Nella Commedia («Già mi sentia tutti arricciar li peli»; «quella lettura e scolorocci il viso») il primo verso si riferisce alla paura di Dante, nella quinta bolgia dell'ottavo cerchio, di essere assalito dai diavoli adirati dopo la zuffa tra Alechino e Calcabrina; il secondo all'effetto prodotto su Paolo e Francesca dalla lettura «di Lancillotto come amor lo strinse». Nel Furioso entrambi i versi, «montati» uno dopo l'altro esprimono la reazione di paura di Ferraù al levarsi di un'«ombra» armata di tutto punto, dalle acque del fiume dal quale egli sta tentando di recuperare l'elmo che era stato di Argalia, il fratello di Angelica, da lui ucciso in combattimento. Non vi è chi non veda come lo «scolorarsi del viso» assuma, nei due poeti, un significato radicalmente diverso, anzi opposto: segno di desiderio amoroso in Dante, in Ariosto, come nell'emistichio precedente, di paura. Ma vi è di più: con questo accostamento, e a mezzo della variante «il Saracino», in luogo di «la lettura», entra in gioco, nel Furioso, tutto un rimando di elementi fonici, sino al livello della lettera (arricciassi - scolorassi - Saracino - viso) che, in questo caso, nella Commedia non si danno. Ne consegue che se, proprio di «fonti» occorre parlare23 , può esser utile spostare l'ottica dai reperti di contenuti e di calchi di versi, o di immagini, tratti dagli antecedenti poetici, a un più generale atteggiamento - da parte di Ariosto - nei riguardi della invenzione del proprio testo. E qui il riferimento è da porsi ampiamente al precedente del Decamerone, come è stato acutamente sottolineato da Edoardo Sanguineti: L'ironia tecnica dell'Ariosto è un'ironia che, con un solo movimento, liquida tutto il residuo cavalleresco, e instaura definitivamente l'avventura romanzesca: la verità del romanzo, infine, di contro all'illusione cavalleresca. Per dire la cosa con un'immaginetta bassa da manuale, ma piuttosto nitida, 243
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==