Sosteneva, fra l'altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l'effetto che dir si voglia d'un unico motivo, d'una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo [...]. E per il discorso dell'Osservatore vero e proprio, in funzione sia di Scripteur sia di Modalizzatore, basterà ricordare l'escursione massima della manipolazione stilistica e delle modalizzazioni dei contenuti - all'interno di una stessa unità semantica - quale per esempio si rivela nella descrizione del cadavere di Liliana Balducci: quelle due cosce un po' aperte [...] già si adeguavano al gelo: al gelo del sarcofago e delle taciturne dimore. [...] Un profondo, terribile taglio rosso le apriva la gola, ferocemente. [...] Palesava delle filacce rosse, all'interno, tra quella spumiccia nera der sangue, già raggrumato, a momenti; un pasticcio! con delle bollicine rimaste a mezzo. Curiose forme, agli agenti: parevano buéhi, al novizio, come dei maccheroncini color rosso, o rosa. «La trachea», mormorò Ingravallo chinandosi, «la carotide! la iugulare... Dio!». Non solo, ma è proprio la voce narrativa, in quella che dovrebbe essere la sua tipologia linguistica propria (monologica), che viene ad essere sconvolta: diciamo, essa stessa alienata nella vociferazione babelica della rappresentazione. Un solo esempio, scelto assolutamente a caso: «Don Ciccio assentì, co du decimi de millimetro de mossa: der testone», cui sarà da raffrontare, qualche riga più sotto, questa tipologia del genere illustre, ma con funzione parodica: «Sopraccigli e cigli revulsi inesorabilmente a le stelle». La voce narrativa non gode insomma di nessuno statuto linguistico proprio, non conosce, su nessun piano, lo 131
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