sposta onesta e ottenni l'effetto desiderato, le dissi che mi occupavo di giovani per i quali la vita si presentava difficile e che non sapevano come cavarsela, e che desideravo aiutare anche lei a migliorare i rapporti con la madre. La ragazza si attaccò fortemente a me e continuò a chiedermi consigli su qualsiasi cosa la turbasse, come se fossi un'«autentica seconda madre». Spesso, nel caso di quei pazienti che tacciono ostinatamente, può essere di grande aiuto ricorrere a qualche piccola astuzia. Per esempio, un ragazzo di nove anni che soffriva di impulsi suicidi, durante il primo colloquio si rifiutò di prestarmi la benché minima attenzione, se ne stava tranquillo con la testa appoggiata sul tavolo e non reagiva a niente di quanto gli dicevo. Una mosca che mi sfiorò il viso mi suggerì l'idea di far finta di avere qualcosa nell'occhio. Immediatamente il ragazzino, che aveva sempre una gran voglia di mettersi in mostra, balzò in piedi e disse: «Prego, lasci fare a me, glielo tolgo subito. Ma lei non deve strofinarsi gli occhi». Così, avendomi offerto il suo aiuto, il ghiaccio fu rotto perché egli sentiva che mi era utile. Dopo questo episodio, tutte le volte che una forte resistenza lo faceva rinchiudere nel suo silenzio, bastava che chiedessi il suo consiglio o il suo aiuto perché l'analisi riprendesse felicemente il suo corso. Un trucco che, secondo me, funziona sempre, è quello di raccontare al piccolo paziente le marachelle di altri bambini. Dal momento che l'analista ha già avuto sufficienti informazioni dai genitori sul tipo di stranezze e di particolarità del proprio paziente, non dovrà temere che il bambino finisca per sentirsi incitato dal racconto di marachelle di un genere del tutto diverso a indulgere in impertinenze che non ha mai fino a quel momento manifestato. Un'analisi correttamente condotta non ha mai danneggiato nessun bambino né in ambito sessuale né in altri ambiti. E anche se un temporaneo peggioramento nel modo di comportarsi del bambino potrebbe far nasce-· 204
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