a cercare «se del suo Brandimarte insegna v'era». Così la ben nota ironia ariostesca investe l'episodio di una evidente sfumatura grottesca: le «armi» dei due massimi campioni sono declassate a una rissa segnata da una forza bruta, quasi animale. Non si può non por mente ad un altro artificio ariostesco. Mentre si svolge la tenzone conclusiva tra tre cavalieri pagani e tre cristiani, a Lipadusa, Rinaldo, che - liberatosi dalla passione per Angelica - vi accorre in gran fretta («Di dieci e dieci miglia va mutando/ cavallo e guide, e corre e sferza e punge»), è tratto ad indugiare dall'ascolto di due delle storie di tradimento femminile del Furioso, quella del «nappo» e quella del giudice e dell'Etiope: due storie che fanno come da contrappunto al pathos della morte di Brandimarte, che, sul punto di chiudere gli occhi pensa unicamente alla sua donna: [... ] la mia Fiordi... - ma dir non poté: - ...ligi -, e qui finio. (XLII, 14, 3-4) In un modo o nell'altro le donne, nel Furioso, vengono a trovarsi implicate nelle sfide mortali tra i cavalieri, anche quando, come è il caso di Bradamante e di Marfisa non ne siano le protagoniste. E così avviene anche nella severa chiusa del libro, il duello tra Ruggiero e Rodomonte. Donne e donzelle con pallida faccia timide a guisa di colombe stanno, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . timide stanno per Ruggier, che male a quel fiero pagan lor parea uguale (XLIV, 111, 1-2, 7-8) Tremava, più che a tutti gli altri, il core a Bradamante; (XLIV, 113,1-2) 235
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