Si può anzi osservare, a questo proposito, come nulla appaia più lontano dall'uso che Ariosto fa di questa «fonte» (e di tutte le altre) della «angoscia dell'influenza» su cui si sofferma Harold Bloom20 ; vero è, semmai, il contrario, come osserva Cesare Segre: Ma diversa è la prospettiva ideologica in cui si poneva per l'Ariosto, rispetto ai suoi predecessori più illustri, il Pulci e il Boiardo, il mondo cavalleresco: non più paradigma attraente e pur lontano (donde la compiacenza dell'evocazione alternata con la familiarità dello scherzo), ma finzione letteraria della quale celebrare i valori ancora attuali (l'eroismo, l'onore, soprattutto l'amore) e attraverso i cui personaggi esaltare la varietà e spesso la grandezza dell'azione umana. Il poeta, proprio perché libero dalle suggestioni dirette della materia, poteva dominare e sublimare il mondo che con questa aveva costruito, e anzi plasmarlo secondo le proprie aspirazioni, a specchio dei suoi sogni21 . Molto si è insistito, e già quasi subito dopo l'apparizione del Furioso, sugli innumeri calchi, citazioni, riscritture che, in singoli versi o intere sequenze l'Ariosto non si peritò di trarre in particolare da Petrarca o da Dante22 • Immersi tuttavia come sono nel flusso dell'ottava ariostesca non è difficile scorgere come, pressoché in ogni caso, essi assumano una tonalità e una coloritura che li diversifica dai luoghi poetici dai quali sono pur tratti. Anche in questo caso sembra valere la pertinente notazione di Segre. Un solo esempio: nel Canto primo, ottava 29, troviamo un emistichio e un intero verso che ricalcano quasi alla lettera Dante (rispettivamente Inferno XXIII, 19; Inferno V, 131): . . . ogni pelo arricciassi e scolorassi al Saracino il viso. 242
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