Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

difficili da trattare sono quei bambini apparentemente arrendevoli che possono indurre un analista a ritenersi soddisfatto: sono quei tipetti ben addestrati che dicono «Sì» a tutto, mentre dentro al cuore dicono «No» e agiscono di conseguenza. Intuizione e pazienza sono le basi sulle quali fondare il primo colloquio con il piccolo paziente in modo che la fiducia poggi su un terreno solido. Un fattore importante nell'analisi del bambino è il tipo di rapporto che si instaura fra l'analista e la famiglia del paziente. Si potrebbe essere indotti a pensare che da questo punto di vista l'analista-educatore è avvantaggiato rispetto ai suoi colleghi perché il bambino viene in analisi per il volere dei genitori, mentre l'adulto viene di spontanea volontà e spesso addirittura contro il volere della famiglia. Sfortunatamente, è un'idea completamente sbagliata. Anche nel caso del bambino la psicoanalisi è considerata come l'ultima risorsa, e i genitori che hanno visto fallire qualsiasi altra alternativa educativa, nutrono una buona dose di diffidenza anche nella psicoanalisi. Nonostante questo, si aspettano una «cura miracolosa» che in pochi giorni ponga rimedio agli errori accumulatisi negli anni. E si attaccano a questa aspettativa, benché l'analista li abbia molto esplicitamente avvisati che la durata del trattamento non può essere fissata in anticipo perché tutto dipende dal carattere particolare di ogni singolo bambino, ma che certamente si protrarrà per parecchi mesi. Innumerevoli volte ho potuto constatare che i genitori avevano segretamente stabilito dentro alle loro menti un limite alla durata del trattamento già fin dal primo colloquio, e a quel limite si attengono senza rendersi conto che un trattamento interrotto a metà strada significa perdita di tempo, denaro e fatica. Naturalmente poi, la responsabilità per le conseguenze dell'interruzione del trattamento, e cioè un considerevole peggioramento del disturbo iniziale, viene addossata proprio al trattamento 215

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