sponde a nessun modo di parlare che si possa incontrare realmente fra la gente. È questa una caratteristica che ha sempre suscitato polemiche e contestazioni (in Italia, per citare solo qualche nome recente, è stata violentemente attaccata da parte di Pier Paolo Pasolini e Dario Fo, ma soprattutto aggirata dalla grande tradizione del teatro dialettale), soprattutto perché la dizione teatrale si è tradizionalmente posta come «giusta» in contrapposizione agli «errori» regionali; e qui entrano in gioco argomenti di politica della cultura più che di estetica. Ma quel che importa per noi è capire come la «corretta dizione» altro non sia se non una convenzione che marca la differenza o il limite fra il parlare quotidiano e quello espressivo, un po' come i costumi di scena o il trucco. Come ogni regola linguistica essa ha il compito fallimentare in partenza di fissare un'immobilità normativa nell'incessante cambiamento del linguaggio; la differenza è che rispetto alle regole della sintassi, che sono ritenute impegnative per tutti, nel1'opinione comune la dizione è materia più vaga ed «estetica», che ha peso di obbligo solo sulla scena. Qualcosa di meno evidente ma di altrettanto importante nella voce teatrale è il suo aspetto prosodico, le «intonazioni» che sono non un prerequisito professionale come la «corretta dizione» ma piuttosto unmodo espressivo che riguarda certamente !'«interpretazione» personale dell'attore, ma nel nostro sistema teatrale è sottoposto alla cura particolare della regia (e un tempo del capocomico). Un grande regista famoso per l'artificialità delle sue intonazioni, Luca Ronconi, si è spesso scagliato contro la falsa naturalezza del discorso tenuto e legato «alla francese» che la tradizione teatrale italiana ha spesso descritto come «il concertato» degli attori: turni di parola stretti, fiati e pause di interpunzione poco sottolineati, voce tenuta con continuità, parole spesso legate fra loro, ma chiaramente percepibili grazie alla nettezza dell'articolazione, prevalenza del ritmo «interiore» su quello «logico» se149
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