Il piccolo Hans - anno XVI - n. 63 - autunno 1989

che vengono proiettate sull'analista, svolgono un ruolo determinante quando a sdraiarsi sono i cosiddetti «ragazzi e ragazze nervose». Un ragazzo di 15 anni che mi aveva interpellato perché soffriva di una grave forma di fobia nei riguardi di temporali e terremoti, mi confessò nel corso dell'analisi che avrebbe sicuramente opposto delle resistenze al trattamento se fosse stato costretto a sdraiarsi su quello stesso sofà di cui aveva sentito parlare da un'amica di famiglia che si era sottoposta a sua volta a un trattamento psicoanalitico, perché lui aveva un'enorme paura di essere ipnotizzato. In effetti, durante la visita fatta in casa di un neurologo che cercava di ipnotizzarlo, gli era capitato di trovarsi in una condizione di sovraeccitazione tale che si era messo ad urlare «Polizia» ed era scappato fuori per strada in preda al panico. Non mi è mai successo di vedere che il successo di un'analisi sia stato in qualche modo compromesso dal fatto che l'analista si trovasse faccia a faccia col paziente. Il primo colloquio di un trattamento è della massima importanza, in quanto è l'occasione per stabilìre un rapporto con il piccolo paziente e di «rompere il ghiaccio». Richiede molta fatica e un notevole sforzo da parte dell'analista principiante e quasi sempre apre persino all'analista di comprovata esperienza nuove modalità di approccio e nuove linee di condotta. Ma non si possono tracciare regole né programmi: sarà lo sviluppo del paziente, l'età e il temperamento, a suggerire quale può essere la via da seguire. Nel caso di ragazzi più grandi spesso il metodo migliore è di confessare apertamente di essere un . analista, e ottenere così in un rapporto di piena sincerità la loro fiducia. La madre di una ragazza nervosa di 14 anni mi presentò alla figlia come un'amica che non vedeva da molto tempo, ma la ragazza non si lasciò ingannare e di lì a poco mi chiese: «Ma chi siete veramente?». Le diedi una ri203

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