Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

prio analista; c - un tema personale: la relazione con Freud e le osservazioni al suo modo di intendere e praticare l'analisi. Se si riesce a evitare l'insidia di una lettura polemica, finalizzata ad accentuare il contrasto con Freud, il Diario offre al lettore una serie di preziose indicazioni, che hanno in più il valore di una testimonianza, attorno al tema del trauma. Oggetto solo apparentemente chiarito, verso il quale Ferenczi torna a mettere in atto «quell'attitudine a considerare con ingenuità le cose note da tempo» che dice di aver imparato dal maestro. Per fare questo Ferenczi assume la posizione di un «ricercatore empirista», si pone al1'ascolto di quello che egli definisce «il linguaggio nascosto e tuttavia fortemente critico dei bambini, degli allievi, dei pazienti» e, riproponendo il metodo usato «da quei colleghi che hanno preso il proprio corpo come cavia per studiarvi infezioni ed avvelenamenti»1 , registra quasi quotidianamente la sua esperienza da laboratorio psicoanalitico per quasi un anno. Il suo intento è chiaro: si tratta di vedere in che modo la psicoanalisi può elaborare una teoria del trauma in grado di supportare una tecnica capace di maneggiare questo oggetto delicato ma tremendo perché «il trauma non deve mai essere trattato come una cosa da nulla e occorre aver presente la realtà del pericolo e l'incombere della morte» (21 febbraio). Il richiamo al pericolo di morte mette in campo la questione della sopravvivenza: è all'elaborazione di una «teoria della sopravvivenza al trauma» che sembra applicarsi Ferenczi negli ultimi anni della sua vita, così come Freud si era applicato a costruire una «teoria del sogno». Nessun autore, penso, è riuscito a cogliere con la stessa chiarezza di Ferenczi la natura del trauma e a descrivere le strategie con cui il sapere inconscio del soggetto tenta di fronteggiarne la distruttività. Ferenczi non si mette in posizione frontale al trauma 230

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