Il piccolo Hans r.ivista di analisi materialistica ' 6 5 primavera 1990 Virginia Pinzi Ghisi 5 Il segreto Italo Viola 15 Carteggi e legami pericolosi Gianfranco Gabetta 44 Pilade e Semele: Heinrich e Ulrike von Kleist Paolo Bellinazzi 63 Leibniz-Clarke: una polemica senza soggetti Annalisa Allazetta 88 Freud-Zweig. L'appello al padre sullo sfondo di una tragedia in un mondo per soli uomini. Patrizia Guarnieri 123 Carta penna e psiche. W. James e T. Flournoy DIALOGHI Cesare Segre 152 Levare e mettere: Giancarlo Consonni le ragioni del restauro NOTES MAGICO Arcangelo Dell'Anna 173 Una lisca di sogno RASSEGNE Baldo Meo 190 L'archetipo in Jung, Kerényi e Frye LETTURE Paola del Giudice 222 Silenzio a più voci Marisa Bulgheroni 231 Nella poesia di Milli Graffi
Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Contardo Calligaris, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola. a questo numero hanno collaborato: Annalisa Allazetta, Paolo Bellinazzi, Marisa Bulgheroni, Giancarlo Consonni, Arcangelo Dell'Anna, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Gianfranco Gabetta, Paola del Giudice, Giuliano Gramigna, Patrizia Guarnieri, Ermanno Krumm, Baldo Meo, Cesare Segre, Mario Spinella, Italo Viola redazione: Via Nino Bixio 30, 20129 Milano, tel. (02) 2043941 abbonamento annuo 1990 (4 fascicoli): lire 35.000, estero lire 52.500 e.e. postale 33235201 o assegno bancario intestato a Media Presse, Via Nino Bixio 30, 20129 Milano Registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano Coordinamento editoriale: Rodolfo Montuoro Fotocomposizione: News, via Nino Bixio 6, Milano Stampa: Tipolitografia Meina, Carugate (Milano)
Il segreto Quando Pierre Bonnard che trascurava di datare le lettere della sua corrispondenza segnava però sull'agenda il variare delle apparenze atmosferiche, nuvole, molto nuvoloso, tempo coperto, vento forte, sole, forse ripeteva quanto ebbe invece a dichiarare a proposito del disegno. Il disegno va dimenticato, e il colore, bianco, blu, viola diventano i bordi della vasca, e nel bianco straordinario di un interno bianco_ il fulvo di un gatto quasi invisibile porta in primo piano il calorifero retrostante. Quando è così difficile recuperare le forme del mondo, può allora apparirci il mondo delle forme. Lo spostamento che abbiamo in questi anni effettuato tra· il linguaggio dell'inconscio, preciso, mirato, ben definito attraverso la mezza verità, colto nei lapsus, composto nei malintesi, e le forme che piuttosto appartengono all'Es, che emergono senza parole nei cani pezzati dei sogni, ocelli di farfalle, mele gialle e rosse che rotolano su moquette a righe verdastre, ci ha introdotto alla scoperta di un trauma· alla base di alcune nevrosi e di qualche prossimità alla psicosi, che travolge la possibilità di disegnarsi delle silhouette dei due culmini della sessualità, e riporta dall'adolescenza in5
dietro, senza possibilità di dialogo e di patteggiamento, senza, per star con Bruno, che il monte Cicala parli con il Vesuvio**, verso il colore, le macchie, le gradazioni di un awicinamento senza difese al godimento del padre. Sono i residui darwiniani, le colorazioni animali, forme che spingono verso l'abbagliante sole paterno, o verso la figura del padre primordiale, a introdurre nascostamente, come l'impercettibile gatto fulvo di Bonnard, l'animale totemico, o il nostro luogo della fobia. Allora, invece che scandito dal disegno preciso del Dazio con la sua barriera scavalcata dalla fantasia là dove non c'è porta, invece del ritmico suono, terrorizzante ma già contenuto, dello zoccolo del cavallo, il gatto è il fulvo, e come il Dazio aveva introdotto Hans alla tecnica dell'idraulico, da cui iniziare le sue costruzioni di difesa, il fulvo porta in primo piano il bianco del termosifone, una tecnica senza gestore, e la velatura grigia che è scesa da un po' di tempo su tutti i colori del mio mondo, può essere la forma della nuvola, o il battito che sbava gli acquerelli che Van Gogh espone alla pioggia. C'è un segreto nella forma. Quando racconto al mio amico i piccoli fatti della mia infanzia, sempre gli stessi, è come se componessi altrove uno spazio silenzioso per forme mutevoli. Tutto ciò che dico, i piccoli segreti sempre più confidati, sfumano i bordi bianchi e violetti del segreto che nell'interno bruno della vasca fa appena percepire il corpo disteso. Così i dialoghi, come i carteggi, quanto più sono serrati, quanto più escludono divagazioni e descrizioni, hanno fatto di Emma o di Persuasione di J ane Austin o di Middlemarch di George Eliot i capolavori del malinteso, dell'inganno e del!'intenzione. La descrizione sopraffatta dagli scambi verbali svela la propria pochezza: che cosa importa se è "brutto" Casaubon se la Dorothea di Middlemarch ne intuisce e ne difende con tutti la grandezza morale e intellettuale? 6
Ma «"Non sono in grado di giudicare queste cose" disse Dorothea non con aria fredda, ma disapprovando con impazienza di essere stata chiamata in causa. "Lo sapete, zio, non riesco a vedere la bellezza di quei quadri che dite sono tanto lodati. Sono un linguaggio che non capisco. Suppongo che vi sia un qualche rapporto fra i quadri e la natura che io sono troppo ignorante per sentire -proprio come voi capite cosa significa una frase greca che a me non dice niente". Dorothea alzò lo sguardo verso Mr. Casaubon, il quale chinò il capo verso di lei...». La pittura stabilisce un rapporto tra la natura e le forme che si rivelerà a Dorothea solo alla fine di migliaia di dialoghi, e sarà la figura del giovane Ladislaw con il suo album di schizzi ("niente di adatto da vedere") a far coincidere con la bruttezza di Casaubon non solo la pedanteria e l'estrema "sua" pochezza morale, ma anche la mappa della sua ignoranza. Le forme e i silenzi di Romano Bilenchi "Più tardi mi accinsi a riscriverlo. Mi accorsi però che lo ripensavo da un punto di vista diverso, e quello che ne risultava era un romanzo completamente nuovo". Vediamo l'inizio del Conservatorio di Santa Teresa e confrontiamolo con la versione successiva pubblicata nell' '85 in appendice al romanzo. I "La villa era stata costruita oltre la città di P..., in aperta, solitaria campagna". I "La villa era stata costruita dal bisnonno paterno di Sergio oltre la città di P..., in aperta solitaria campagna". 7
Ma la campagna non è più solitaria. La villa che vi appare costruita è ora un cantiere animato e diretto dal bisnonno paterno, rumori, ordini lanciati, attività sotto lo sguardo del padrone. " ... erano sorte altre ville. Alcune si rivolgevano al levare del sole, altre guardavano le crete lontane. Forse la loro varia disposizione rispondeva al carattere delle persone che le abitavano. Tranquillità, soggezione verso la natura, i cui segni si ripetono ogni giorno..." ".. . erano sorte altre ville. Alcune si rivolgevano al levar del sole, altre guardavano le colline o le crete lontane. Forse la loro disposizione così nettamente opposta, che non lasciava dubbi in chi le osservasse, rispondeva al diverso carattere delle persone che le avevano costruite o che le abitavano... Chi aveva la facciata della propria dimora rivolta a oriente dimostrava tranquillità, soggezione verso la natura..." La disposizione "varia" è stata sostituita da "così nettamente opposta", la varietà di forme che sembrano appartenere alla natura, ora non lasciano "dubbi in chi le osservasse". La "Tranquillità, soggezione verso la natura", soggetti, anche qui vengono scosse dall'introduzione di un "chi": "Chi aveva la facciata della propria dimora rivolta a oriente dimostrava tranquillità, soggezione verso la natura". Chi aveva, dimostrava. Nel secondo capitolo della prima versione, Sergio bambino sta con Amina, "giovane figlia di pastori abitanti vicino alla villa". «Amina preso il grosso libro e postoselo sulle ginocchia aveva cominciato a leggerlo. Sergio, irritato, aveva battuto i piedi. Ma dalle pagine in moto erano sfuggiti balenii di giallo, di rosso, di azzurro... era rimasto accanto a lei tutta la sera. "È verde questo?" "È verde". "È bello questo?" "È bello". Amina non doveva dire di più». Nel secondo capitolo della seconda versione scompare il libro, scompaiono i colori. Amina dice molto di più, Amina "giovane figlia di c<Jntadini che abitava in uno dei due pode8
ri che Bruno possedeva dietro la villa", è qui molto più determinata, "uno dei due", è in compagnia di un altro personaggio, Bruno, non ha più la vaghezza che i pastori, divenuti contadini, da nomadi a stanziali, le conferivano. Per di più, "era al loro servizio proprio per aiutarle a sorvegliare il bambino". E con il piccolo sorvegliato si dirige verso la città. Lo porta ora al convento delle Orsoline, e così il Conservatorio perde la sua misteriosa essenza originale, oggetto solo, per molto tempo, di vaghe allusioni e furtivi rimpianti. Ora, "sulla porta del convento suor Maria parlava con una contadina". Ecco, si parla molto. Tante spiegazioni, tanti perché, tanti le disse e le rispose. Tanti personaggi, tanti bambini. "Sono trenta, aggiunse, e ci danno molto da fare". Bilenchi non va oltre il rifacimento del VI capitolo. Il ritorno alla prima versione ci riporta al silenzio. "Il deserto era l'argomento del libro... che tutti i ramarri, le farfalle, i fiori sparissero dalla terra. Non udiva più le parole della mamma ... Alle crete sorgeva un castello. con un torrione. "Contemplava l'erba, gli alberi e taceva..." "I campi, di qua e di là dalla valle, continuavano nel loro colore ora verde, ora rossiccio, ora giallo a seconda delle stagioni". "Talvolta sdraiati, quasi schiacciati sui massi posti in mezzo al fiume o presso le rive, stavano, nudi, ragazzi di campagna... Sembravano nati lì come i pesci, i massi e ormai elementi necessari del fiume e dell'aria". Il solco del fiume segna una prima separazione. Non ancora tra le forme, forme umane e forme della natura, che i colori, ora verde ora rossiccio ora giallo, due colori del sole, e uno di fondo, quel colore verdastro del mare joyciano, ancora collegano, ma nel territorio. "In quei giorni, per avere abbandonato le colline, gli pareva di aver perduto una parte di sé", la barriera taglia la prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico, "gli ap9
pigli che di solito gli mettevano in moto la fantasia... il deserto gli appariva assai diverso da prima, si divideva in due, tre, quattro deserti che prendevano dei nomi, Gobi, Sahara...". I.:apprendimento della geografia sostituisce la geografia fantastica. Sergio conosce l'angoscia e il fastidio, l'orrore delle rane del fiume. Ora le forme animate si distinguono e causano inquietudine e estraneità. "Dove finiva il terreno e cominciava l'acqua?". La sensazione piacevole si muta in timore nell'esperienza della cascata. I.:oppressione si fece più pressante. "Gli parve che lui stesso fosse per precipitare. Considerò lo spazio dove poggiava i piedi; rimpiccioliva ogni istante". Il tempo che passa spinge Sergio verso il Conservatorio di Santa Teresa. Avvicinandosi alla città scopre il martirio inflitto dagli uomini al fiume,: "piccoli ponti schiacciati sul suo corpo, canali che partivano dai suoi fianchi impoverendolo, barche che lo ingombravano e lo imbruttivano, renaioli che frugavano nelle sue viscere". Così il passaggio dall'infanzia ali'adolescenza è accompagnato da questo gioco di forme che attraggono e respingono, rifiutate il giorno in cui Sergio abbandona l'esterno per scoprire le stanze, gli stanzini, i cunicoli, le divisioni dell'interno della casa, emblematizzate nel gioco, varcata la soglia di nuovo verso l'esterno, di creare con i passi contati un grande quadrato immaginario davanti alla porta di casa, ritrovate diverse ("In lontananza le crete erano violacee; e Sergio stentava a riconoscerle, tanto serbava di loro un ricordo di pallido grigiore"). È lontano il tempo in cui le voci scompaiono, quando nell'accompagnare in carrozza in città il padre che parte per la guerra, l'attenzione di Sergio è sui segnali che scandiscono la strada, sull'ubicazione della chiesa forse sulla prima, forse sulla seconda svolta, Sergio rimaneva incantato da quel turbinio di colori smorti e dalle strane forme che prendevano le piante, gli animali, le case. La voce del padre "lo sorprese mentre si raffigurava le colline e il fiume". 10
Ora invece Sergio "si alzò e si avvicinò alle donne... Sergio fu felice di quei discorsi" e quando, nell'ultima frase del libro con la madre e la zia si reca al fiume, "Sergio le precedette su di un piccolo spiazzo e perché stessero comode e potessero parlare a lungo fece in fretta rotolare i sassi più grossi nel!'acqua". Alberto e la regina Vittoria r oscillazione tra la fobia come sintomo e il luogo della fobia, prima rappresentazione esterna del!'apparato psichico in cui si struttura il soggetto, nel quale la presenza del!'animale è il garante di un rapporto al padre in cui la sua voce può essere esorcizzata fino al momento in cui il raffronto dei due culmini, il primo raffrontarsi con il segreto della nascita e l' angoscia di fronte al mistero del godimento paterno a quattro anni, e l' arrivare, sconvolgente, di un godimento "proprio" che propone un'identificazione al padre con possibilità altrettanto devastanti, può mutarsi in un dialogo, l'oscillazione tra fobia e luogo della fobia è quella tra la messa in atto di un odio e di un distacco dalla natura, e il riaffiorare di un luogo in cui il soggetto ricorda di aver "pensato". Il misurare le stanze, gli stanzini, i corridoi di casa è la ripetizione meccanica "fuori analisi" di quel luogo, l'esclusione della natura a vantaggio di scansioni di mattoni, canalizzazioni, opere idrauliche che attestino un dominio sul territorio. La composizione di un carteggio può essere l'artificio grazie al quale una debolezza per nascita unita a una disposizione a modellare il futuro, avvicina la manipolazione della natura alla perversione. Questa si distingue per l'immobilità delle forme che solo l'uomo può forgiare, non c'è mutazione naturale, non c'è passaggio da forma a forma. Il paesaggio è vuoto di esseri umani, ma statico. Le parole che compongono i carteggi riguardano la spinta 11
a dominare il destino. È ancora l'alba quando il principe Alberto, inviso per nascita agli inglesi, incomincia a intrattenere per via epistolare diuturni rapporti con i membri del governo. Nessun sovrano inglese l'avrebbe fatto e lo fa. Alberto, tedesco, cresciuto a contatto della natura, ama soprattutto la caccia. Odia le donne. A cinque anni anzi urla di rabbia e disgusto dinanzi a una piccola compagna di danza. Cresce a Coburgo. Trapiantato in Inghilterra, cerca di incidere nella storia di questo paese il suo nome e il suo punto di vista. Lo fa con un enorme spreco di energie e di carta. Al centro della sua attività, l'idea grandiosa della Grande Esposizione. Ormai volumi e volumi di copie di lettere si depositavano intorno al suo tavolo. Alberto soffriva d'insonnia. Contemporaneamente si alzava l'enorme edificio di vetro che doveva ospitare l'esposizione. Una fontana di vetro animava il padiglione. Quando Alberto muore, Vittoria non sa continuare lo scambio di lettere con i membri del governo, ma sostituisce alle parole scritte, alle raccomandazioni, ai suggerimenti, alle postille, odi e passioni. La Grande Esposizione da mondiale si fa domestica. Ai volumi di lettere Vittoria sostituisce i cataloghi. Tutto viene minuziosamente fotografato, stanze, arredi, vestiti, e da più prospettive, i cani rieffigiati in bronzo e marmo, i sentieri dei giardini riprodotti, e segnati con targhe, di ogni cosa la circondi viene moltiplicata la replica. Il segreto L'esigenza che le forme non mutino se non sotto la spinta della propria intenzione, la fissità degli oggetti che abitano le rigide repliche di un perso ma non dimenticato "luogo della fobia", la stessa esigenza che spinse qualcuno che non 12
riusciva a sostenere il fiorire e lo sfiorire delle rose sulla propria terrazza ad abbandonare la casa senza nemmeno poter prendere in considerazione di togliervi le rose, per chiudersi tra le immutabili mura di un monastero, sollecita la contessa de Nangis, coprotagonista del romanzo epistolare "Il segreto" di una certaMadame de Duras che intorno al 1820 teneva un famoso salotto letterario a Parigi, a chiedere al cugino conte de Sancerre di dividere le terre che ad entrambi appartenevano sin dall'infanzia. È su questa richiesta, anzi sulla risposta affermativa a malincuore a questa richiesta che ha inizio il carteggio. "Non diremo dunque più le nostre terre in Piccardia". Tutte le lettere che seguono alluderanno a un segreto. Quello per cui il conte di Sancerre dopo aver rifiutato il matrimonio con l'attuale Madame de Nangis ora coniugata al conte de Nangis, sembrerebbe continuare ad amarla, benché, morto il conte, si ostini a negare di potersi unire a lei. Il segreto, taciuto sino alla fine, che segna la morte per suicidio del conte de Sancerrè, sembrerebbe quello dell'impotenza di lui. Di questo, segreto dell'epistolario, ora parla tutta Parigi e un amico della Duras, che non vuole pubblicare il manoscritto fatto circolare tra conoscenti in forma privata, riscrive il romanzo e lo pubblica esplicitandolo. Ma lo riscopre nuovamente Stendhal che, invaghitosi del soggetto e detestandone l'autrice, lo riscrive a sua volta intitolandolo Armance. Ora nella nuova scrittura il carteggio è cancellato, rimangono solo due lettere: quella di Stendhal stesso, beffarda e autogiustificativa di un plagio che simula finto, indirizzata all'autrice, e l'altra, unica, di Octave (l'Olivier de Sancerre di Madame de Duras) alla cugina, scritta col sangue e seguita da uno svenimento, che è poi il testamento con cui la rende erede di tutto: il segreto intorno al quale lo scambio di lettere si aggirava, è sepolto più profondamente, e il motivo dell'impotenza sembra tramutarsi in follia. Perché questo non awenga infatti, che il senso dell'impo13
tenza si muti in follia, il segreto deve essere mantenuto palese, va corteggiato e interrogato, negato ed esibito, ripetuto e cancellato. Il movimento del segreto accompagna il trasmutare dei colori in gradazioni e i corpi nudi non sono definitivamente sassi, sono "come pesci e come sassi". Al di là della seconda soglia, quella dell'adolescenza, questi possono esser fatti rotolare nel fiume per lasciar posto alle parole che nascono dalle forme, perché benché si passi la soglia dell'adolescenza, il punto di vista resta quello. Compresi, scrisse poi Bilenchi, che l'esperienza del Conservatorio non poteva essere mutata, e che, riscrivendola come stavo facendo, cambiavo il punto di vista. Il punto di vista dell'adolescenza indietro verso il luogo della fobia è ciò che in analisi ci fa privilegiare, al linguaggio dell'inconscio e ai tentativi di imitarlo, la sottrazione del chi a favare di un soggetto complesso attraversato da uh. fiume, bruno nel bianco, accompagnato dal fulvo, segreto dello scrivere. Virginia Finzi Ghisi • Cfr. S. Finzi, Nevrosi di guerra in tempo di pace, Bari, Dedalo, 1989. " Cfr. S. Finzi, Adolescenza e senilità, seminario 1989. 14
Carteggi e legami pericolosi Mettersi in gioco Non è il caso di pensare a pericoli speciali. Quelli orditi da qualunque carteggio riguardano l'identità e la sorte dei corrispondenti; come dire che è in pericolo chi entra in gioco: niente di più ovvio. La specialità, o la speciosità, dei carteggi sta invece nei modi di mettere in gioco e in pericolo. Si comincia dal rituale, che oggi ha anche la risorsa della sorpresa, dato che è troppo facile eluderlo: quando mandi o ricevi una lettera, sei già in gioco; e chi esita davanti alla lettera da aprire o da spedire, sta infallibilmente domandandosi se è pericoloso. Il rituale ha molti modi di giocarti: la lettera arriverà certo a destinazione, ma non sai come e per quali mani, e la risposta può tardare a lungo; il carteggio può essere divulgato. La divulgazione dei carteggi è oggi un genere letterario molto commerciabile. Non c'è carteggio che non tenga conto, silenziosamente o apertis litteris, di tutte queste cose. Anche per i segni e la cadenza con cui il rituale entra nella forma, ogni carteggio è destinato a intrecciare legami pericolosi. Ma la forma, al di là del rituale, del peso delle circostanze e delle materie da trattare, s'identifica 15
con questo destino: lo provoca in una strategia, lo adempie - più che rappresentarlo - in una scrittura. La dimostrazione di questa equivalenza è stata prodotta con esattezza irripetibile dalla letteratura con il carteggio delle Liaisons dangereuses. Nel ricordare o nel rileggere, si comincia sempre da questa esattezza: si pensa a «un disegno geometrico che riempiva lo spazio con ritmo ostinato», alle «linee di un'architettura un po' pesante», al «luccichio delle maglie di un'armatura», a «un ferratissimo congegno di orologeria»'. Ma la definizione più promettente per noi è quella più «secca», quella che, senza passare attraverso l'analogia, sia pure assottigliata fino alla «geometria incorruttibile» del cristallo, distingue immediatamente nel libro di Laclos «l'enunciato grafico di un intreccio di forze»2 • Perché, se è così, la finzione lettera- . ria, nel rappresentare l'orditura e la forma dei legami, non si attiene alla verosimiglianza, ma a un criterio di realtà che continua a riservare delle sorprese a chi tenti, come intendiamo fare noi in qualche dettaglio e 'momento', l'enunciato e le forze in gioco. Dentro quelle relazioni epistolari si svolge anche la loro analisi: il carteggio è messo in discussione proprio come legame. La marchesa di Merteuil, che, anche più di Valmont, ne governa la trama e distribuisce in essa le parti (credendo di stringervi i singoli destini), diffida delle lettere. «Credetemi, visconte; vi si chiede di non scrivere più; approfittatene»: è il consiglio che manda a Valmont, il quale mette tanto zelo nell'impresa di sedurre la presidentessa di Tourvel con lettere appassionate. Zelo sprecato, perché i tempi lunghi e distinti della corrispondenza lasciano alla «vertu raisonneuse» di una donna di princìpi tutto l'agio di studiare il valore delle parole e di allestire le proprie difese. Il fatto è che, per quella severa eroina della finzione che è la Merteuil, «in amore non c'è niente di così difficile come scrivere ciò che non si sente»: le parole sono quelle, ma «non si dispongono nello stesso 16
modo», o piuttosto si dispongono («on les arrange»), ed è tutto. «Rileggete la vostra lettera; vi regna un ordine che vi smaschera ad ogni frase»3. La Merteuil suppone (o trova comodo ammettere) che Valmont anche in questa avventura continui a dedicarsi ai piaceri che conosce bene, e che l'amore di cui parla nelle sue lettere alla «devota» non sia che una finzione; giudica perciò necessario (o conveniente) avvisare il visconte che non avrà successo, perché le lettere hanno lo stesso difetto dei romanzi: «l'autore si batte i fianchi per riscaldarsi», e il lettore - s'accorga o no dell'artificio - «rimane freddo». Quanto ai romanzi, c'è l'eccezione dell'Héloi'se; ma appunto questo conferma la Merteuil neUa sua «poetica negativa», la quale, del resto, sembra appoggiarsi testualmente alla seconda prefazione russoviana, in cui si sostiene che non è possibile «rivaliser dans une lettre fictive avec la lettre authentique de l'amant sincère». La marchesa non s'avvede che Rousseau in questa prefazione sta preparando per il suo romanzo il trionfo «qu'il a mis sa coquetterie à prétendre impossible»4, e crede di ribadire con la sua opinione anche quella dell'autore, sostenendo che, dato che in queste lettere d'amanti vi è il «tono» inimitabile della «passione autentica»5, e si può esserne riscaldati, c'è da supporre che la loro sostanza «fosse reale». Certo potrà essere smentita, la signora di Merteuil, nella sua estetica del romanzo e dello stile epistolare; ma la logica del carteggio che sta conducendo per ora non può sorprenderla. Ed è questo il punto: nel far la parte di mettere in guardia il suo infido amico, ella si prepara a parare un'altra smentita, quella che potrebbe darle la Tourvel facendosi sconvolgere dalle lettere di Valmont. Se accadrà, potrà dire che la sostanza di quelle lettere d'amore era «reale»; e poiché accadrà, avrà buon gioco a sostenerlo, nonostante gli ostinati dinieghi del seduttore. Quello che non può prevedere è il dispetto che proverà nel ribattergli che si tratta proprio d'amore. Ma i due sono 17
ancora lontani da quella loro tetra e lucida ostinazione, che formerà il nodo mortale del carteggio e perderà tutti i suoi soggetti6 ; intanto la signora di Merteuil, col dichiararsi assolutamente scettica in merito allo stile epistolare, sta studiando il seduttore all'opera. Come si vede, non si fa questione di sincerità - che la marchesa, per convinzione o per calcolo, esclude a priori -, ma di efficacia della scrittura. Poiché l'amore non è in gioco, bisogna imitarne bene l'eloquenza, e in questo val molto di più parlare che scrivere: Parlando non è lo stesso. L'abitudine a servirsi della propria voce, le dà sensibilità; la facilità alle lacrime l'accresce; l'espressione del desiderio negli occhi può essere scambiata per quella della tenerezza; infine, lo svolgimento meno rigoroso del discorso porta più facilmente quell'aria di turbamento e di disordine, che è la vera eloquenza dell'amore; e soprattutto la presenza dell'oggetto amato impedisce di riflettere e ci fa desiderare di esser vinte. (lettera XXXIII) Ma non c'è che da adeguare i mezzi ai fini. Conta, non la «sostanza reale» di quello che si dice o si scrive, ma !'«effetto» che si ottiene. Il criterio intransigente dell'efficacia mette a confronto lo scritto e la viva voce sulle stesse cose: in questo caso, anche nella scrittura occorrerà colorire la sensibilità delle parole, mascherare il desiderio con la tenerezza, accennare con un discorso «moins suivi» (o si dica intonare, secondo melodramma) l'aria eloquente del turbamento. Formulata in termini che la legano a particolari situazioni («la facilité des larmes», «la présence de l'objet aimé»), questa poetica negativa si può rovesciare nei princìpi generali della strategia del carteggio. È quello che fa Valmont nella sua risposta, insistendo sulla necessità che egli ha di scrivere, e ricordando alla marchesa che è appunto la logica dei fini, nella quale concordano, a 18
imporre, in ogni circostanza, i mezzi e la via da seguire. E, poiché è buona strategia credere nelle risorse speciali che offrono le vie obbligate, Valmont osserva che le donne «intelligenti» si lasciano facilmente coinvolgere dal metodo delle lettere «per amor proprio». Del resto, la stessa marchesa ha osservato che la Tourvel è come costretta dalla lettera a «usare troppe forze in una volta», e ha già previsto «che le esaurirà per la difesa della parola, e che non gliene resteranno più per quella della cosa». Infine, sul punto capitale della logica e dell'efficacia - per cui non bisogna mai consegnare la cosa allo scritto - tocca proprio alla Merteuil d'istruire la candida Cécile: Cercate di curare di più il vostro stile. Scrivete sempre come una bambina. Vedo bene la ragione di questo; voi dite tutto quello che pensate e nulla di quello che non pensate. Può andar bene così, tra voi e me, dato che non abbiamo nulla di segreto, l'una per l'altra; ma ce>n gli altri, col vostro innamorato soprattutto! Avrete sempre l'aria di una sciocchina. Vedete pure che, quando scrivete a qualcuno, è per lui e non per voi: dovete dunque cercare di dirgli meno quello che pensate voi, che quello che gli fa più piacere. (lettera CV) Se non fosse così ingenua e «priva di spirito», la piccola Volanges si premurerebbe di mettere in pratica questi insegnamenti soprattutto nella corrispondenza con chi glieli impartisce. Altro che non avere segreti! Proprio l'eccezione dovrebbe metterla in sospetto: chi l'ammette sta già dicendo quello che non pensa, se è questione di stile. La Merteuil infatti è categorica nell'enunciare la regola: quando scrivete a qualcuno, è per lui e non per voi; e per conto suo la segue nel concedere alla piccola - proprio fingendo con lei una materna eccezione - di scriverle quello che pensa. Coi giovani - anche nel mentire e nell'ingannarli - questi libertini praticano una puntigliosa, 19
instancabile pedagogia. Sono particolarmente inflessibili sullo stile, poiché in questo si sentono in gioco. Con le ragioni dello stile la Merteuil deve plasmare la «naturale falsità» di Cécile, proprio per assicurarsi tutti i vantaggi del suo «candore» e della sua «ingenuità». Ed è lei, la bambina, con la sua smania - «piange, e poi mi prega di istruirla» (XXXVIII) - a dimostrare la regola e la necessità del carteggio. Alla stessa necessità si piegano anche le anime «appassionate»; come la presidentessa di Tourvel, che, proprio perché ha tutto il tempo di concepire una risposta in difesa del proprio onore e della propria virtù, finisce col rivelare a Valmont il sentimento che prova per lui, e che non vorrebbe neppure confessare a se stessa: Voi stesso ammettete che questo sentimento è doloroso quando l'oggetto che lo ispira non lo condivide. Ora, sappiate bene che mi è impossibile condividerlo; e quand'anche mi capitasse questa disgrazia, io sarei più da compiangere, senza che voi ne foste più felice. La cifra di questa lettera è talmente chiara che forse neppure la povera presidentessa riesce a ingannarsi sul vero significato delle parole che ha scritto in propria difesa. Smettete dunque, smettete, ve ne scongiuro, di voler turbare un cuore a cui la tranquillità è così necessaria. Questa supplica è un'istigazione per Valmont, il quale sente, come il lettore, che, mentre dichiara quanto le sia necessaria la tranquillità, la donna, con tutto lo smarrimento di cui è capace, prevede di rinunciarvi. Il fatto è che proprio la forma dovuta della lettera offre a Valmont e al lettore la chiave per intendere la «nai've confiance» della Tourvel, stravolgendo le sue sincere parole di rifiuto e 20
di protesta. Non c'è che da leggere una spontanea confessione del desiderio in questa negazione tanto recisa: Se esistono dei piaceri più vivi, non li desidero; non voglio conoscerli. (LVI) La forma e il divenire La dimostrazione per cui ci serve l'esattezza di Laclos riguarda le condizioni reali e le leggi di un linguaggio. L'«amore del puro stile», mentre esclude qualunque concessione al romanzesco7 , arriva a riprodurre nel sistema del carteggio, non tanto il racconto di certi legami pericolosi, quanto la loro forma oggettiva. Intendiamo per sistema l'intreccio e la lingua; e vogliamo dire che nell'intreccio come nella lingua del carteggio i legami sono in atto, e di ognuno e dell'insieme si vedono l'orditura e il divenire, fin nei minimi dettagli. Forse da nessun altro romanzo epistolare possiamo prendere la stessa dimostrazione. Non è il caso di verificare su questo punto le possibilità e i limiti delle nostre conoscenze, possiamo però ricordare che la lettura della Nouvelle Héloi"se ci ha appassionato per molti motivi che derogavano dalla competenza dello scambio di lettere e dalla lingua dei corrispondenti: abbandoni lirici, fantasie, riflessioni in cui l'autore prende a prestito l'occasione e la forma.della lettera e per lunghi tratti guida apertamente la mano del suo personaggio; così ricordiamo che Richardson, attraverso le lettere dei personaggi più diversi, continua a giocare col «piacere» . di raccontare le sue storie in prima persona e di tirarle in lungo conunameticolosa pedagogica analisi dei caratteri e dei costumi, e che Giovanni Macchia ci ha convinto a vederlo nella Clarissa Harlowe «come un Defoe che cambia lato secondo la posizione dei personaggi, ma sconvolto da interessi vari e da un fascio di assidue proposte che 21
vogliono ritardare l'azione»8 • Laclos invece non cambia mai lato nel suo romanzo; anzi, se ne sta in un suo cantuccio, di «compilatore» della raccolta, .non di narratore, e interviene solo di rado, in margine al testo, per informarci di una lettera non ritrovata, o di un'altra ritrovata ma che ha ritenuto opportuno non trascrivere. Questa, di assegnarsi il margine e il compito della trascrizione, è forse l'unica ironia che gli concede la sua arte9 , la quale per il resto fa in modo che siano i personaggi a darsi, di volta in volta, un posto, per loro propria iniziativa o per necessità o anche per inerzia, e che nessuno, che sia fuori della storia e dei legami pericolosi, possa parlare e agire per loro e al loroposto. Di tutta questa storia- si dica pure di questo «dramma»- i personaggi «sono insieme i creatori e gli attori»10. La posizione più distante da questa, marginale, dell'autore delle Liaisons dangereuses va riconosciuta a Montesquieu, il quale domina coi suoi pensieri e il suo gusto su tutte le parole e le cose scambiate nelle sue Lettres persanes, e governa con la sua ironia gli sguardi «estraniati» ed «estranianti» dei corrispondenti e il loro «stupore» di orientali1 1 trasportati a Parigi e nella società europea: mentre proprio all'indole e alla storia degli autori del carteggio concede un posto marginale, sul fondo del loro Oriente, in cui una combinazione di esotico e romanzesco abbastanza comune in quei tempi fa affiorare una labile trama di passioni, ambizioni da serraglio, piaceri gelosi. Non c'è dunque momento delle Liaisons che non appartenga ai soggetti del carteggio; e ogni momento si decide lì, nella scrittura, nello scambio delle lettere. Più precisamente, aderendo di più alla ragione formale e alla facoltà di questa scrittura: ogni vicenda o caso si dà come instabile, in procinto di risolversi, di determinarsi in un effetto, di riuscire o fallire; anche la soluzione, quando si dà, è mantenuta costantemente in gioco. Perfino gli accenni biografici-biografemi, frammenti di biografie possibili - 22
sparsi nelle lettere si apprendono ai nodi della trama e concorrono a formarne la materia e l'articolazione. Il celebre autoritratto che la Merteuil consegna alla lettera LXXXI col segno lucido del suo personalissimo femminismo - che si esalta e affina tanto nel disprezzo delle altre donne quanto nella determinazione di vendicarle - è una puntuale risposta a Valmont, il quale vuole dissuadere l'amica dall'avventurarsi in un'impresa troppo rischiosa: si svolge come una confidenza ben studiata e portata fino alla provocazione («ricordatevi dei tempi in cui incominciavate a farmi la corte: mai fui tanto lusingata da un omaggio; vi desideravo prima di avervi visto. Sedotta dalla vostra reputazione, mi pareva che alla mia gloria mancaste voi»), e si apre e si chiude con dure espressioni d'orgoglio: Che pietà mi fanno i vostri timori! Come mi provano la mia superiorità su di voi! E voi volete darmi delle lezioni, guidarmi? Ah, mio povero Valmont, che distanza c'è ancora tra voi e me. No, tutto l'orgoglio del vostro sesso non basterebbe a colmare la distanza che ci separa. Ma pretendere che io mi sia data tanto da fare senza trarne alcun frutto; che, dopo essermi alzata tanto al disopra delle altre donne con le mie penose fatiche, io acconsenta a strisciare per il mio cammino, come loro, fra l'imprudenza e la timidezza; che, soprattutto, io possa temere un uomo al punto di non vedere più la mia salvezza che nella fuga? No, visconte, mai. Non c'è nulla di generico e di gratuito in queste dichiarazioni: esse ci confermano che la donna sta investendo tutta la sua esperienza, le convinzioni che espone all'amico, la sua stessa esistenza nell'impresa di portare alla rovina con le armi della seduzione un uomo da cui si sente ingiuriata. E l'autoritratto entra ancor più nell'intreccio e nei 23
legami pericolosi con alcuni dettagli tempestivi: immaginando che l'amico potrebbe obiettarle che «è almeno in balia» della sua cameriera, la quale, se non conosce «il segreto» dei suoi sentimenti, conosce quello delle sue azioni, la marchesa lo previene, assicurandolo che non può venirle alcun danno da quella parte, perché «la sorte» della ragazza è nelle sue mani. Ogni «precauzione» è stata presa, e tutto è preparato per la conquista e la rovina di un uomo: sembra che la marchesa abbia ricapitolato con l'amico la sua vita per arrivare a questo punto: «Prévan, .voglio averlo e lo avrò; lui vuole dirlo, ma non lo dirà; in due parole ecco il nostro romanzo». Un emblema dell'esattezza della scrittura è, come si sa, il cristallo; ma un altro, dice Italo Calvino, può essere la fiamma, «immagine di costanza d'una forma globale esteriore, malgrado l'incessante agitazione interna»12 • Richiamano certamente il cristallo la regolarità delle strutture delle Liaisons e la loro invarianza, per la quale la maniera e la moda del romanzo epistolare si convertono in un limpido sistema di funzioni; ma la varietà delle forme e delle relazioni, il segno e l'energia di un minuto incessante divenire nella trasparenza di un organismo compiuto: tutto questo richiama la fiamma. Così pensiamo che il discorso di Calvino sull'esattezza si adatti alle Liaisons soprattutto per questi termini: «cristallo e fiamma, due forme di bellezza perfetta da cui lo sguardo non sa staccarsi, due modi di crescita nel tempo, di spesa della materia circostante, due simboli morali»13 • Proprio perché lo stile delle Liaisons fa perno sulla peculiarità del carteggio portata a un rigore estremo, la loro storia si costruisce momento per momento, lettera per lettera, e né colui che la registra (non sappiamo come altro chiamarlo, perché non si autorizza neppure come testimone) né il lettore possono supporre che sia già accaduta. I luoghi della corrispondenza e le date, che vanno dal 3 agosto al 26 dicembre 17"''� 14, segnano, con effetto 24
analogo a quello di una messinscena, il presente e quello che si prepara del futuro, e che si attende- talora in una suspense calcolata, negata ai colpi di scena-, e poi avviene, è presente, oppure si sa da una lettera che è appena avvenuto; raramente, e solo perché - come s'è vistoc'entra con quello che si fa al presente o con quello che si prepara del futuro, il ca\teggio riporta un passato da dipanare. Il patto narrativo è sempre operante, ma leggiamo una narrazione nelle forme del mondo commentato. Fermiamoci pure alla segnalazione di categorie generali o di semplici modalità: il testo delle Liaisons però consentirebbe di entrare nel concreto e di impiegare i criteri della linguistica testuale in rilievi sistematici, perché i tempi verbali che vi dominano sono quelli commentativi: passato prossimo, presente, futuro. La ragione formale delle Liaisons si manifesta in questo: nel far presenti le cose trascorse, tanto che anche il lettore ha l'impressione che il mondo di questi legami pericolosi gli appartenga; e poiché vede come questi legami si formano, e ne conosce le motivazioni e gli sviluppi più degli stessi soggetti del carteggio, il lettore può commentare l'«intreccio di forze» e ogni momento del dramma «come quelle cose in cui s'imbatte di persona nella sua situazione comunicativa»15 . Lo stesso si dovrebbe direstando appunto alle categorie e modalità generali- degli epistolari, intendiamo i romanzi in forma di lettere scritte dal protagonista- Werther, Ortis - e accompagnate da poche note postume e da una memoria dell'immaginario destinatario o editore; ma qui le cose vanno diversamente: ogni frammento di lettera che si stacchi nel presente, nel passato prossimo o nel futuro sembra consegnarsi, come testimonianza o come materia - dell'accaduto, del vissuto-, al mondo narrato. Del resto, bisogna stare alla memoria di colui che ha ricevuto o raccolto le lettere: questa, nel redigere la presentazione, normalmente breve, nell'annotare il contesto di una lettera o dell'altra e nel ri25
ferire i fatti dell'epilogo, trasporta fatalmente la raccolta nel mondo delle narrazioni. Una voce isolata, senza risposte da dare o da attendere, sembra riportare le cose e i fatti che le appartengono a un punto fuori della «molteplicità dei tempi vissuti e sovrapposti»; è il punto individuato da Barthes nel Racconto, e la voce che lo attinge è tutto sommato rassicurante, perché esprime «un atto chiuso, definito, sostantivato» e «sfugge al pericolo di un linguaggio indeterminato»16. Pur coniugando tempi verbali commentativi, ha questo timbro la voce di Ortis mentre dichiara: «Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia», oppure mentre si apre a confidare: «L'ho veduta, o Lorenzo, la divina fanciulla... ». E Werther: «No, non m'inganno! Nei suoi occhi neri leggo un interesse verace per me, per il mio destino» . In solitudine quello che gli sta accadendo e che prova gli appare già compiuto: la sua scrittura non lascia niente indefinito, neppure nel silenzio di Carlotta, neppure in quegli «occhi neri»; e pare proprio che di volta in volta, anche per innumerevoli sguardi e silenzi, stabilisca «una gerarchia nell'impero dei fatti»17. Occorre tutt'al più fissare bene, anche ripetendoselo, quello che è accaduto, col suo mistero, se c'è stato: «Oggi stavo seduto presso a lei... stavo seduto... essa sanava al pianoforte varie melodie... e tutta quell'espressione! tutta!... tutta!.. . »18. Qui invece, nei legami pericolosi, ciò che avviene contiene sempre qualcosa d'incompiuto; ma non c'è mistero, almeno per il Lettore Modello, il quale sa sempre la cosa che può essere o no e che lascia la trama aperta e il tempo sospeso, anche quando qualcuno scrive l'irreparabile. «Signora, accogliete il mio solo addio [ le seul adieu que je ferai], ed esaudite la mia ultima preghiera: di lasciarmi al mio destino, scordarmi interamente, non considerarmi più sulla terra»: così scrive la presidentessa di Tourvel al26
la signora di Rosemonde, e non dovrebbe più scrivere altro. La lettera che ha ricevuto da Valmont è un insulto mortale al suo amore: «Su quella lettera crudele ho giurato di non riceverne più alcuna» (CXLIII). Ma la donna sa di ritrovare intatto nella pena che la farà morire il suo terribile legame, e per questo, e non solo perché desidera la morte, scrive anche, nella lettera del suo unico. addio, «amerò i miei tormenti»; per questo la signora di Rosemonde riceverà dalla «sventurata amica» ancora una lettera, indirizzata a nessuno ma dettata, in un lucido delirio, per il fantasma dell'uomo amato (CLXI). Si può dire che ogni lettera delle Liaisons - anche la più sprovveduta delle prime che Cécile Volanges invia all'amica Sophie Carnay, anche la più compita e benintenzionata delle lettere della signora di Rosemonde - concorra a provocare, col segno di una sfida che si fa o si riceve, quella sospensione nella trama e nel tempo. È un segno estraneo agli epistolari; ma anche nella Nouvelle Héloi"se e in Clarissa è appena episodico, e non si riprodurrà con la stessa ostinazione neppure nelle lettere che ritrarranno in Aline et Valcour di Sade un serrato livido meccanismo di morte. Così, anche la storia delle Liaisons resta sospesa: alla fine, in una nota in calce, si legge: «Motivi particolari e considerazioni che ci faremo sempre un dovere di rispettare, ci costringono a fermarci qui.... Forse un giorno ci sarà permesso di ultimare quest'opera; ma non possia- · mo prendere alcun impegno a tal riguardo, e, se anche lo potessimo, crederemmo ancora di dover consultare il gusto del pubblico, che non ha gli stessi nostrimotivi per interessarsi a questa lettura». Sembra di capire - fosse anche, questa nota, di mano dell'autentico editore - che altro tempo debba trascorrere nell'orditura del carteggio, e che la sua insidia duri oltre la rovina di colei che vi ha lavorato con spietata determinazione, oltre la morte di «una presidentessa giovane e bella» e del suo seduttore e l'infelicità di «una signorina con sessantamila lire di ren27
dita» - così si esprime, nella sua avvertenza, il finto editore - costretta a ritirarsi in convento. Comunque sia, nel tempo scandito dal testo, c'è chi avverte la relazione pericolosa rappresentata dalle lettere, anche solo dal fatto di scriverne o riceverne qualcuna: la povera presidentessa ha pregato con insistenza Valmont di restituirle le sue; e questi indurrà la «bella ritrosa» a dichiararsi e ad abbandonarsi finalmente, proprio inscenando la restituzione di «carte» tanto «importanti» da non poter essere deposte che nelle sue mani. La strategia delle liaisons prevede che le stesse lettere siano soggetti attivi: non solo la loro redazione e il loro contenuto, ma anche il loro possesso può rappresentare un momento di aggressione e di sorpresa, tradursi in una mossa difensiva, in un pericolo per il mittente o per lo stesso possessore. Infine, a perdere la signora di Merteuil, basterà la divulgazione di due sue lettere; e sarà una vendetta postuma di Valmont, la cui morte, come quella della Tourvel, è provocata e appunto vendicata dalla logica del carteggio, da lui perseguita con tutti come una sfida irreparabile. Anche una lettera mancata può determinare una svolta, un nodo drammatico nell'azione: la vana attesa di una lettera che la signora di Rosemonde è-fermamente decisa a non scrivere nega alla signora di Volanges qualunque possibilità di alleviare le angosce di sua figlia e non lascia a Cécile che la segregazione del convento. Il silenzio deliberato della signora di Rosemonde è un elemento oggettivo della trama: non è riferito, ma si forma in un momento, in un tratto preciso dell'azione, e segna più di un destino. Mantenuto per giustizia e misericordia e puntato come un'arma su un groviglio di errori, questo silenzio (osserverebbe Benveniste) non interrompe l'istanza di discorso, ma la rende esplicita; il carteggio non lo racconta: lo contiene, e ce ne fa percepire la presenza e il potere mentre la signora di Volanges chiede inutilmente: «Di quale spaventoso velo circondate la sorte di mia figlia?» 28
(CLXXIII). La deissi insistente del carteggio, «l'apostrophe directe», la funzione performativa diffusa nella scrittura e nella stessa circolazione delle lettere: basta questo a spiegare perché la critica parli di teatralità delle Liaisons19 • Del resto, il silenzio che abbiamo appena considerato accadeva al momento, occupava tempo e spazio e agiva come un silenzio sulla scena. E attiene più al teatro che non ai romanzi in forma di epistolario il fatto che, a ogni punto, quello che avverrà dipenda o possa dipendere dalla lettera che qualcuno sta scrivendo o decide di non scrivere. Ma la tecnica teatrale, riconoscibile anche nel montaggio delle lettere, è impiegata per altd scopi. Non si tratta solo di mostrare quello che a teatro è nascosto - quello che avviene «tra le corde polverose, gli infissi, le macchine che sono tra le quinte»20 -, si tratta di andar oltre, di squarciare la scena per illuminare il gioco delle parti che vi si svolge con quello che c'è di irrappresentabile nelle sue ragioni e nella sua energia: un intrico di impulsi, di desideri, di astuzie istintive della passione, del sentimento, che solo la forma analitica del carteggio può dipanare. Il segreto della lettera entra nel castello di..., o in un salotto parigino, in un boudoir, in un'alcova, e illumina e svela quello che vi si sta recitando col segno di quello che realmente si patisce o si gode. Questo segno, mimetico fino alla minuzia e deformante, s'impone spontaneamente alla lettura, la quale supera le figure della teatralità appena è attratta dal linguaggio analitico di questo o quell'«attore» a disporre di tutti i fili del gioco e a svolgerne anche le pieghe più nascoste. Il dettagliato sistema di riflessi e proiezioni, in cui le persone assumono simultaneamente aspetti diversi e fin contrastanti e anche le cose e le linee prospettiche dell'ambiente sembrano sdoppiarsi, ha la sua espressione più perfidamente divertita nella lettera XLVIII, una esaltata lettera d'amore di Valmont alla presidentessa di Tourvel, 29
che sulla traccia di una lettera precedente del libertino alla Merteuil stravolge ogni sua espressione in una beffa grottesca: perché il sublime si declina in triviale, per il lettore e i due «eroi» del carteggio, e la tempesta «senza tregua» di cui parla la lettera si scatena a letto, in una notte di piacere, e il tavolo su cui la lettera è scritta, «consacrato per la prima volta a questo uso», è il corpo di una bella mondana, che ride «come una pazza», se al colmo della beffa la sua carne diventa «il sacro altare dell'amore». Non c'è dubbio che Valmont abbia trovato «gustoso» mandare questa lettera alla «bella devota»; ma forse il suo «gusto» va oltre la profanazione, e questa, proprio mentre è perpetrata con spavaldo accanimento, potrebbe mascherare altri impulsi. La lettera ha molti registri: forse è anche un modo- dissacrante, appunto- di difendersi da un amore difficile, da cui Valmont si fa guidare contro tutte le sue convinzioni: non lo ammetterà mai, e può darsi che non ne sia cosciente; ma si è già lasciato sfuggire di essere stato sul punto di «abbandonarsi pienamente» ali'amore, e alla sua confidente, perspicacissima in simili faccende, ha già esposto questa idea imprudente e non certo spassionata: «il più bel momento d'una donna, il solo che possa far nascere quell'ebbrezza dell'anima, di cui si parla sempre e che si prova così di rado, è quello in cui, sicuri del suo amore, non lo siamo dei suoi favori» (XLIV). Così, suo malgrado può essere sincero quando, nel chiudere la lettera dell'«infedeltà completa» e della parodia, scrive: «Se ricerco ancora i piaceri dell'amore, è per sentire più vivamente il rammarico di esserne privato». Non è mai vantaggioso per la lettura trattenersi all'esibizione della perfidia e del doppio senso, neppure dove questa domina il gioco, come qui e, per fare un altro esempio, nella lettera con cui Valmont, finto convertito in preda al più delicato e toccante dei rimorsi, induce quella «santa persona» di padre Anselmo a procurargli l'incontro decisivo con la Tourvel: il pretesto- secondo lo strata30
gemma che Valmont ha escogitato e che deve trovare indubbiamente «plaisant» - è quello di restituire alla donna le sue lettere, un'«espiazione preliminare» che il confessore dell'austera presidentessa favorirà con tutto il suo «zelo». Anche in questo caso, nel recitare attentamente tutta la sua compunzione, il libertino si concede- lo sappia o no- qualche sincerità: come quella di dire che l'«interesse» della signora di Tourvel «si trova congiunto» col suo, e che «ella non poteva prevedere degli avvenimenti» che lui stesso era «ben lontano» dall'aspettarsi (CXX). Come si vede, oltre (o sotto) il gioco appariscente dell'ambiguità e del doppio senso, la scrittura corsiva del carteggio continua a rifrangere in una percezione molteplice la sostanza dei fatti e delle cose (si pensi a quelle lettere da ricuperare, che per la signora di Tourvel rappresentano una minaccia e insieme un'attrattiva, un richiamo alla virtù e insieme l'opportunità, cui ormai non sa rinunciare, di compiere l'ultimo passo per perderla): ed è lì che si manifesta tutto il potere dei legami pericolosi, dove l'intrico della scrittura è più fitto, dove si apprende quello che lo scambio epistolare consente di dire e fare di nascosto, magari inavvertitamente. Varie identificazioni La singolarità del discorso del racconto che le Liaisons svolgono nel mondo commentato è quella di significare i personaggi col linguaggio in cui questi di volta in volta si identificano: si può dire che non vi siano oggetti oltre a quelli espressi dalle «identificazioni oggettuali» dei singoli personaggi e che non vi sia storia fuori di quella in cui i personaggi di momento in momento si riconoscono. Certo, al di là degli investimenti soggettivi non c'è altro linguaggio, se non nei preliminari e in rare note ai margini del testo. La realtà si forma man mano nella scansione e 31
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