Lingua) trasparenza) sovrasenso Le osservazioni che farò, al margine dei versi di Cesare Ruffato, non riguardano l'intera produzione poetica dell'autore, ma soltanto il libro che ha per titolo Trasparenze luminose. Qualche riferimento accadrà di fare in direzione della precedente raccolta Parola bambola. Nell'uno e nell'altro testo mi sembra che sia in gioco un rapporto tra corpo e linguaggio che non va verso un'usura, o impotenza, o polverizzazione, della lingua, ma verso una geografia da esplorare, verso un limite da estendere in latitudine e longitudine: in virtù di questa estensione la lingua può dire- nell'ironia, nella vanità consapevoleil corpo, la sua miserevole e visibile condizione. Le convenzioni della forma classica, le modalità evocative proprie di uno stile predefinito e chiuso, i modelli di un metaforizzare essenziale e asciutto qui sono disgregati, e lasciano il campo a procedimenti basati sull'accumulazione di senso, sulla combinatoria semantica, sull'elencazione e iterazione di eventi verbali, sull'inserzione di registri lessicali provenienti da differenti regioni scientifiche, insomma su un lavoro di formazione della lingua che mentre diviene dissipa ogni possibile stabilizzazione del senso. Quanto sopravvive di sperimentalismo neofuturistico è come compensato da una sorta di metafisica corporale che in ogni verso penetra, volendo dire. Ecco, mi sembra che questa volontà di dire, o meglio questa volontà di dizione, passando da Parola bambola a Trasparenze luminose si contrae, si prosciuga: fino a sfiorare un trasparente, appunto, epigrammatismo. Il libro è diviso in sette sequenze, o recitazioni, o figure della lingua: musaico, divagazioni, citoclesi, la festa, la competenza illeggibile, teatro delle idee, parole vetule. Le trasparenze attengono al corpo, ma per traslato amaro, alla lingua, ad una sua impossibile condizione: poiché è pro236
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