, illuminata dalla riflessione. Pathos, non solo ethos. È così che /,a regione novembre non è per l'uomo, come per gli alberi, lo sforzo di un'espressione tanto inferiore al sentire e al dire, che non trova modo di dare parola alla conoscenza di ciò che essi comunque patiscono, una passione tuttavia che non esita in nessuna rivelazione, poiché essi non ne intendono nessuna. No: l'uomo non sta così, come pianta, anche se a volte, in un giorno chiaro, senza ricordi, nell'aria sgombra, abita senza darsi pensiero di nulla. Ma per lo più, il difuori si rovescia, nel caso dell'uomo, in di dentro. L'esteriore si fa interiore. 105

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