Il piccolo Hans - anno XVI - n. 64 - inverno 1989-1990

l'onnipotenza dello stream of consciousness ma che siano per così dire vittime di un sistema narrativo fondato sulla betise, chiarisce il senso di quel progressivo divorzio dalle posizioni joyciane che ha condotto Beckett a creare, con E/nnommable, una sorta di stream of perceptions (il che vuol dire, esattamente, che le idee, i pensieri, i sentimenti, i desideri, le intenzioni e i ricordi sussistono come nel consciousness ma senza che l'autore se ne faccia garante, cioè con l'autore privato del suo luogo privilegiato e, per così dire, in "diretta"). Dopo aver sostanzialmente ridotto la distanza fra autore e personaggio in Molloy e in Malone meurt, in tutta una serie di imperfette strategie dell'io, è dul}que nel paradisiaco capitolo conclusivo della "trilogia" che emerge l'indistinzione più mirabile (che ci abbia mai consegnato la storia della parola scritta) fra il luogo del "chi dice" e il "chi dice" empirico. Ma si badi bene: lo stream of perceptions di cui si sta parlando non è il diario di bordo di un percepiente che leva il suo sguardo al percepibile, semmai con il naso per aria e la penna in mano, per poi riaffondarlo nel bianco da annerire di tutto ciò che s'è sussunto; è invece la "diretta" di un autore percepiente, che vorrebbe ancora via via gratificarsi in un procedere narrativo ma che incontra ovunque, all'interno come all'esterno, il tormento della verificabilità. Il che vuol dire che, nel rimbalzo fra il luogo del "chi dice" e il "chi dice" empirico, il procedere narrativo si sostanzia del tropo della Verneinung (quasi inevitabile risultato dell'ossidazione del pensiero tautologico e contraddittorio) e l'universo logico che se ne distilla è e dice vanitas vanitatum (non è del resto E/nnommable, alla lettera, 6 ExxÀ.riouxoi:11ç?). La voce innommable, soggetto e oggetto del flusso di percezioni, se pure vorrebbe spesso pacificarsi nel luogo dell'autore, sa che l'autore è un'istanza esterna; essa è invece narrante, certo, ma soprattutto narrata (è il doloroso miracolo dell'autopercezione, di cui si fanno ombre allegoriche, nell'unico film becket212

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